martedì 18 giugno 2013

Cinismo nell'era del declino

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


Di Antonio Turiel

Cari lettori,

è normale, da qualche anno, che le dichiarazioni pubbliche di diversi organismi ed istituzioni internazionali pubbliche riguardo ad un possibile scenario di scarsità energetica siano sprezzanti. In molti casi un tale atteggiamento riflette un'ignoranza di alcuni aspetti tecnici associati all'arrivo del picco del petrolio, il che non sorprende, visto che coloro che governano questi organismi di solito sono economisti e sappiamo già il perché gli economisti non capiscono l'Oil Crash (e nemmeno il problema specifico posto dalla diminuzione dell'EROEI). In altri casi, abbiamo a che fare con autentici spacconi, esperti nel fabbricare il dubbio con fini del tutto illegittimi (generalmente favorire la liberalizzazione amministrativa e continuare con la festa come se nulla fosse). In alcuni casi, tuttavia, tale opposizione si trova nei media governativi, che si basano su una confusione di concetti favorita da quegli organismi che hanno la funzione di consigliarli in materia di sicurezza energetica. Il motivo per il quale questi organismi di consulenza agiscano in questo modo è difficile da sapere. Può darsi che abbiano paura delle conseguenze del parlare chiaramente, può darsi che ai loro responsabili vengano imposte direttive politiche per non riconoscere la verità... Comunque sia, il fatto è che ora che il tramonto del petrolio è qui, sto rilevando un aumento di dichiarazioni sempre più stentoree da parte dei diversi responsabili, senza che in realtà ci siano argomenti nuovi per negare che le risorse del mondo siano finite e, ciò che è più grave, che la disponibilità possibile delle stesse abbia i suoi limiti. Al margine delle loro motivazioni, è chiaro che il loro atteggiamento è piuttosto cinico.

Il fatto è che alcuni lettori mi hanno chiesto ripetutamente, negli ultimi tempi, di alcune di queste dichiarazioni di abbondanza energetica che stanno in piedi solo sulla carta e, data la frequenza e l'impatto delle stesse, ho pensato che sarebbe stata una buona idea compilarle in un post, anche se. Come vedrete, non c'è davvero niente di nuovo sotto il Sole. Ecco la mia relazione sommaria:


Non ci sono problemi col petrolio, ce n'è tanto quanto quello estratto finora: Questa affermazione è stata fatta da un responsabile di CORES in una recente conferenza a ESADE, a Barcellona. La cosa divertente è che la seconda affermazione è di fatto corretta. Effettivamente, se pensiamo al petrolio greggio, è stata consumata poco più di 1000 miliardi di barili di petrolio e le riserve restanti stimate si crede siano altri 1000 miliardi, approssimativamente. Tuttavia, a chi lavora a CORES non può sfuggire che il problema sia la produzione e non le riserve. A che mi serve avere 100 milioni di euro in banca se mi lasciano prendere solo 100 euro al mese? Giustamente, il problema è che la prima metà delle riserve – quella a cui era più facile accedere – l'abbiamo estratta in una fase di produzione crescente (ogni anno si estraeva più petrolio di quello precedente) mentre la seconda metà – quella di più difficile estrazione – uscira ad un ritmo sempre più lento (ogni anno si estrarrà di meno che in quello precedente).


Pertanto, quella che pretende di essere una affermazione ottimista è in realtà un modo illegittimo di camuffare la realtà; un argomento convincente per i non informati, mera propaganda. 

Il problema della produzione è di mero investimento: chi fa questa affermazione non sa, o finge di non sapere, del il Ritorno sull'Investimento Energetico (EROEI) e le sue implicazioni. Perché il punto non è se è tecnicamente possibile estrarre tutto quel petrolio che c'è nel sottosuolo, ma se possiamo estrarlo in modo redditizio. Per l'economista, che vede solo i soldi, è solo una questione di miglioramento delle tecniche estrattive e, con l'investimento adatto, si potrà fare. Tuttavia, la chiave è la redditività energetica, la quale evolve lentamente e in realtà ha la tendenza a diminuire nonostante i miglioramenti tecnologici. E se l'affare non è conveniente energeticamente è impossibile che lo sia economicamente. 

Le riserve strategiche di petrolio degli Stati Uniti si trovano ai massimi degli ultimi 5 anni. Picco del petrolio? Perdonatemi se rido: questo commento, praticamente preso alla lettera, l'ho letto settimane fa da un noto gestore di fondi. Questa persone, in concreto, è solito insistere sulla dimensione delle riserve strategiche degli Stati Uniti, quando difficilmente si può trovare un termometro peggiore per quanto riguarda la situazione del petrolio. Per cominciare, spieghiamo cosa sono le riserve strategiche di un paese. Si tratta di petrolio stoccato in grandi serbatoi in luoghi chiave e il cui scopo è garantire la continuità della fornitura ai servizi e ai settori chiave nel caso di una interruzione della fornitura di petrolio. Sono state create negli anni 70 proprio per ammortizzare gli effetti associati alle interruzioni di quel periodo (embargo arabo, guerra Iran-Iraq). Tutti i paesi dell'OCSE, ed alcuni che non appartengono a questa organizzazione, hanno le proprie. Per legge, devono coprire almeno 60 giorni di consumo o 60 giorni delle importazioni tipiche di quel periodo dell'anno, la cifra più alta fra le due. Dato questo obbligo legale, normalmente queste riserve si muovono intorno a questa cifra, 60 giorni (il petrolio entra ed esce continuamente da queste installazioni perché una volta estratto si degrada a contatto con l'aria e pertanto non si può lasciare stoccato così com'è. Così, queste riserve strategiche variano poco e probabilmente tendono a diminuire al diminuire del consumo del paese. In ogni momento dell'anno la variazione del volume di riserve strategiche rispetto alla media dei 5 anni precedenti nella stessa data è insignificante in percentuale, essendo molto più importanti le variazioni durante l'anno (posto che non si consumi la stessa quantità in inverno o estate che in primavera ed autunno). E in ogni caso, siccome questa quantità varia, non ci dice nulla sull'evoluzione futura della produzione, ma sui modelli attuali di consumo degli Stati Uniti. 

Sulla stessa linea, a parte le riserve strategiche, la stessa industria conserva del petrolio da usare come cuscinetto in caso di contingenze comuni (un petroliere che ritarda, un'avaria ad un oleodotto...). Questo cuscinetto è, nel caso degli Stati Uniti, di una trentina di giorni, senza che esista un mandato concreto circa la sua dimensione. Le sue variazioni percentuali sono più rapide di quelle delle riserve strategiche, a causa del fatto che rispondono più alle previsioni sul mercato che fa l'industria. Negli Stati Uniti, durante gli ultimi mesi, queste riserve hanno raggiunto il massimo in 5 anni, anche se ora stanno tornando ai valori medi. Come prima, questo indicatore a sua volta non è significativo per quanto riguarda la produzione (per quanto l'homo economicus pretenda che la produzione risponde ai cambiamenti della domanda riflessi in questi grafici – fallacia assoluta che si sfalda vedendo l'attuale inelasticità della produzione di petrolio di cui abbiamo già parlato).

Negli Stati Uniti, negli ultimi 5 anni, si sta vivendo un boom del gas naturale grazie alla produzione di gas di scisto, che è il combustibile del futuro: sembra un bugia che, con l'abbondanza di dati disponibili, si continuino a dire queste sciocchezze. A parte che la produzione di gas di scisto è semplicemente una rovina dal punto di vista economico, io non vedo nessun boom di gas naturale negli Stati Uniti. Ovviamente ciò dipende cosa definiamo “boom”. 

Vediamo come si è evoluto il consumo di gas naturale negli Stati Uniti (dati della Energy Information Administration):



Il grafico ci indica i consumi aggregati di gas durante i 12 mesi precedenti. Pensate che, sebbene il consumo di gas recupera qualcosa del 2005, nel 2009 era ancora al di sotto dei livelli del 2000. Solo dal 2010 al 2012 il consumo arriva a salire ad un ritmo significativo, di circa un miliardo di piedi cubici di consumo aggiuntivo all'anno. E' così piccolo che ce ne vuole per parlare di boom: sarebbe di circa 1 miliardi di piedi cubici in tre anni, cioè di meno di un 1,5% annuale se lo guardiamo dal 2010 e dello 0,3% se lo guardiamo dal 2000. Infine, ciò significa che i nostri commentatori stanno esagerando l'importanza della crescita del consumo.

Esagerazioni varie sul futuro della produzione di petrolio negli Stati Uniti: questa è stata un'altra delle affermazioni del responsabile di  CORES a ESADE. Sicuramente avrete letto che gli Stati Uniti saranno il primo produttore di petrolio del mondo verso il 2020 ed esporterà petrolio a partire dal 2035; in alcuni siti, facendo la ola ad affermazioni tanto rocambolesche, arrivano ad affermare che esporterà petrolio l'anno prossimo – in realtà gli Stati Uniti commercia diversi tipi di petrolio e di diversa provenienza e, con la diminuzione delle qualità dei petroli disponibili ed i problemi con le raffinerie (che abbiamo già discusso qui) si prevede di esportare eccedenze di petrolio pesante verso altri siti dove si possa raffinare, anche se si mantenessero o anche aumentassero le importazioni di altri tipi di petrolio.

Tutte le esagerazioni che circolano attualmente sul futuro energetico degli Stati Uniti si basano su affermazioni o rapporti della IEA, che lo scorso novembre ha fatto il suo rapporto annuale e da poco lo ha rinnovato per mezzo del rapporto semestrale. Tuttavia, da dire al fare c'è di mezzo il mare potete leggere la traduzione di un eccellente post di Matthieu Auzanneau sul questo tema su questo stesso blog). Quando abbiamo analizzato l'ultimo rapporto annuale della IEA, abbiamo evidenziato questo grafico:


Il grafico mostra come si evolveranno le importazioni di petrolio negli Stati Uniti (curva azzurra in basso) secondo lo scenario centrale proposto dalla IEA. Come vedete, anche nel 2035 gli Stati Uniti continuerebbero ad importare più di 3 Mb/g (sui più di 18 Mb/g che consumano in questo momento), ma qui la IEA fa un divertente trucco contabile. Secondo la IEA, gli Stati Uniti saranno autosufficienti in modo netto perché le eccedenze di gas naturale che produrrà equivarranno alle mancanze di petrolio. Poco importa che a parità di contenuto energetico il petrolio valga più del doppio del gas naturale e che probabilmente non hanno mercato sufficiente per il loro gas: questo salto nel vuoto serve per creare una narrativa stimolante. Tuttavia, la cosa davvero grave di questo grafico (come abbiamo commentato a suo tempo) è che si assume come ipotesi naturale che gli Stati Uniti ridurranno la propria domanda estera (quello che nel grafico chiamano “Demand-side efficiency”) a 4 Mb/g, cioè a più del 20% del proprio consumo attuale. Prendendo l'insieme del consumo di petrolio, la IEA prevede una discesa del consumo di petrolio degli Stati Uniti del 31%, il che è abbastanza grave se si tiene conto che grandi scivoloni del consumo, e non di questa importanza, sono sempre e soltanto state accompagnate da una profonde recessione economica. Certamente, se l'industria degli Stati Uniti sprofonda, il paese può smettere di importare petrolio, ma non sono molto sicuro che questa sia una buona notizia... Come non lo è, in realtà, che gli Stati Uniti potrebbero arrivare ad essere il primo produttore del mondo prima del 2020, visto che lo sarebbe con un segno simile a quello attuale di Arabia Saudita e Russia, e se gli Stati Uniti occupassero il primo posto sarebbe per il declino di quei due paesi. Insomma, che si trucchino da buone notizie quelle che in realtà sono notizie orribili, è la massima espressione del cinismo.

Senza dubbio i lettori identificheranno ora o nei prossimi mesi informazioni dello stesso tenore. Se volete sapere cosa c'è di certo e cosa di esagerato in una promessa di abbondanza energetica, la mia raccomandazione è quella di cercare i dati originali sui quali si basano le dichiarazioni originali (sulla stampa, particolarmente quella spagnola – ma anche italiana, ndt – le notizie a volte arrivano molto falsificate a causa di una certa sciatteria o mancanza di rigore di alcuni giornalisti che non verificano i dati originali). E, una volta che avete i dati alla mano, prendete una calcolatrice e comparate i dati: se parliamo di nuove riserve di petrolio, comparatele col consumo del pianeta (90 Mb/g), per vedere se sono tanto grandi; se parliamo di miglioramenti presunti fondamentali, verificate se alla fine non hanno che un impatto marginale nel consumo o nella produzione di quel paese; se si parla della tale tecnologia rivoluzionaria, verificate se si trova già in fase commerciale o se parliamo solo di prototipi o peggio ancora, di esperimenti ancora in laboratorio, ecc. In molti casi, senza grande fatica, vedrete come si abusa dell'anumerismo del lettore. Il che è preoccupante nel caso di un giornalista ed è praticamente un tradimento degli interessi generali nel caso dei gestori pubblici. Ed è che, in alcune circostanze, tanto cinismo non è scusabile.

Saluti.

AMT














domenica 16 giugno 2013

Il grande errore dei biocombustibili

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR



Di Antonio Turiel

Cari lettori,

già da un paio di decenni nella maggior parte dei paesi occidentali è obbligatorio per legge che una parte di ciò che viene distribuito dalle pompe delle stazioni di servizio sia quello che la legge denomina biocombustibile. Per biocombustibile si intende un liquido di origine vegetale che può supplire, almeno parzialmente, ai carburanti convenzionali di origine fossile. La percentuale della miscela che deve essere biocombustibile conforme dal punto di vista legale, oscilla dal 7%, come obbliga l'Unione Europea, al 15% vigente in molti stati degli USA. 

Perché è stato introdotto quest'obbligo di miscelare i carburanti di origine fossile un un surrogato povero, con minore potere energetico e che, come vedremo, porta molti problemi? C'è stata, a suo tempo, una motivazione principale: diminuire la dipendenza dall'esterno. L'idea che avevano i legislatori era che i nostri agricoltori occidentali avrebbero coltivato il nostro combustibile. Tuttavia, come mostrano numerosi studi, il ritorno energetico (EROEI) della maggior parte dei biocombustibili è talmente basso che in realtà quello di “coltivare la nostra energia” è un affare disastroso. Tanto disastroso che finora l'aggiunta di biocombustibili era sovvenzionata dagli Stati, nella speranza che la tecnologia si sviluppasse sufficientemente da far aumentare la redditività energetica e con essa la redditività economica e che alla fine ne sarebbe valsa la pena. 

Tuttavia, quello che è successo nella pratica è che, al calore della normativa che da un lato obbliga l'aggiunta di biocombustibili e che dall'altro li sovvenziona, è nata una grande industria su scala globale, destinata alla coltivazione su grande scala di diverse piante per la produzione di biocombustibile. Di sicuro conviene chiarire che il nome più corretto per queste sostanze è agrocombustibili, visto che il prefisso “bio” potrebbe dar da intendere che siano prodotti naturali e tutto sommato rispettosi dell'ambiente e/o della biodiversità, mentre in realtà si tratta di prodotti derivati dall'attività su grande scale del settore alimentare e coltivati a livello industriale. E giustamente, a causa dell'uso delle tecniche di grande scala necessarie per coprire una tale mole di domanda, questo è il motivo per cui l'EROEI è così basso: per produrre i 2 milioni di barili giornalieri di “biocombustibili” (agrocombustibili in realtà, insisto) che si producono oggigiorno nel mondo, si utilizza una quantità enorme di fertilizzanti, pesticidi, trattori, mietitrebbie e diverse macchine di macchina per la lavorazione, con grandi input di energia. Un vero e proprio spreco energetico, ma che fino ad ora poteva essere marginalmente redditizio – con le sovvenzioni – visto che finora l'energia era a buon mercato. 

Come abbiamo frequentemente denunciato, la produzione di agrocombustibili è in competizione con gli usi alimentari, portando a situazioni aberranti. Per esempio, nel 2011 gli Stati Uniti hanno dirottato il 43% della produzione di mais verso il bioetanolo – con un EROEI di 1 (!!) - mentre a livello mondiale il 6,5% dei cereali e l'8% degli oli vegetali sono stati destinati ai biocombustibili (come spiega il ricercatore Tim Searchinger). L'Argentina ora coltiva grandi quantità di soia destinata all'esportazione e alla produzione di biodiesel (e con un EROEI che non arriva a 2), la produzione di bioetanolo da canna da zucchero del Brasile è solo marginalmente redditizia e l'unica grande coltivazione davvero redditizia su scala globale è quella dell'olio di palma proveniente dall'Indonesia e dalla Malesia (anche se è difficile che possa continuare a lungo termine, visto che le pratiche di coltivazione utilizzate non sono affatto sostenibili). E nel frattempo, grazie al fatto che vengono dirottati questi alimenti per sfamare le macchine dei ricchi, i poveri muoiono di fame.

E se questo fosse poco, l'introduzione di agrocombustibili genera problemi nuovi, a volte di particolare gravità. Per esempio, l'etanolo di origine vegetale è corrosivo (come in realtà lo solo la maggior parte dei composti derivati dal petrolio), il che obbliga ad introdurre più inibitori della corrosione. Dall'altra parte, il biodiesel non equivale perfettamente al petrodiesel, la sua molecola è polare e più igroscopica, per cui può accumulare acqua con più facilità. Quest'acqua diminuisce il potere combustibile della miscela, ma in più genera un problema anche peggiore: in questa interfaccia troppo spesso proliferano colonie di batteri ed altri microorganismi che generano una gelatina che può produrre ostruzione nel motore e che se arriva agli iniettori possono causare una grave avaria. Per evitare reclami, i proprietari delle stazioni di servizio fanno trattamenti periodici dei propri depositi con biocidi, che sono essenzialmente antibiotici – non negherete questa è una grande, grande ironia: togliendo il cibo agli uomini per darlo alle macchine abbiamo ottenuto che le macchine soffrono di malattie da uomini. Aggiungete a ciò che alcuni biodiesel, come l'olio di palma, hanno punti di fusione abbastanza alti, per cui a temperature moderatamente basse solidificano e causano problemi simili – il che obbliga la grande distribuzione di carburante a tenere un occhio sulle previsioni meteorologiche a vari giorni, al fine di decidere la miscela (e, se avete una macchina diesel, non stupitevi se in giorni repentinamente freddi la macchina abbia dei considerevoli cali di potenza). 

Tutti questi problemi, insomma, presuppongono un incremento notevole dei costi aggiunti. A volte, per evitare l'escalation dei costi, alcuni controlli indispensabili con l'attuale complessità dei carburanti (controlli sulla contaminazione batterica nelle botti del combustibile e sulla separazione degli elementi della miscela) semplicemente non si fanno, con conseguenze a volte fatali. Per aggravare la situazione, il governo spagnolo ha recentemente ritirato la sovvenzione ai biocombustibili ma ha mantenuto l'obbligatorietà di avere il 7% nella miscela finale. Insomma, tutti questi problemi si convertono in maggiori costi che in genere sono sostenuti dall'ultimo anello della catena di distribuzione, le stazioni di servizio, che in un contesto di domanda decrescente e costi crescenti possono vedersi condannate alla chiusura (come sta accadendo a molte in Spagna e probabilmente in altri paesi dell'OCSE).

C'è qualche buona prospettiva tecnica riguardo ai biocombustibili che giustifichino gli attuali svantaggi? In realtà no. Un recente e molto esteso studio sui biocombustibili realizzato dall'esercito degli Stati Uniti mostra che non solo gli attuali biocombustibili sono un controsenso energetico, ma che persino i previsti biocombustibili di seconda generazione (che proverrebbero dalla frazione di cellulosa dei vegetali e delle alche marine) avranno sempre un EROEI molto basso. 

Ma i biocombustibili hanno vantaggi di tipo politico:

- Servono a convertire il gas naturale in qualcosa di simile al petrolio. Effettivamente, la maggior parte del consumo di energia nelle coltivazioni industriali si deve all'uso di fertilizzanti, i quali consumano grandi quantità di gas naturale. Con questa strategia possiamo ovviare parzialmente alla mancanza di petrolio (che, ricordiamo, è avviato al suo tramonto). Ma questa strategia non è esente dal problema, al contrario. Da un lato, la produzione massima di agrocombustibili è molto limitata, tenendo conto del fabbisogno di terre coltivabili, acqua e fertilizzanti. E' difficile che arrivi mai ai 4 milioni di barili giornalieri (Mb/g, di fronte ai 90 Mb/g di tutti i liquidi del petrolio che si consumano in tutto il mondo proprio ora). Dall'altro lato, il picco del gas è dietro l'angolo (anche tenendo conto della truffa del gas di scisto estratto con la tecnica del fracking – truffa che abbiamo già segnalato due anni e mezzo fa su questo blog). 

- Aiutano a mantenere l'illusione che non sta succedendo niente. Effettivamente, grazie a questi 2 Mb/g che forniscono ad oggi possiamo, da una parte, trasferire l'energia del gas all'energia assimilata al petrolio e, dall'altra parte, nelle statistiche di produzione del petrolio contiamo due volte una certa quantità (perché contiamo il petrolio che va ai trattori, alle mietitrebbie, ecc. e dopo i barili di agrocombustibili prodotti, anche se sappiamo già che l'EROEI è praticamente di 1 in molti casi, cioè, l'energia consumata per la produzione degli agrocombustibili è più o meno la stessa che ci forniscono). E, nella misura in cui aumentiamo la produzione di agrocombustibili, potremo mostrare una maggiore quantità di barili giornalieri prodotti, anche se in realtà l'energia che forniscono è la stessa o inferiore a quella consumata. Così l'energia netta che arriva alla società è in realtà la stessa o inferiore. Questo sì, può mascherare le statistiche di produzione di petrolio, ma aumentando la produzione di agrocombustibili aggraviamo il problema della fame nel mondo. 

- Sono una parte importante delle esagerazioni e dei miti sul futuro della produzione di petrolio degli Stati Uniti. Lo analizzeremo più in dettaglio nel prossimo post. Basti dire qui che gli agrocombustibili sono una percentuale apprezzabile di ciò che si suppone farà aumentare la produzione di tutti i liquidi del petrolio degli Stati Uniti (presupponendo anche che i problemi di produzione agricola non si aggravino, il che è dubitabile). La cosa più divertente è che si pretende di far credere che la base del futuro energetico presumibilmente brillante degli Stati Uniti sono i petroli di scisto, quando questi scenari presuppongono che gli agrocombustibili avranno una produzione maggiore. Cosa succede qui? Che si devono mantenere le aspettative sul petrolio da fracking e sperare che la bolla non scoppi.  

Se ci pensate, le tre motivazioni evidenziate qui sopra sono completamente false e miopi  e in nessun modo rispondono alle ragioni che a suo tempo hanno portato alla piantagione obbligata degli agrocombustibili. Perché, allora, si mantiene una strategia sbagliata? Perché non si fa una rivalutazione degli obbiettivi comparata coi dati reali? Finché non si fa questo, andremo a mettere sotto pressione un altro settore, questo già molto compromesso, aumentando il rischio di collasso repentino e sistemico

Saluti.
AMT

sabato 15 giugno 2013

La cosa importante è fare qualcosa


Di Max Iacono
Da “The frog that jumped out”. Traduzione di MR



Post di Max Iacono, inspirato al post di Ugo Bardi sull'incontro sul cambiamento climatico tenutosi nella città di Fiesole



Un incontro come quello che ha avuto luogo a Fiesole, potrebbe essere facilmente visto come il primo di una lunga serie di incontri fra le parti interessate convocati come parte di un programma per lo sviluppo economico e sociale locale e partecipativo della durata di diversi anni. Mi vengono in mente due paradigmi o modelli di “sviluppo”. Uno è lo “sviluppo della comunità”e l'altro è lo “sviluppo economico locale” o più in generale lo “sviluppo locale”. “Sviluppo locale” è un termine più ampio che può includere tipi di sviluppo locale economico, sociale, politico e amministrativo, culturale ed ambientale ed un adeguata risposta locale al cambiamento climatico può essere vista come impegno in un particolare tipo di programma di “sviluppo ambientale locale” . In realtà i vari tipi “dimensionali” di sviluppo locale citati sopra sono tutti interrelati e si sostengono o si limitano vicendevolmente.

Senza inoltrarci nelle distinzioni fra sviluppo di comunità ed economia locale o altri tipi di sviluppo locale, ognuno perseguito in modo diverso, siccome l'esperienza internazionale è ampie e diversificata, è utile notare che spesso le iniziative per lo sviluppo locale partecipato cominciano con una valutazione della situazione corrente nella quale la località si trova. Le parti interessate locali guardano sia ai problemi sia alle opportunità che la comunità affronta e cercano quindi di identificare strategie e programmi per lo sviluppo della località o comunità alla quale appartengono. Se l'incontro di Fiesole , o nelle innumerevoli altre località nel mondo dove possano essere avvenuti incontri del genere, viene pensato in questo modo, all'ora l'incontro può essere visto come giusto il primo di una lunga serie orientata alla valutazione dei problemi e dei bisogni locali, per sviluppare strategie e quindi attuare una serie di misura ed azioni pratiche appropriate.

Naturalmente è molto difficile, di fatto impossibile, sapere in anticipo quali misure pratiche potrebbero o dovrebbero essere attuate alla fine dalle parti interessate, per la comunità o a livelli locali nelle milioni di comunità e località esistenti in tutto il mondo, per mitigare il cambiamento climatico ed i suoi tanti e diversi effetti in ogni posto specifico. Le misure necessariamente varieranno enormemente da luogo a luogo, da contesto a contesto.

Un effetto generale piuttosto ovvio sul cambiamento climatico, tuttavia, è che il tempo sta “impazzendo” in diversi modi. Quindi ci sono – e continueranno ad esserci – più siccità, più incendi, più piogge e nevicate molto intense, più alluvioni, più uragani, più tornado e stagioni che sono sempre più fuori dal normale – per esempio più lunghe o corte ed estati o inverni più intensi – che in tal modo colpiscono l'agricoltura in molti modi diversi, così come le piante, gli animali, gli insetti, gli impollinatori, le malattie trasmesse da vettori, ecc.

Sembra che la prima cosa di cui ogni comunità o località abbia bisogno o voglia di fare è capire: i) come è stata già colpita esattamente in qualcuno dei modi citati sopra o in altri modi durante un singolo anno di calendario e ii) come verrà probabilmente colpita nei successivi, diciamo, 5 anni basandosi sulle tendenze attuali nel peggioramento del cambiamento climatico. Siccome questo è lo scenario più probabile, visto che le ppm di CO2 continuano ad aumentare di circa 3 all'anno, sempre maggiori quantità di metano vengono a loro volta rilasciate e si fonde sempre più ghiaccio. Ma può essere utile guardare alla storia degli eventi atmosferici estremi nelle località ed intorno la sua area generica durante gli ultimi 50-100 anni, se disponibile. Questo perché un'alluvione che potrebbe essere avvenuta una sola volta in 100 anni, ora potrebbe avvenire una volta ogni 10.

Una volta che questa valutazione generale sia fatta, sarà più facile per le parti interessate locali discutere sensibilmente cosa si dovrebbe fare e cosa si potrebbe pianificare e fare da parte della comunità locale, o dalla provincia, o dalla regione, o dal paese in cui questa si trovi.

L'altro aspetto che penso ogni parte interessata locale ha probabilmente bisogno di capire è la differenza fra i vari tipi di azione e misura che sono possibili, cioè quelle che appartengono a quattro categorie: i) prevenzione ii) mitigazione iii) adattamento e iv) inversione. Misure attuate in ogni categoria possono avere effetti anche in alcune delle altre, ma in generale ci sono diverse misure per diversi obbiettivi.

Per esempio, nonostante Fiesole potrebbe volersi concentrare nel prepararsi meglio rispetto agli incendi che potrebbero avvenire, niente impedisce ai suoi residenti di essere consapevoli di cosa comporti la decisione sull'oleodotto di Keystone negli Stati Uniti, cosa che influenzerà la prevenzione probabilmente più di ogni singolo sviluppo, al momento. E, nonostante non voglia sostenerlo perché penso che sarebbe in gran parte inefficace, potrebbero anche scrivere una lettera su questo al presidente Obama, di modo che egli possa almeno sapere che persone in tutto il mondo stanno guardando ciò che fa o non fa. Fare qualcosa per prepararsi agli incendi (mitigazione locale) mentre si scrive lettera del genere (prevenzione internazionale) aiuterebbe a mettere in sinergia e ad attivare ulteriormente la preoccupazione e l'azione per il cambiamento climatico da coloro che vi sono coinvolti. La cosa importante è di fare realmente qualcosa e di ricordare che è in gran parte facendo – spesso provando e sbagliando – che impariamo sempre di più su cosa fare, come farlo e sviluppare ulteriormente le nostre capacità, la nostra fiducia e la nostra motivazione per intraprendere ulteriori azioni.


venerdì 14 giugno 2013

Rotta di collisione

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR

di Antonio Turiel

Cari lettori,

In un post recente concludevo che uno dei problemi più grandi che abbiamo è l'incapacità di fare un progetto intelligente fin dal primo momento ed al posto di questo adottiamo soluzioni evoluzionistiche. Ciò che facciamo, pertanto, è adottare soluzioni che qui e ora vanno bene anche se non andranno bene in futuro e quando le circostanze cambiano e i problemi emergono. Così, facciamo variazioni a partire dalle soluzioni vigenti per trovare nuove soluzioni che affrontino il nostro problema in modo soddisfacente. Tale approssimazione, per quanto logica possa apparire, ci può portare solo verso un'inevitabile collisione contro uno scoglio che si trova alla fine della catena evoluzionistica che abbiamo seguito. E se avessimo potuto vedere il problema nel suo complesso avremmo potuto scegliere un'altra soluzione seguendo una direzione del tutto diversa. 

Questo tipo di logica evoluzionistica (o meglio, di fuga in avanti) è presente in molti problemi che affrontiamo oggi con la tecnologia. Introduciamo tecnologie che risolvono i problemi senza renderci conto che quelle stesse tecnologie introducono altri problemi, per i quali proponiamo più tecnologia e così di seguito, fino a che non ci scontriamo contro i limiti del nostro ingegno e delle risorse disponibili. Questo problema è compreso all'interno del cosiddetto Principio delle Conseguenze  Inaspettate, che è stato introdotto dal sociologo Robert Merton il secolo scorso. Vediamo ora un esempio pratico.  

Sappiamo che ad oggi c'è un grave problema col diesel: la produzione del diesel potrebbe essere giunta al suo massimo nel 2008 perché, nonostante questi surrogati del petrolio che chiamiamo “altri liquidi” siano riusciti a dissimulare la caduta della produzione di petrolio greggio, il fatto è che per fare diesel manca il petrolio greggio e inoltre la miscela usata per raffinare il diesel deve avere una certa percentuale di petrolio leggero, del quale ce n'è sempre di meno (l'Iran non lo produce già più, il Venezuela molto poco e in Arabia Saudita comincia a scarseggiare). Tutto ciò ha fatto sì che la produzione di diesel ne stia già risentendo. Alcune raffinerie nel mondo occidentale stanno facendo grandi investimenti per adattarsi alla mancanza di petrolio leggero ed agli alti costi della materia prima e dell'energia (vedete qui un esempio nel Regno Unito), mentre molte altre raffinerie chiudono direttamente (potete trovarne un elenco su questa pagina Web). Insomma, il finalmente riconosciuto arrivo del peak oil ha generato molti effetti non lineari nel nostro mondo complicato, fra questi la chiusura di raffinerie e la diminuzione anche maggiore dell'accesso ai combustibili. 

Uno degli aspetti riconosciuti che hanno reso più grave questa crisi del diesel è lo storico cambiamento delle auto a benzina con auto diesel in Europa durante gli ultimi due decenni. Tale movimento ha risposto ad una logica evoluzionistica, di mercato: dato che in modo naturale si produceva una certa quantità di diesel nelle raffinerie e il diesel da trazione è più economico della benzina, in modo naturale il mercato ha avuto la tendenza a trovare un posto al carburante relativamente più abbondante ed economico; il diesel. Come vedete, tutta logica evoluzionistica e tutto libero mercato. 

Tuttavia, per le ragioni spiegate prima, l'arrivo del picco del diesel è stato anticipato rispetto a quello del picco della benzina ed ora ci rende conto dell'errore di aver fomentato tale 'dieselizzazione' massiccia del parco automobilistico. Arrivati a questo punto, cosa possiamo fare? Tornare alla benzina non è facile: i motori diesel non sono compatibili con la benzina e forzare un cambiamento massiccio di veicoli privati nel bel mezzo di una crisi che sta giustamente portando ad una caduta delle vendite di auto, non sembra né facile né molto popolare. D'altro canto, lasciare che il libero mercato regoli questa situazione non è a sua volta la migliore opzione, visto che il trasporto su gomma e le macchine in generale usano lo stesso tipo di gasolio. Stiamo già avendo problemi col trasporto su strada, che sta collassando a causa degli alti costi di trasporto e della caduta della domanda di prodotti per permettere che si aggravi ancora di più e finisca per far schizzare l'inflazione, cosa che porterebbe una maggior caduta del consumo e l'aggravamento della crisi. Insomma, siamo giunti ad una strada senza uscita. Qualsiasi opzione che venga scelta provocherà molte conseguenze sgradevoli. Stiamo andando nella direzione di una collisione inevitabile. 

Rispetto a questo problema, è significativa l'evoluzione del governo francese. A metà dello scorso hanno c'è stato un certo sommovimento e dibattito pubblico all'interno dei mezzi di comunicazione sulla convenienza di accantonare il diesel, almeno nelle grandi città. Secondo la relazione ripetuta come un mantra dai media gallici, un nuovo rapporto dell'Organizzazione Mondiale della Salute ratificava quanto nocivi fossero per la salute i gas di scarico dei motori diesel e ciò apriva il dibattito “urgente” sulla necessità di cambiare. In realtà, si sa da vari decenni che i motori diesel sono più inquinanti di quelli a benzina, nonostante le numerose e significative migliorie fatte nella sua ingegneria. Dall'altra parte, in Francia come nell'insieme dell'OCSE (e non parliamo della Spagna), il traffico su ruota è diminuito, come conseguenza della crisi, il che riduce relativamente l'urgenza di questo dibattito (almeno da un punto di vista politico; il tema dell'inquinamento da diesel è certamente serio ed avrebbe dovuto essere affrontato seriamente molti anni fa). Pertanto, da più l'impressione che questo dibattito, spronato dai media, obbedisca alla necessità di passare alla cittadinanza la necessità di disfarsi del diesel anche se i motivi reali di questa necessità svengono presentati camuffati. 

Quasi un anno dopo, il governo francese continua ancora a sfogliare la margherita, senza sapere tanto bene dove andare. Sanno di volersi disfare del diesel, ma all'interno del governo gallico ci sono sensibilità contrapposte e nessuno è in grado di proporre un piano realistico e fattibile per realizzare questo abbandono. Tale empasse ha portato alcuni a prendersi gioco della soppressione radicale del diesel in Francia (ridicola rispetto a quella di cui io stesso mi sono fatto eco). Nel frattempo, la disponibilità di diesel continua a diminuire, si prevedono nuove chiusure di raffinerie quest'anno e la situazione è sempre più frenetica... ma non si fa un solo passo avanti. 

Un governo debitamente informato avrebbe avuto 40 anni per anticipare questo problema e la società avrebbe potuto adattarsi gradualmente e con un certo successo. Tale strategia è quella conosciuta come “progettazione intelligente”: si guarda il problema nella sua globalità e si progetta la risposta migliore, con un monitoraggio costante del risultato. Tuttavia, la strategia che abbiamo seguito è quella della risposta evoluzionistica: continuare a dare risposte ai problemi che si presentavano man mano, uno per uno, fino ad arrivare ad una strada senza uscita (come quello che si potrebbe presentare ora in Venezuela ed Egitto). E' la strategia del breve periodo, del beneficio immediato. E' il prodotto della logica di ciò che chiamiamo libero mercato (anche se in realtà è mercato naturale, come abbiamo già discusso). 

La strategia evoluzionistica può essere paragonata ad una scala che costruiamo aggiungendo un piolo alla volta, una scala che continuiamo a salire senza nessuna garanzia di arrivare concretamente da nessuna parte. E a volte queste scale finiscono improvvisamente, facendoci precipitare nel vuoto. Questo succede anche con l'evoluzione delle specie, che a volte arriva a punti morti e le specie associate si estinguono. Qui si vede, ancora una volta, la logica perversa di imporre una certa concezione del darwinismo alla sfera sociale, cioè che la selezione del più adatto in ogni momento non è una garanzia di successo, ma che a volte lo è di un fallimento totale e definitivo. La cosa più crudele di questo fallimento totale – l'estinzione – è che è il coronamento di una lunga serie di successi. 

Se vogliamo sopravvivere come specie, se vogliamo dare una continuità all'esperimento umano, dobbiamo provare a superare la logica del breve termine ed affrontare i problemi globalmente. Tutta le gente che propone piccole toppe (questa nuova fonte di energia qui, questa nouva fiscalità qua...) per “risolvere il problema” non si rende conto che la chiave è “ripensare il problema”. E il primo passo è dire la verità, cruda, in faccia. Il secondo, passare all'azione

Saluti.
AMT

giovedì 13 giugno 2013

La realtà ci sta sommergendo?




Da “The frog that jumped out”. Traduzione di MR


Non so quale sia la vostra impressione; forse sono prevenuto, ma ho questa sensazione di accelerazione, di qualcosa che sta bollendo nella mente delle persone. Sempre più persone stanno entrando nella mischia e lo stanno facendo con forza e con argomenti robusti. E non solo scienziati: persone con diversi background e capacità si stanno facendo avanti. L'ultimo articolo nel quale mi sono imbattuto è di Gaius Publius. Ancora una volta non si tratta di uno scienziato climatico. E' scritto molto bene ed è un esempio di come comunicare il pericolo del cambiamento climatico. La verità ci sta finalmente sommergendo?


Di Gaius Publius 01.05.2013 

Mi sto preparando a ritornare sulla crisi climatica, cominciando con qualche riformattazione dei primi post delle Serie Climatiche — il passaggio a Wordpress non è stata gentile con loro – e l'organizzazione di questo materiale in forma di libro (nel lavoro c'è anche un racconto sul tema del clima; fan del thriller, restate in ascolto). Di conseguenza sto facendo uno studio serio per affinare entrambi i concetti (o, piuttosto, la spiegazione degli stessi) e la datazione degli eventi in arrivo (la crisi ai suoi vari livelli).

La prima parte di questo ritorno comprende include due apparizioni sui media questa settimana. Sarò presente a 'Virtually Speaking With Jay Ackroyd' questo martedì 2 maggio alle 9 di sera (ora dell'est) per discutere della crisi climatica per un'ora intera, seguita da un'apparizione domenicale con Avedon Carol come parte del gruppo mediatico di 'Virtually Speaking Sundays'. E' la discussione sul clima sulla quale mi voglio concentrare qui e mi piacerebbe farlo concentrandomi su 3 grafici ed alcuni riferimenti ai miei precedenti articoli sul clima.

La catastrofe climatica ci proietterà in una nuova era geologica

La storia della Terra è suddivisa in Eoni, poi Ere e poi Periodi. Ma di fatto, prima del periodo Cambriano, quando la vita sulla Terra è esplosa in numero e specie, la storia della Terra è la storia della non vita o della vita mono o multicellulare. E a partire dal periodo Cambriano, c'è comunque un solo “eone”. Sono le sue ere e periodi che ci interessano.

Quindi, cominciamo lì, col Periodo Cambriano e lo sbocciare della vita sulla Terra. Prendete in considerazione il grafico qui sotto:


La divisione in alto sono i periodi geologici, a partire dal Cambriano (“Cm”). Il periodo della “vita visibile” - vale a dire una proliferazione delle specie dal guscio duro. E' la grande esplosione della vita sulla Terra. I numeri in basso sono i milioni di anni fa. I picchi mostrano eventi estintivi, con la percentuale di specie marine estinte espresse sull'asse verticale delle ordinate (y). Il grafico non le sottolinea, ma a partire dal periodo Cambriano abbiamo avuto 3 ere geologiche (le divisioni più grandi).

Era Paleozoica — “vita primeva”
Era Mesozoica — “vita mediana” o l'Era dei Rettili (i giorni dei dinosauri)
Era Canozoica — “vita nuova” o l'Era dei Mammiferi (noi compresi)

L'Era Paleozoica va dall'inizio del grafico al grande picco di 250 milioni di anni fa sull'asse delle ascisse (X). Essa comprende sei periodi geologici ed è terminata nel più grande evento estintivo di massa del pianeta – i geologi lo chiamano la “Grande Moria”.

L'Era Mesozoica va dalla Grande Moria di 250 milioni di anni fa al grande picco di 65 milioni di anni fa, l'evento che ha spazzato via i dinosauri – ed ogni altra specie grande. Ciò ha spianato la strada ai mammiferi ed ha loro permesso di crescere in dimensioni e di prosperare. 

Ora ci troviamo nell'Era Cenozoica. Tenete a mente queste transizioni - quando le estinzioni di massa cambiano i gruppi di specie che possono evolvere e dominare, è la fine di un'era e l'inizio di un'altra. Ora guardate di nuovo il grafico. L'intero grafico mostra 540 milioni di anni e tre sole ere geologiche. Il prossimo evento estintivo sulla scala di quello di 250 milioni di anni fa, o quello di 65 milioni di anni fa, cambierà la forma della vita sulla Terra e sfocerà in una nuova era. Siete pronti per questo?

[Aggiornamento: per un grafico che mostra ere geologiche, periodi e le loro suddivisioni in un luogo, cliccate qui. Si apre in una nuova scheda.]

Quand'è che si inserisce l'uomo?

Grande domanda – quand'è he si inserisce l'uomo? Risposta: siamo arrivati molto tardi. Prima di tutto, notate gli ultimi 3 periodi geologici in alto a destra del grafico sopra. Il periodo segnato come “K” è il Cretaceo, il periodo alla fine dell'Era Mesozoica. Il periodo successivo (“Pg”) è il Paleocene, quello che segna l'inizio dell'Era Cenozoica (vita nuova). Il periodo successivo (“N”) è il Neogene, che si è concluso solo 2 milioni di anni fa. Il periodo ancora successivo, non visibile, è il Periodo Quaternario, quello attuale nostro. 

Il confine Neogene-Quaternario è l'inizio del tempo dei grandi ghiacciai ed il modo migliore per vederlo è con il grafico sotto, che mostra le temperature terrestri mappate attraverso i periodi geologici (in fondo a sinistra)

Cliccate qui per aprire la versione completa in un'altra scheda. E' un grafico grande e interessante (qui la fonte).

Prima di tutto, orientiamoci. Sull'asse Y c'è la temperatura globale che usa il cambiamento – in °C – rispetto alla temperatura globale nell'anno 1800 come normalità o punto zero (la temperatura globale prima della Rivoluzione Industriale è generalmente il punto dal quale vengono misurate le altre temperature, salvo dove diversamente indicato. Per convertire °C in °F, raddoppiate semplicemente il numero; ci andrete molto vicini). 

Sull'asse X, la prima grande divisione – da 542 milioni di anni fa a 65 milioni di anni fa – rappresenta le prime due ere geologiche, Paleozoico e Mesozoico (che purtroppo non vengono nominate in questo grafico). “K” in cima e in fondo è sempre il Periodo Cretaceo, e la fine del Periodo Cretaceo è anche la fine dei dinosauri e la fine dell'Era Mesozoica. 

A questo proposito, i grafici sono gli stessi. L'uomo non c'era ancora – i nostri antenati mammiferi erano l'equivalente di topi di campagna in quel mondo, piccole prede con deboli corazze è capacità di nascondersi. 

Ma prima di guardare al resto dell'asse X, notate che nella parte più a sinistra del grafico, l'asse Y mostra un cambiamento enorme della temperatura globale rispetto a quelle pre industriali. E' un picco mostruoso, specialmente il primo, non è vero?

Il picco della temperatura del Cambriano è di 6-8 °C (circa 11-14 °F) maggiore dei livelli pre industriali. E' anche la temperatura verso la quale siamo diretti per il 2100. Ma non distraiamoci. Stabiliamo dei riferimenti in questo grafico lungo la dimensione orizzontale (il tempo). Tutto il resto del grafico – la parte successiva al periodo chiamato “K” - mostra l'Era Cenozoica (“vita nuova” o l'Era dei Mammiferi).

Da questo punto verso destra, le suddivisioni del grafico mostrano le Epoche, che sono sottoparti dei Periodi. 

[Aggiornamento: per un grafico che mostra la relazione fra ere, periodi ed epoche, cliccate qui. Vi aiuterà a rimanere orientati].

Saltate le successive 5 divisioni – le epoche segnate come “Pal” attraverso il “Pliocene”. Ciò vi porta nel Periodo del Neogene (“N” nel primo grafico) ed all'inizio del moderno Periodo Quaternario, quello in cui ci troviamo, e quello che ci interessa. 

L'epoca del Pleistocene, che da inizio al Periodo Quaternario (guardate ancora il grafico), è la grante età dei ghiacciai. L'Homo Habilis si evolve in quel tempo, poco più di 2 milioni di anni fa. L'Homo Erectus si evolve poco dopo. Tutto comincia in Africa – ora potete indovinare il perché – e tutto lascia l'Africa e si diffonde sul globo (l'Homo Erectus, a proposito, dura per un lungo periodo sulla Terra. Di parecchio più lungo del nostro). 

L'Homo Sapiens si è evoluto molto più tardi, nel Pleistocene – l'età dei ghiacciai, ricordate – solo 250.000 anni fa, si è quasi estinto in Africa, ma si è poi ricostituito in numero per poi diffondersi oltre l'Africa come i nostri cugini. Siccome quella era l'età dei ghiacciai, siamo ancora cacciatori-raccoglitori come il resto dei nostri cugini. I grandi animali della Terra sono creature come pelosi mammut e tigri dal dente a sciabola e noi viviamo in un pianeta piuttosto gelato con ghiacciai che vanno e vengono.   

Alla fine del Pleistocene c'è un altro evento estintivo. Mentre i ghiacciai recedono (vedete il grafico), i grandi mammut e le tigri (et al) si estinguono. Simultaneamente ad un notevole cambiamento del clima, ha inizio ciò che chiamiamo “civiltà umana”. Lo potete vedere sopra, circa 10-12.000 anni fa [corretto] quando la temperatura planetaria si è stabilizzata. Da allora a quasi adesso, la temperatura è molto stabile. Notate che ci vuole appena un'oscillazione per determinare la “Piccola Era Glaciale”.  

Solo due ulteriori punti da fare in questo articolo ed ho finito.

Prima la cattiva notizia

Gente, questo piccolo aumento di temperatura che vedete vicino al margine destro del grafico sopra è solo l'inizio. Ricordate il picco del Cambriano al margine sinistro del grafico? Date un altro sguardo e notate l'aumento – circa 7 °C. Ora, ecco la Figura 21 dalla Copenhagen Diagnosis, un rapporto preparato da... ehm... tutti i migliori scienziati del clima del mondo a beneficio dei “leader” del mondo, che si sono incontrati nel 2009 per discutere come rinviare ancora una volta il problema climatico: 




Ciò che vedete sono le temperature da 500 dopo Cristo a circa il 2000, con alcuni scenari di previsione per il futuro. Vedete lo scenario chiamato “A1F1”? E' quello in rosso. E' quello nel quale ci troviamo se non smettiamo sputare carbonio. Io lo chiamo lo scenario “non facciamo niente” - detto anche lo scenario “Fate felice David Koch” (delle Koch Industries, famoso negazionista e finanziatore della comunicazione negazionista del clima, ndt.). Tutto ciò che dovete sapere? Siamo sulla strada di un aumento di 7 °C – il picco della temperatura del Cambriano – per il 2100.

Ora la buona notizia

Nonostante questa morte-e-distruzione, non è ancora finita. Davvero. Secondo i miei calcoli, abbiamo una finestra di 5-10 anni per evitare la catastrofe. Non sarà facile – abbiamo superato il punto critico e qualsiasi transizione non sarà morbida – ma possiamo fare la transizione e sopravvivere come specie civilizzata, esseri umani in un mondo riconoscibile.

Ma servono 2 cose:

1. Questa dev'essere la nostra prima priorità, il che significa che voi e tutti quelli che conoscete dovete essere pienamente consapevoli e pronti alla battaglia (come riferimento, viene chiamato, “abbracciare il mostro”).

2. Siamo noi contro David Koch e tutti i suoi amici e sostenitori. Affrontare ogni altro nemico significa prendersela con un finto nemico. Sensibilizzate i vostri amici e buttate una chiave inglese negli ingranaggi della macchina dei Koch. Come potrebbe non essere un beneficio?

Se i fratelli Koch continuano ad arricchirsi, andiamo indietro. Se Barack “Speranza di Cambiamento” Obama approva il Keystone, andiamo indietro. Se gli Stati Uniti sviluppano le risorse interne di petrolio, andiamo indietro. Per ogni nuova automobile (“sistema di diffusione del carbonio nell'atmosfera”) venduta, andiamo indietro. La gente deve sapere questo e pensare così. Possiamo fermare la crisi, ma solo se fermiamo il carbonio. E' così semplice. E così netto.

Ma è anche fattibile e noi siamo la specie più attrezzata per il “fattibile”. E ciò per cui servono i nostri grandi cervelli.

Scriverò ancora nelle prossime settimane e mesi. Non mi sono arreso, non sul lungo termine. Ma non puoi tirarti fuori da una spirale se non ammetti di esserci dentro. Io credo che possiamo tirarci fuori.

[Aggiornato per chiarezza e corretto due errori di battuta, uno di nome ed uno nell'età della nostra specie. Noi siamo vecchi di 250.000 anni, non di 250 milioni. Aggiornato anche per aggiungere i link al grafico che mostra tutte le ere, i periodi e le epoche collegate le une alle altre].

GP


mercoledì 12 giugno 2013

"Il pianeta saccheggiato" - una recensione

(da greenreport)

Il saccheggio del Pianeta, il nuovo rapporto del Club di Roma 


Il 6 di giugno sarà presentato ufficialmente a Berlino il nuovo rapporto del prestigioso Club di Roma, stilato questa volta dal prof. Ugo Bardi, docente di chimica presso l’Università di Firenze e, come riporta la sua biografia su wikipedia, “autore di molteplici contributi in vari campi della scienza, divulgatore scientifico, nonché blogger assai attivo in tale ambito: il suo blog (Effetto Cassandra) è uno dei più letti tra la comunità scientifica italiana.

Il rapporto si intitola PLUNDERING THE PLANET, HOW TO MANAGE THE EARTH’S LIMITED MINERAL RESOURCES, in cui il prof. Bardi offre un’indagine unica e affascinante della storia geologica del nostro pianeta. L’ispezione ci fa rabbrividire per le gigantesche forze che muovono le placche tettoniche e come si formano i depositi di minerali, metalli, combustibili fossili.  È in questo contesto geologico che l’umanità deve riflettere  sul modo di trattare i tesori limitati del nostro pianeta.

Nelle prime fasi della storia umana, queste risorse sono apparse senza limiti. Limitata erano piuttosto le capacità umane per accedervi. Si può interpretare la storia umana come la crescente capacità di accedere a queste risorse naturali. Dopo secoli di sempre più successo di prospezione e di sfruttamento dei tesori minerarie, siamo giunti al punto in cui dobbiamo trattenerci perché, ormai è noto, le risorse non sono infinite.

Una pietra miliare in questo dibattito è stata la pubblicazione del primo rapporto del Club di Roma nel 1972, “I limiti dello sviluppo” (è anche noto che la traduzione italiana di questo studio fu errata, in quanto si sarebbe dovuto dire “I limiti della crescita”,  dettaglio non da poco poiché crescita e sviluppo non sono proprio la stessa cosa). Questo studio presentò gli scenari di possibili percorsi di sviluppo tra il 1972 e il 2100. Per la prima volta fu presentato un modello quantitativo del percorso della civiltà industriale mondiale come funzione della ridotta disponibilità di risorse minerali.

Come già affermato in I limiti dello sviluppo, non stiamo andando a “corto” di minerali nel prossimo futuro, ma siamo di fronte a un aumento dei costi per l’estrazione e lo sfruttamento. Anche la quantità di energia necessaria per una tonnellata di metallo puro è in aumento, come dobbiamo fare affidamento sui minerali in concentrazioni minori. Quindi, i limiti reali possono risiedere soprattutto nella disponibilità di energia.

I combustibili fossili (carbone, petrolio e gas naturale) sono le risorse minerarie (di origine biologica), ma anche rappresentano le risorse energetiche che ci permettono di estrarre minerali inorganici. I combustibili fossili sono stati la nostra principale fonte di energia per gli ultimi due secoli e sono stati il ​​fattore principale che ha creato la nascita della rivoluzione industriale e lo sviluppo della nostra attuale civiltà.

Il buon senso suggerirebbe che si dia inizio alla gestione delle risorse naturali in modo sostenibile spostandoci dai combustibili fossili alle fonti energetiche rinnovabili e per dissociare la crescita economica dal consumo di risorse. Faremmo meglio a evitare di essere ingannati dalla campagna pubblicitaria corrente di gas di scisto, scisti e sabbie bituminose. Essi possono rinviare il momento di reale scarsità di una trentina d’anni, ma allo stesso tempo, essi aggravano il problema del riscaldamento globale e rischiano di bloccare sempre più in profondità i processi industriali, infrastrutture e abitudini di consumo insostenibili nel lungo periodo.

Aldo Ferretti

martedì 11 giugno 2013

“Il Pianeta saccheggiato” in pillole

Di Ugo Bardi

Da “Cassandra's Legacy” Traduzione di MR



La presentazione di Berlino del nuovo rapporto al Club di Roma “Saccheggiando il Pianeta” sembra essere andata bene e c'è molto interesse intorno al nuovo libro, almeno per quelli che possono leggerlo in tedesco! Al momento, sto facendo interviste una dopo l'altra con i media tedeschi (in inglese!) e sto maturando un certo “senso” per le cose che i giornalisti trovano utili per i loro articoli. Ho scoperto che devi condensare in singole dichiarazioni concetti che richiedono interi capitoli per essere sviluppati nel libro, Così, ecco una selezione di queste dichiarazioni; si tratta di “Saccheggiando il Pianeta” in pillole.


- Dibattere sulla quantità di riserve minerali rimaste è come preoccuparsi del bilanciamento del tuo conto in banca dopo che sei naufragato su un'isola deserta.

- Finora, abbiamo pensato alle riserve minerali come a dei soldati allineati per la battaglia: più sono e meglio è: Saddam Hussein pensava la stessa cosa quando programmava l'invasione del Kuwait.

- Tutti sanno che prezzi più alti creano più risorse. Maria Antonietta diceva la stessa cosa a proposito di pane e le briosce.

- Il mercato può rendere l'estrazione remunerativa, non può renderla poco costosa.

- Pensare che le tecnologie possano creare risorse minerali è come pensare di poter fare una pizza senza farina; soltanto con un lievito OGM innovativo.

- La più conveniente tecnologia estrattiva è quella che non hai bisogno di usare.

- Perforare di più è inutile (più perfori, prima finisci la risorsa), perforare più in profondità non serve (i depositi minerali esistono solo vicino alla superficie), perforare il fondo del mare non è una buona idea (in gran parte è geologicamente troppo giovane per avere depositi minerali), perforare gli asteroidi è stupido (troppo costoso; inoltre, gli asteroidi non hanno depositi minerali). Ah... anche stampare più soldi non aiuta.

- L'inquinamento è un altro costo della produzione dei minerali, solo che lo pagherà qualcun altro.

- C'è chi dice che esaurire il petrolio ci salverà dal riscaldamento globale. Forse. E forse finire i soldi ti salverà dalla tua dipendenza dal crack. Molto probabilmente, però, comincerai a farti sniffando colla da quattro soldi.

- Dibattere di “transizione energetica” è come dibattere a proposito di invecchiare. Il problema è che non c'è scelta.

- La transizione energetica non è solo una buona idea, è la conseguenza delle leggi della fisica.

- O gestiremo la transizione o saremo gestiti dalla transizione.


- Date combustibile fossile a un uomo ed avrà energia per un giorno. Insegnate a un uomo come produrre energia rinnovabile e avrà energia per sempre.


- La previsione è sempre difficile, specialmente se ha a che fare col futuro. Ma se il futuro non può essere previsto, almeno ci possiamo preparare al suo arrivo.