mercoledì 28 ottobre 2015

“Il picco del petrolio ci salverà dal cambiamento climatico”: un meme che non è mai diventato virale

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi




Immagine da “Peaksurfer” 


L'idea che il picco del petrolio ci salverà dal cambiamento climatico è saltata fuori di tanto in tanto nel dibattito, ma non ha mai preso realmente piede per una serie di buoni motivi. Uno è che, in molti casi, le persone che la proponevano erano negazionisti climatici e questo li ha resi scarsamente credibili. Infatti, se il cambiamento climatico non esiste (o se non è causato dalle attività umane), come è che ci racconti che il picco del petrolio ci salverà? Aggiungete a questo il fatto che molti negazionisti climatici dalla linea dura sono anche negazionisti del picco del petrolio (visto che, come si sa bene, i due concetti sono parte di una grande cospirazione), quindi non sorprende che il meme “il picco del petrolio ci salverà” non è mai diventato virale.

lunedì 26 ottobre 2015

Pan è morto, Dio pure e l’Uomo sta molto male. E adesso?

di Jacopo Simonetta

Durante il regno di Tiberio un certo Thamus udì una voce che annunciava “Il grande Pan è morto”.

La faccenda fu presa tanto sul serio che l’Imperatore convocò Thamus per farsi raccontare di persona come fosse andata e della faccenda discussero molto seriamente i saggi ed i più alti sacerdoti.   All’epoca nessuno a Roma aveva fatto caso che la fede nella sacralità della Città eterna e nelle divinità tradizionali cominciava ad affievolirsi, mentre in Palestina era comparsa una nuova setta ebraica, molto attiva e capace di fare proselitismo presso qualunque popolo della Terra.   Una volta divenuta maggioranza, la piccola setta di un tempo avrebbe spazzato via la mistica e la mitologia antiche per sostituirle con altre che divennero il fondamento della successiva civiltà europea.

Un paio di millenni più tardi, fu invece un certo Friedrich Nietzsche ad annunciare urbi et obi che Dio era morto e che ovunque si avvertiva il fetore della sua decomposizione.   Un modo un po’ brutale di dire che, ancora una volta, la tradizionale fede degli avi si era ridotta ad una mera abitudine, vuota di significato.   Ma anche in questo caso una nuova divinità stava già prendendo, anzi aveva già preso, il posto di quella “defunta”.
Già da oltre un secolo, infatti, l’Illuminismo aveva propagandato con successo il culto della ragione umana e, giusto una generazione prima di Nietzsche, Auguste Comte aveva proposto un esplicito culto dell’Umanità o, come usa dire oggi, dell’Uomo.   Nei dettagli, nessuna delle due proposte aveva avuto successo.   In compenso il sentimento, ancor più che l’idea, che l’intelligenza umana fosse potenzialmente onnipotente si era profondamente radicato in quasi tutti gli ambienti, comprese le chiese tradizionali.

Certo, c’erano delle differenze importanti.   Nessuno accende candele o sgozza agnelli in onore dell’Uomo, ma in compenso si cambia la geografia del Pianeta e si cancellano con disinvoltura interi biomi e culture semplicemente perché ciò è utile allo sviluppo dell’Uomo.    Anzi, il livello di antropizzazione del paesaggio e di industrializzazione dell'economia sono diventate delle misure dello sviluppo di un paese.

Del resto, non minori erano state le differenze fra le Divinità classiche ed il Dio cristiano o mussulmano.   In ultima analisi, si tratta comunque di archetipi.   Cioè di astrazioni profondamente radicate nell'inconscio collettivo intorno alle quali si struttura un intero modo di pensare, di osservare, capire ed agire.   Sono insomma gli archetipi che danno un significato, un’identità ed uno scopo alla nostra vita.   Insomma che ci mettono in condizione di vivere, per citare un certo Einstein che non era certo un baciapile..   Non a caso la metafisica è puntualmente rientrata dalla finestra, ogni volta che qualche filosofo ha tentato di buttarla fuori dalla porta.

Se lo scopo della religione Romana era stato principalmente quello di perpetuare in eterno l’Urbe e quello del Cristianesimo salvare la propria anima dalla dannazione eterna, la fede nell’Uomo ebbe un fine più immediato: migliorare indefinitamente la nostra presente vita.   Questo ipotetico processo di indefinito ed irreversibile miglioramento prese il nome di “Progresso” e divenne il mito fondante della civiltà industriale.

Già la fede in Roma era stata esportata sulle punte dei pila prima di diventare la narrativa comune dei popoli dell’Impero.   Più tardi, anche la fede in Cristo ed in Allah furono diffuse con gran ricorso alle armi ed alle persecuzioni, prima di diventare la matrice identitaria dei popoli convertiti.   Così, in tempi assai più recenti, il culto dell’Uomo e la mistica del Progresso si diffusero principalmente grazie ai moschetti ed alle navi, ma finirono col conquistare i cuori e le menti dei popoli sopravvissuti alla colonizzazione.

Del resto, come resistere?   Il Progresso assicurava che il paese di Bengodi non fosse una fantasia medioevale, bensì il destino ultimo dell’umanità.   Il paradiso che altri promettevano in cielo poteva essere qui in terra.   Anzi, sicuramente così sarebbe stato, prima o poi, grazie alle infinite risorse dell’Ingegno Umano.

Chi più, chi meno, quasi tutti ci hanno creduto e la grande maggioranza delle persone ancora ci credono.   Ognuno ha la sua variante specializzata.   Per alcuni il futuro è popolato di robot e vi si fanno viaggi intergalattici.   Per altri è un regno di pace e prosperità per tutti.   Per altri ancora un’epoca di profonda consapevolezza, oppure un mosaico di pacifici villaggi contadini e via di seguito.   Ma quale che sia la variante che ci è cara, abbiamo tutti fiducia che il futuro sia migliore del presente e del passato.   Lo consideriamo una specie di diritto inalienabile.

Ma forse sarebbe meglio dire che abbiamo avuto fiducia.   Si, perché circa un anno fa un altro tizio, tal Michael Greer per la precisione, ha annunciato che anche l’Uomo era morto .

A dire il vero, l’annuncio non ha sollevato lo scalpore dei due precedenti, forse perché leggermente prematuro.   In effetti, la fede nell'Uomo sembra ancora viva, anche se sta perdendo pezzi rapidamente.

Si può capire.   La vita della maggior parte degli uomini del mondo, ed in particolare degli occidentali che hanno concepito il mito, non sta migliorando affatto; piuttosto il contrario.   Ancor più rapidamente peggiora la vita di molti fra i popoli che hanno creduto di poter usufruire del nostro stesso opulento stile di vita solo adeguando la propria fede ed imitando i nostri costumi.

Ormai ogni giorno che passa più gente si rende conto che la promessa del paradiso in terra non sarà mantenuta, né dalle sette liberiste, né da quelle socialiste.   Ma quando perdiamo fiducia nel modello mentale che utilizziamo per leggere il mondo ci troviamo smarriti, confusi, spaventati.   Spesso anche bramosi di vendetta.   Si, perché non siamo mai stati noi ad essere ingenui, bensì gli altri ad averci ingannati.

Ma mentre quando morì Pan Cristo era già risorto e quando morì Dio l’Uomo era nel pieno delle sue forze, adesso che quest’ultimo rantola in un reparto di terapia intensiva, non si vedono possibili sostituti all'orizzonte.   O forse, al contrario, ce ne sono troppi.

Possiamo vivere tranquillamente senza officiare a divinità alcuna, ma senza un modello mentale su cui fare affidamento non siamo capaci di vivere a lungo.   A suo tempo, Nietzsche aveva pensato che i suoi tempi fossero maturi per l’apparizione del super-uomo (o oltre-uomo, a seconda delle traduzioni): cioè gente capace di vivere senza fede alcuna, assumendosi la piena responsabilità di ogni cosa gli accadesse.   Ma non fu così.

Allora come oggi, chi perde una fede ne cerca un’altra.   Non c’è infatti niente di arcaico nel diffondersi prepotente di gruppi integralisti in seno a tutte le religioni tradizionali.   Anzi, direi che sia un fenomeno tipicamente post-moderno che caratterizza specialmente i figli ed i nipoti di coloro che avevano creduto nell'Uomo e nel Progresso.   Ed il livello di brutalità praticata è probabilmente proporzionale all'ampiezza del vuoto interiore lasciato dalla delusione.

Altri cercano la strada anche più lontano, ad esempio reinventandosi culti pagani, vagamente ispirati al poco che si sa di quelli antichi.   Oppure rimodellando ancora una volta il modo di vivere ed intendere le religioni tradizionali che hanno già attraversato più di una simile fase di modernizzazione.   Oppure ripensando in chiave ecologica la fiducia nelle capacità della mente umana che, si continua a sperare, sarà comunque capace di rimediare a tutti i malanni che ha prodotto.

Comunque, i più numerosi sono ancora coloro che continuano ad identificarsi con la tradizionale concezione di Progresso e con la capacità umana di dominare gli elementi.   Gli esempi possibili sono innumerevoli, ma vorrei citarne due di natura molto diversa, ma parimenti indicativi:

A Foligno fra il 9  ed il 12 Aprile 2015 si è tenuta la “Festa della Scienza e della Filosofia”; tema: “La scienza ed il futuro”.   Niente di meno!   Due giorni di discussioni e relazioni su argomenti svariatissimi ed interessanti: dalle ricerche sui neutrini all'origine di Homo sapiens; dai rapporti fra Scienza ed umanesimo fino al pacifismo di Einstein.   Ma neanche una parola sull'impatto globale contro i limiti dello sviluppo, la trappola tecnologica, la sovrappopolazione, lo sgretolarsi della nostra civiltà, la morte della Biosfera od un qualsiasi altro argomento che avesse a che fare con la fine del Progresso.

Il secondo esempio è anche più impressionante.   Nella lettera enciclica “Laudato si” (riassunto ufficiale del testo integrale)  che tanto rumore e tanto entusiasmo a sollevato, la parola “Progresso” compare 24 volte.    Per criticarne le deviazioni, certamente, ma non per criticare la fede in un futuro necessariamente migliore del presente.   La parola “Scienza” compare 7 volte, mentre “Tecnologia” compare ben 21 volte;  “Benessere” 5 e “sviluppo” solo 2 volte.    In compenso la parola “Provvidenza” compare 0 volte, come quelle “Penitenza” e “Castigo”.   "Peccato" compare 6 , ma “Redenzione” solo una, neanche nelle conclusioni.   Eppure, mi pare che si tratti di concetti propri della mistica cristiana che si applicherebbero particolarmente bene a quello che sta accadendo al nostro mondo ed alle nostre vite.

Carl Sagan disse che viviamo in una società totalmente dipendente dalla scienza e dalla tecnologia, in cui quasi nessuno sa qualcosa a proposito di scienza e tecnologia.   Direi che è vero, ma non si possono certo sospettare gli organizzatori del convegno di Foligno, né gli estensori dell’enciclica papale di ignoranza!   La spiegazione deve quindi essere un’altra e temo che sia assai più fosca.

Per citare Frank Lloyd Wright: “Un Mito è un arrangiamento del passato, reale od immaginario che sia, in una forma che rinforza i valori più profondi e le aspirazioni di una cultura...  I Miti sono quindi gravidi dei significati coi quali si vive e si muore.   Sono le mappe con cui le culture navigano attraverso il tempo.”

Questo significa che una cultura non può cambiare i propri miti fondanti altro che diventando una cultura diversa ed apparentemente la Scienza non è in grado di modificare i miti che tanto ha contribuito a forgiare.
Già una cinquantina di anni fa divenne infatti scientificamente innegabile che le idee di crescita e di progresso erano delle pericolose utopie.   Anzi, una garanzia di disastro.   Ma dopo un primo vacillare, la reazione fu schiacciante.   Come sempre, i fedeli di una religione in difficoltà reagiscono con energia direttamente proporzionale al grado di minaccia.   Nella fattispecie, il controllo dei media ha consentito ai “progressisti” di impadronirsi del gergo e dei concetti nati per combattere la loro ideologia usandoli a sostegno della medesima.   Così, ad esempio, da elemento principale di rischio la tecnologia è diventata strumento di salvezza e la “crescita zero” è diventata “sviluppo sostenibile”: un’etichetta con cui oramai si coprono le pudenda di qualunque infamia ambientale.   La decrescita, per essere divulgabile, ha dovuto essere addolcita con il paradossale aggettivo “felice”.

I concetti più refrattari a questo tipo di perversione furono invece del tutto obliterati.   Così, ad esempio, mentre la popolazione umana raddoppiava, la parola “sovrappopolazione” svaniva, sostituita da quella paradossale “denatalità”.   Un po’ come se sulla Costa Concordia che cominciava a ingavonare fosse stata censurata la parola “affondiamo” per parlare piuttosto della sagra del granchio sottolio.

Per tornare alla massa montante della gente delusa e smarrita, oggi si fa molto caso ai crimini operati dalle bande di integralisti islamici, indù e quant'altro che, innegabilmente, sono particolarmente odiosi.   Ma si tace sul fatto che l’aver voluto perpetuare il culto dell’Uomo e del progresso, nel giro dei prossimi 50 anni,  costerà la vita ad alcuni miliardi di persone che non avrebbero dovuto mai nascere.

Un apparente paradosso che, invece, è molto coerente:  Nel nome della civiltà e del progresso dell’Uomo si sta preparando il più grande sacrificio umano mai concepito.


sabato 24 ottobre 2015

La vera causa dell'esodo di massa: il picco del petrolio

Da “crudeoilpeak.info”. Traduzione di MR

Di Matt Mushailik

Mentre l'attenzione del mondo si volge alla crisi dei rifugiati, dobbiamo guardare alle cause di questo esodo di massa. 




Fig 1: Rifugiati che camminano lungo l'autostrada ungherese verso l'Austria nel settembre 2015

Nel maggio del 2013, il Guardian aveva un articolo dal titolo “Picco del petrolio, cambiamento climatico e geopolitica degli oleodotti alimentano il conflitto siriano”. Nel marzo del 2015, un gruppo di ricercatori guidato dal climatologo Colin Kelley (Università della California) ha pubblicato uno studio sugli Atti dell'Accademia Nazionale delle Scienze dal titolo “Cambiamento climatico nella Mezza Luna Fertile ed implicazioni della recente siccità in Siria”. Fra il 2006 ed il 2009, il popolo siriano ha sofferto la più grave siccità che il paese abbia mai vissuto dall'inizio delle registrazioni strumentali. "Man mano che l'acqua diveniva scarsa, i raccolti sono andati perduti e il bestiame è morto su una scala enorme. 1,5 milioni di siriani, in una popolazione di poco più di 20 milioni, si sono trasferiti dalle campagne ai sobborghi delle città già traboccanti.”

mercoledì 21 ottobre 2015

Tecnologia, energia, popolazione, capacità di carico e la sesta grande estinzione...

Dalla pagina FB di Bodhi Paul Chefurka. Traduzione di MR



Steven A. LeBlanc, un archeologo del Museo Peabody di Harvard, ha scritto un libro significativo: Battaglie continue: perché combattiamo (2004). Come un altro archeologo controverso, Lawrence H. Keeley, di cui ho parlato in note precedenti, LeBlanc si arrovella per fare un po' di chiarezza sul mito persistente dello stile di vita pacifico dei cacciatori-raccoglitori in equilibrio ecologico col proprio ambiente. Per quanto possiamo dire sulla base dei ritrovamenti archeologici, scrive LeBlanc, le società umane hanno superato le loro risorse di base, denudato la terra, fatto estinguere altre specie con le quali condividevano il territorio, poi si sono spostate per fare la stessa cosa altrove. LeBlanc mostra che lo squilibrio ecologico è sempre stato la causa principale di lotte e guerre. “Il solo filo conduttore che ho trovato in tutta questa guerra... era che era correlata a persone che superano la capacità di carico della loro area. Lo squilibrio ecologico, credo, è la causa fondamentale della guerra”.

lunedì 19 ottobre 2015

Riscaldamento globale: quant'è esattamente il calore generato dall'attività umana?

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR



Spesso è difficile visualizzare quello che stiamo facendo al nostro pianeta. Ma un semplice calcolo mostra che l'effetto serra generato dai combustibili fossili può essere visto come l'equivalente di accendere più di un centinaio di stufette elettriche da 1kW per ogni essere umano sulla Terra. E non le possiamo spegnere!


Di Ugo Bardi

Se guardate il modo in cui i climatologi descrivono il riscaldamento globale vedrete che usano molto il termine “forzante”. Cioè, l'effetto aggiuntivo delle attività umane al naturale riscaldamento da parte della luce solare. Non tutte le forzanti aumentano le temperature, alcune tendono a ridurle; per esempio, il particolato atmosferico. Il risultato complessivo viene chiamato “disequilibrio” o “forzante netta”.

Potete pensare ad una forzante in termini di qualcuno che cerca di spostare una persona che non vuole muoversi. Se la persona che spinge è più forte, la forza netta risultante causerà che la persona viene spinta a muoversi. Nel caso del clima, le forzanti di riscaldamento sono più forti di quelle di raffreddamento e il risultato netto è un aumento della temperatura. Man mano che continuiamo ad emettere CO2 ed altri gas serra nell'atmosfera, la forzante serra aumenta, come vedete nella figura sotto (Hansen 2011).

venerdì 16 ottobre 2015

Il declino della produzione di petrolio negli Stati Uniti

Da “reuters”. Traduzione di MR (via Cristiano Bottone)

Di Dmitry Zhdannikov e Ron Bousso



Una pompa in funzione in un pozzo preso in affitto dalla Devon Energy Production Company vicino a Guthrie, Oklahoma nel settembre 2015.REUTERS/NICK OXFORD


Alcuni dirigenti petroliferi martedì hanno avvertito di un declino “drammatico” della produzione statunitense che potrebbe spianare la strada ad una futura impennata dei prezzi se la domanda di combustibili aumenta.

I delegati della conferenza Oil and Money a Londra, un incontro annuale di funzionari esperti di petrolio, hanno detto che i prezzi mondiali del petrolio sono stati troppo bassi per sostenere la produzione di petrolio da scisto, la maggiore aggiunta alla produzione mondiale dell'ultimo decennio.

mercoledì 14 ottobre 2015

RIVOLUZIONE E CONTRORIVOLUZIONE VERDE.

di Jacopo Simonetta

L’Expò si prepara a chiudere i battenti e con essa si chiude la festa mondiale dell’industria agro-alimentare nata da quella che fu chiamata “Rivoluzione Verde”.   Un momento idoneo per chiedersi cosa sia stata e come ha condizionato la storia dell’umanità.   Personalmente, ritengo infatti finora che se ne sia ampiamente sottovalutata l’importanza e per spiegarmi farò qualche passo indietro.

La prima vera “rivoluzione” che ha interessato la nostra specie non ha un nome e posso quindi battezzarla “Rivoluzione Narrativa”.   Consistette nello sviluppo di un linguaggio complesso e del pensiero simbolico.   Richiese probabilmente circa 50.000 anni e fece di noi l’unica specie capace di concepire e raccontare storie, avventure, miti, teorie scientifiche e quant’altro.

La seconda fu la ben nota “Rivoluzione Agricola” (o “Neolitica”) che iniziò circa 10 – 12.000 anni fa e prese molto, molto approssimativamente un paio di millenni.   Consistette nell’addomesticamento di alcune specie di piante ed animali e nel passaggio da un’economia basata sulla caccia e la raccolta dei prodotti spontanei ad un’economia basata sull’agricoltura e la pastorizia.
La terza fu la “Rivoluzione Industriale” che, in estrema sintesi, consistette nell’applicazione dell’energia fossile alle manifatture.   Nel giro di un secolo dominava il mondo e nel giro di due era divenuta un fenomeno globale.

La quarta è stata la “Rivoluzione Verde” e molti di noi sono abbastanza vecchi da averla vista di persona.   Sostanzialmente è consistita nell’applicazione dell’energia fossile alla produzione agricola, trasformandola in qualcosa di strutturalmente molto simile all’industria nel giro di una ventina d’anni appena.

Norman Borlaug
In effetti, i prodromi di questo fatale tornante risalgono al primo dopoguerra, quando in Europa e Stati Uniti si cominciarono ad usare in agricoltura i nitrati ed i trattori inizialmente prodotti a scopo militare.   Poi, negli anni ’30 e ’40, alcuni scienziati si preoccuparono di raccogliere in tutto il mondo piante eduli e di utilizzare le moderne conoscenze scientifiche per selezionare da queste delle nuove varietà ibride, molto più produttive.   Probabilmente i due più importanti furono l’americano Norman Borlaug ed il russo Nikolai Vavilov.   Il primo insignito del premio Nobel nel 1970, il secondo morto di fame in carcere per ordine di Stalin, nel 1943.
Nikolai Vavilov


Entrambi, e migliaia di altri fra ricercatori e tecnici, avevano lo scopo comune di “sfamare il mondo”, come già allora si diceva.   Ne avevano ben donde: nei venti anni precedenti milioni di persone erano morte di fame, soprattutto in Russia, India e Cina.    Certo molti fattori avevano concorso a determinare queste tragedie, ma solo un folle avrebbe potuto ignorare che il numero di bocche cominciava, già allora, a soverchiare le capacità produttive dei sistemi agricoli tradizionali in parecchie zone del mondo.

La Guerra mondiale fece passare perfino le carestie in secondo piano, malgrado abbia contribuito a crearne alcune delle peggiori.   Ma il flagello non si fermò con la fine delle ostilità e negli anni ‘60 e ’70 decine di milioni di persone continuarono a morire di fame:  soprattutto in Cina (1959 - 1961), in Congo (1960-61), In India (1965 – 66); In Etiopia (1973-74) ed in Bangladesh (1974).   Per citare solo le maggiori.

In quegli stessi anni cominciavano ad emergere i primi seri dubbi sulla sostenibilità dell’intero sistema economico mondiale e della stessa umanità contemporanea.   Le parole “sovrappopolazione”, “limiti alla crescita” e simili erano sulla bocca di tutti.   Lo spettro del reverendo Malthus aleggiava su tutto ciò che all'epoca si scriveva e si diceva, ma il lavoro cominciato trent'anni prima in Europa, Messico ed USA era oramai maturo per essere messo in pratica su scala globale.   Nel giro di pochi anni quella che fu definita la “modernizzazione” dell’agricoltura portò un aumento delle produzioni agricole ad ettaro compreso fra il doppio ed il triplo, mentre lo sviluppo dei trasporti su grandi distanze permise per la prima volta lo spostamento di migliaia di tonnellate di derrate dai luoghi dove ve n’era eccedenza a quelli dove erano carenti.

Di conseguenza, il numero di persone malnutrite diminuì dal 35% dell’umanità, alla metà degli anni ’60, a poco più del 15% nel 2005, mentre la popolazione mondiale raddoppiava di netto.   Nel frattempo, vere carestie colpirono solo il Sahel e la Nord Korea.   Lo spettro di Malthus fu sbaragliato dai fatti e l’idea che vi fossero dei limiti alle possibilità di sviluppo del genere umano fu archiviata sotto l’etichetta “cassandrate” fra l’entusiasmo generale.

Ma già dagli anni ’30, qualcuno aveva cominciato ad avere dei dubbi sugli effetti nel tempo di questo approccio.   Dubbi che l’esperienza non fece che confermare:

Le nuove varietà sono produttive solo se si utilizza l’intera gamma di prodotti fitosanitari e fertilizzanti previsti, altrimenti danno meno delle varietà antiche.   Le proprietà nutritive dei prodotti sono peggiorate, generando diffusi problemi di salute.   L’uso e l’abuso di concimi inorganici ha provocato la moltiplicazione dei parassiti, la destrutturazione dei suoli e l’inquinamento delle acque del mondo intero.   I pesticidi non riescono più a contenere il pullulamento di parassiti ed infestanti sempre più resistenti, mentre rendono tossici suoli ed acque, spedendo milioni di persone a cimitero non più per fame, ma per cancro.   L’irrigazione ha desertificato e salato vaste regioni, inaridito l’intero pianeta.   La meccanizzazione pesante ha fabbricato centinaia di milioni di disoccupati, mentre ha destrutturato ed eroso i suoli agricoli.    Il commercio internazionale ha creato rapporti di dipendenza sempre più perversi che non di rado sfociano in fenomeni di vera schiavitù o peggio; in ogni caso, nel gioco del mercato gli agricoltori sono risultati perdenti.   Intere civiltà contadine sono state spazzate via per fare spazio a distese desolate da una parte, favelas dall'altra.

Persone denutrite (dati FAO 2010).
 In numero assoluto a sinistra, in percentuale a destra.
E nel frattempo la quantità di gente malnutrita ha ripreso a salire rapidamente sia in numero assoluto che in percentuale, mentre a fronte di uno sforzo produttivo in crescita esponenziale, la produzione di cibo rimane sostanzialmente stazionaria.   Se vere carestie in corso non ce ne sono, sommosse per l’eccessivo prezzo del pane abbondano e, non di rado, contribuiscono a precipitare interi stati nel caos.   In rapporto alla popolazione, la disponibilità di cibo è dunque tornata a diminuire ed il fantasma di Malthus torna ad infestare le notti di quanti sono in grado di pensare al domani.

Dunque il bilancio è positivo o negativo?   Anziché esprimere un giudizio, è interessante gettare uno sguardo alla termodinamica dei sistemi produttivi.   Il successo della Rivoluzione Industriale è dipeso dalla sostituzione di risorse energetiche rinnovabili, ma disperse come flussi d’acqua e di aria, muscoli animali ed umani, con risorse energetiche infinitamente più concentrate, versatili ed economiche: carbone, ma soprattutto petrolio; secondariamente gas.

Con tecniche molto diverse, abbiamo fatto esattamente lo stesso con la Rivoluzione Verde: l’insieme di tecniche adottate ha permesso all'uomo di utilizzare l’energia fossile per produrre cibo.   Se, infatti, analizziamo il flusso di energia attraverso un agro-ecosistema pre-rivoluzione troviamo che vi è un’unica fonte di energia: il sole.   Anche il lavoro muscolare i uomini ed animali proveniva infatti dal cibo cresciuto sul podere grazie alla luce solare.

La medesima analisi fatta su di un agro-ecosistema industrializzato ci mostra che ogni Kcal di cibo che arriva nei piatti richiede la dissipazione di 10-15 Kcal di energia fossile.   Fino a 40, nel caso di filiere complesse come quella dei surgelati.
Da Gail Tverberg
In pratica, noi oggi mangiamo principalmente petrolio e, secondariamente, metano e rocce.   Tutto il resto serve a rendere questi materiali digeribili.   Ma sappiamo che il picco del greggio è alle nostre spalle (2005 per la precisione), mentre il picco di tutte le forme di energia è circa adesso.

  Dunque il flusso di energia fossile che ha permesso all'umanità di passare da 3 miliardi a quasi 8 sta rallentando e sempre di più lo farà negli anni a venire.   Cosa mangeremo?

In pratica, la Rivoluzione Verde ci ha permesso di barare, aumentando la capacità di carico del pianeta, ma solo per poche decine di anni, poi tornerà la normalità.   Il che presumibilmente significa un rapido ritorno sotto la soglia dei 3 miliardi e probabilmente meno.   A meno che…
Già da alcuni decenni sta maturando in molti ambienti qualcosa che si propone di essere una vera e propria “Controrivoluzione Verde”.   In estrema sintesi, l’idea e la pratica sono di abbandonare l’energia fossile con tutto l’armamentario chimico e meccanico dell’agricoltura contemporanea per sostituirlo con una vasta gamma di tecniche più o meno nuove che vanno dalla Biodinamica, alla Permacoltura, all'Orticoltura Sinergica e numerose altre.

Un vasto numero di esperienze e di studi confermano la validità di un simile approccio, perlomeno ad una scala aziendale o locale.   Se poi questi metodi siano in grado di alimentare le megalopoli del mondo resta da dimostrare, ma di sicuro ci sono ampi spazi per una loro molto maggiore diffusione e sviluppo.   Nelle intenzioni di chi le divulga c’è la certezza , o perlomeno la speranza, che in tal modo si possano nutrire gli 8 o 9 miliardi di persone prossime venture senza desertificare il Pianeta e senza sfruttare nuove forme di energia.

A ben vedere, delle quattro Rivoluzioni precedenti, solo le ultime due hanno comportato l’uso di una fonte supplementare di energia.   Le precedenti hanno invece ottenuto una maggiore efficienza nello sfruttamento di quello che già si usava.   Ora ci si propone, con buoni argomenti, di replicare l’impresa aumentando l’efficienza nello sfruttamento del sole, dei suoli e dell’acqua in misura tale da poter archiviare perfino il petrolio.   Possibile che si possa ottenere un risultato di così vasta portata?   Forse, ma ciò che mi stupisce è che nessuno si pone la questione di cosa succederebbe se quest’utopia diventasse realtà.

Senza Rivoluzione Narrativa gli umani sarebbero rimasti meno di un milione nel mondo.   Senza quella agricola saremmo rimasti intorno a 5-6 milioni.   Senza Rivoluzione Industriale saremmo rimasti meno di un miliardo sul tutto il Pianeta.   E senza Rivoluzione Verde saremo ancora 3 miliardi o forse un po’ meno.   Se davvero la “Rivoluzione Bio” avesse il successo sperato, non osserveremo forse lo stesso identico fenomeno avvenuto nei casi precedenti?   Aumento della disponibilità di cibo, quindi aumento della popolazione e nuova crisi ad un livello più alto di stress sul sistema planetario?
Tutte le popolazioni animali aumentano finquando il numero dei morti non eguaglia quello dei nati.   Finora, aumentare la disponibilità di cibo è servito ad aumentare il numero di bocche, rilanciando questo gioco terribile per un altro giro.   Alzando però la posta, rappresentata dalla percentuale di Biosfera e di umanità che dovranno morire per ristabilire l’equilibrio.
I fattori limitanti sono quella cosa odiosa che, uccidendo gli individui, garantiscono la sopravvivenza delle popolazioni e degli ecosistemi.

Ci sarebbe, in teoria, una scappatoia.   Sarebbe infatti possibile rimuovere un fattore limitante (ad es. la fame) senza conseguenze nefaste a condizione che ne subentri subito un altro che impedisca comunque alla popolazione di crescere.   Cioè esattamente quello che era stato prospettato, a suo tempo, dai programmatori della Rivoluzione Verde: aumentare la produzione di cibo era una soluzione A CONDIZIONE che, contemporaneamente, si riuscisse a stabilizzare la popolazione sui livelli di allora o poco più.

Altrimenti, fu detto, l’intera operazione si sarebbe risolta in un disastro di proporzioni inimmaginabili.   All'epoca si pensava di poterci arrivare tramite uno stretto controllo delle nascite, ma è andata diversamente.

Ora stiamo cercando di rilanciare alzando la posta.   Abbiamo una vasta gamma di tecniche che forse possono nutrire 8 o 9 miliardi di persone anche a fronte di una ridotta disponibilità di energia fossile. OK, ma se funzionasse, come eviteremo di diventare 10 o 12 miliardi?

Se non si risponde a questa domanda in maniera credibile e continuiamo a pensare in termini di massima produzione siamo magari dei bravi agricoltori, ma non stiamo facendo nessuna contro-rivoluzione.