mercoledì 14 dicembre 2011

Riconoscere la scienza seria quando la vedi: il cambiamento climatico visto dagli studiosi dell'esaurimento delle risorse.


Il tavolo dei relatori alla prima sessione di ASPO-9 a Brussels. Da sinistra a destra, Pierre Mauriaud (Total); Jean-Pascal van Ypersele (IPCC); Kjell Alecklett (ASPO); Colin Campbell (ASPO); Paul Hohen (Greenpeace). Durante la discussione, Colin Campbell, fondatore e presidente onorario di ASPO, ha detto “sono convinto”, riferendosi all'intervento sul cambiamento climatico di Van Ypersele. Un buono scienziato può sempre riconoscere la buona scienza quando la vede, Sfortunatamente, sembra che molta gente coinvolta nello studio del Picco del Petrolio spesso non interagisca con la scienza del clima e la loro visione rimane legata alle distorsioni presentate dai media mainstream.


Una delle conferenze più interessanti al recente meeting sull'Energia organizzato dal Club di Roma a Basilea, è stata quella fatta da Ian Dunlop, di ASPO Australia (foto a destra). E' stato un intervento centrato più che altro sulla connessione fra energia e cambiamento climatico. Era aggiornato e diceva le cose che avevano bisogno di essere dette. Ossia, Ian Dunlop non si è vergognato di dire che il cambiamento climatico sta minacciando l'esistenza stessa della nostra civiltà e che dobbiamo fare rapidamente qualcosa in proposito. E' stata una conferenza eccellente, date un'occhiata alle slide, se avete un momento, ecco il link.

Ciò che ho trovato sorprendente sono stati i diversi commenti che ho sentito più tardi da quelli che assistevano all'incontro. Alcuni di coloro che non avevano una preparazione specifica sulla scienza del clima sembravano essere scioccati. Non sapevano, pare, che la situazione del clima è così grave e che è così urgente agire – ma ora riconoscevano il problema. Questa mia esperienza a Basilea si affianca molto bene a quella avuta a Brussels per la conferenza di ASPO-9, quando il climatologo Jean-Pascal van Ypersele ha fatto una buona relazione sul cambiamento climatico. Anche lì, la reazione di alcune delle persone che assistevano alla conferenza è stata di sorpresa: non avevano mai avuto occasione, apparentemente, di ascoltare un rapporto integrale sulla situazione del clima.

Naturalmente, non ho statistiche, ma la competenza media in scienza climatica della gente che lavora sul Picco del Petrolio e temi simili (chiamiamoli "scienziati del picco" o “scienziati dell'esaurimento” - che in italiano suona anche più sinistro, ndT). Ma la mia esperienza con questo problema è stata spesso scoraggiante: molti scienziati del picco sono gravemente indietro in quanto alle loro conoscenze circa la scienza del clima ed alcuni (solo alcuni, per fortuna!) della loro ignoranza ne fanno una bandiera, e cadono nei più ovvii trucchi della propaganda dei negazionisti o si fanno beffe dell'idea nel suo complesso con la dichiarazione semplicistica “non c'è abbastanza petrolio per il cambiamento climatico”. Ahimè, le cose sono molto più complesse di così!

Questo non significa che gli scienziati del Picco non siano gente intelligente; lo sono, assolutamente. E questo non significa che non ci sia un pregiudizio parallelo da parte degli scienziati del clima che, spesso, sembrano essere completamente ignari della situazione in termini di esaurimento delle risorse. Il punto è che tutti soffriamo di una visione ristretta. Internet è vasto ma noi tendiamo ad andare in profondità solo negli argomenti che conosciamo bene; il resto della nostra informazione proviene spesso da un misto casuale di ciò che leggiamo nei media. In questo, noi tutti soffriamo del “pregiudizio di conferma” (vedete sotto).

Quindi, quello che vi arriva dai media sul cambiamento climatico è che è tutta questione di piccoli dettagli: abbiamo assistito ad un riscaldamento durante i dieci anni passati? Qual è il significato di “nascondi il declino”? Gli scienziati non avevano paura del “raffreddamento globale” negli anni 70? E così via. Anche la gente che sta dalla parte della scienza del clima spesso sembra impegnarsi nel dibattito preoccupandosi di piccoli dettagli. Quante tonnellate di CO2 possiamo risparmiare se installiamo dei vetri doppi negli edifici pubblici? Dovremmo usare il trasporto pubblico al posto dell'auto privata per gli spostamenti? Così, l'impressione generale che ti puoi fare è che il cambiamento climatico è un problema minore affetto da grandi incertezze.

Che il risultato di più di mezzo secolo di lavoro della scienza del clima sia stato ridotto a termini così ristretti sui media, è una vittoria per la negazione: è un modo per tenere la gente nell'oscurità circa ciò che sta realmente accadendo. Ma il clima non è qualcosa che possa essere fermato da finestre a doppio vetro. E' un grande sconvolgimento dell'intero ecosistema terrestre ed ha il potenziale di causarci danni enormi. Il problema deve essere affrontato per quello che è, nella sua complessità, e con il rischio che ne viene. L'incertezza non è una scusa per non fare nulla: quello che non sappiamo è ciò che è più pericoloso per noi.

Perciò, è molto bello vedere che uno scienziato di valore può sempre riconoscere la scienza seria quando la vede. Questo è stato il caso di Colin Campbell (a sinistra), fondatore e presidente onorario di ASPO, che ha dichiarato al pubblico “sono convinto” dopo aver ascoltato la relazione di Van Ypersele alla conferenza di ASPO-9 a Brussels. E' stato lo stesso risultato visto per diversi colleghi all'incontro di Basilea dopo aver ascoltato l'intevento di Ian Dunlop. Ho notato anche in altre occasioni che gli scienziati del clima possono comprendere il messaggio dell'esaurimento delle risorse quando se lo vedono presentare per ciò che è. Sono buoni scienziati anche loro.

Quindi, è tempo di riconoscere la scienza seria quando la vediamo. Ed è tempo di dire a tutti come stanno le cose, proprio come ha fatto Ian Dunlop a Basilea.


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Sul pregiudizio di conferma:
Dal the Washington Post, di Ramesh Srinivasan

Abbiamo a lungo sentito dire che internet avrebbe dovuto unire le persone di diversi credi politici e culturali. Invece, nonostante l'esplosione delle voci in rete, gli utilizzatori dei social media raramente accedono ad opinioni che differiscono dalle proprie, e molti siti di social media – con la loro etica polarizzata mi piace/non mi piace o mi unisco/non mi unisco – perpetuano soltanto la cultura delle frasi fatte dei vecchi media.

Non solo i nostri amici di Facebook sono simili a noi (ci connettiamo normalmente tramite amici comuni ed interessi condivisi), ma, come ha mostrato il ricercatore Ethan Zuckerman, i siti che visitiamo riaffermano i nostri preconcetti politici e culturali. Questa omogeneizzazione arriva al meccanismo stesso del social media – ai suoi algoritmi – che misura i risultati di ricerca o i feed di Facebook secondo quello che il sistema “pensa” che l'utente troverà più interessante.

Avvicinare esperienze politiche e culturali disparate rimane una sfida per i social media. Per imparare da punti di vista divergenti, le tecnologie e le culture dei social media devono evolvere in modo da avvicinare la gente, piuttosto che tenerci in silos digitali.

Traduzione a cura di Massimiliano Rupalti da un articolo pubblicato su “Cassandra's legacy”.

lunedì 12 dicembre 2011

Diciamocelo Forte e Chiaro: questa crisi non finirà mai!

Guest post di Antonio Turiel apparso su "The Oil Crash" il 19 giugno 2010
Traduzione a cura di Massimiliano Rupalti.


Questo post di Antonio Turiel è stato scritto circa sei mesi fa e si riferisce alla situazione in Spagna. Tuttavia, sembra estremamente rilevante per la situazione italiana odierna e pertanto ci sembra il caso di presentarlo qui tradotto. Secondo Turiel, infatti, la crisi economica che ha colpito molti paesi europei non è un fatto congiunturale ma un fatto strutturale dovuto alla stasi della produzione petrolifera e al suo imminente declino. Per questa ragione, la crisi non finirà mai.



Cari lettori,
 
abbiamo parlato di questo argomento in modo frammentario in alcuni post e nei commenti che ne sono seguiti, ma credo che sia importante mettere insieme alcuni pezzi del puzzle e mostrare in modo attendibile quello che è un fatto: questa crisi economica in cui ci troviamo immersi non finirà mai, o perlomeno non all'interno dell'attuale paradigma economico, conosciuto come capitalismo.

Il grafico sulla sinistra (elaborato con dati dell'Agenzia Internazionale per l'Energia (IEA), del Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti (EIA) ed estratta dal rapporto mensile Oil Watch di The Oil Drum) mostra la produzione mensile di petrolio greggio degli ultimi otto anni (espressa come la media di milioni di barili giornalieri). Come potete vedere, a parte alcune oscillazioni, la quantità di petrolio greggio estratto dalle profondità della Terra permane più o meno costante dal 2005. Gli anni precedenti (che non appaiono nel grafico), dallo
shock petrolifero dell'inizio degli anni 80, avevano visto una crescita inarrestabile della produzione, ad un ritmo di quasi il 2% all'anno. 

Ma dal 2005 qualcosa si è complicato. La produzione dei nuovi giacimenti che entravano in produzione a malapena erano sufficienti a coprire la perdita di produzione dei giacimenti già in attività. Questo è un fatto: ci troviamo sull'altipiano o plateau estrattivo di petrolio greggio e la discesa potrebbe iniziare in qualsiasi momento, poiché già dagli anni 80 si scopre meno petrolio di quanto se ne consumi e questo significca che prima o poi la produzione comincerà a diminuire. Quando? Secondo ITPOES (think-tank dell'industria britannica di cui abbiamo già parlato qui) la discesa comincerà circa nel 2015. Si deve specificare che il petrolio greggio non è tutto il petrolio che si produce nel mondo, ma la maggior parte sì (circa 75 milioni di barili al giorno – Mb/d). Ci sono altri 10 Mb/d che provengono dalle sabbie bituminose, dai liquidi del gas naturale e dai biocombustibili, ma non bisogna lasciarsi ingannare. In primo luogo perché stiamo parlando di petrolio sintetizzato usando altre fonti energetiche (normalmente gas naturale) con la conseguente perdita di energia durante la conversione. E non abbiamo abbondanza nemmeno di gas naturale, anche se mancano 15 anni al picco. Queste fonti alternative di petrolio sono semplicemente una stupida fuga in avanti, un modo di occultare un realtà nuda e cruda, cioè che sono anch'esse quasi al limite della loro capacità di produzione e non potranno ritardare di molto il declino petrolifero. In secondo luogo, la capacità calorica di questi “petroli” è solo il 70% dell'originale, cosicché, in un certo senso, stiamo chiudendo la stalla quando i buoi sono già scappati. Non avete notato che ultimamente la vostra auto tira di meno? E' normale, per via di una normativa europea i carburanti commercializzati nella UE devono contenere un minimo del 5% di biocombustibile. In qualche modo dobbiamo usare questo “petrolio” scadente che sintetizziamo, ma non è buono come l'originale...
 
Il fatto che la produzione di petrolio non cresca non significa che si fermino i nostri consumi, che di per sé sarebbe già un male. In realtà stiamo decrescendo. Guardate nel grafico a destra. L'ha elaborato Stuart Staniford partendo dai dati della IEA e dell'EIA e li ha pubblicati nel suo blog Early Warning (cercate l'articolo "US economic recovery in the era of inelastic oil"). La linea azzurra in alto rappresenta il consumo dell' area OCSE, quella scura che sale a tutta velocità dal basso rappresenta sostanzialmente la Cina e l'India. Fino alla linea verticale sono dati del passato, verificati; a partire da lì è la proiezione di Stuart Staniford partendo dalla tendenza attuale. La realtà è che la Cina, l'India ed altri paesi con economie più dinamiche e maggior potenziale di crescita stanno aumentando il loro consumo più di noi, poiché, con la loro crescita, costa loro di meno pagare fatture petrolifere più alte. E siccome dal 2005 questo è un gioco a somma zero, dove loro aumentano, noi dobbiamo diminuire. In concreto, a ritmo del 3% annuo. Gli ultimi dati di Oil Watch confermano che i paesi dell'OCSE (anche la Spagna – e l'Italia, ndT) hanno perso più del 15% dei consumi petroliferi rispetto al 2005.
 

Ovvero, siamo fondamentalmente in una situazione di diminuzione rapida del consumo di energia, nè cercata né pilotata, ma forzata e repentina. Secondo i dati dell'EIA, il petrolio rappresenta il 33% dell'energia primaria consumata nel mondo, anche se questa percentuale varia di paese in paese; in Spagna è del 48%, quasi la metà. Pertanto, con la caduta di oltre il 15% negli ultimi 5 anni del nostro consumo di petrolio in Spagna abbiamo ridotto il nostro consumo di energia primaria approssimativamente dell'8%, più dell'1,5% su base annua. Stimare l'impatto sul nostro consumo di energia si fa più complicato nella misura in cui la percentuale di petrolio che perdiamo si fa più grande ed il suo prezzo aumenta, poiché per produrre e mantenere le altre fonti di energia manca il petrolio (per i compressori dei martelli pneumatici che si usano in remote miniere, per il meccanismo che mantiene le dighe e le turbine eoliche, ecc ecc). Di fatto, il petrolio ha influenza su tutto, per la sua grande varietà di usi (plastica, fibre sintetiche, reagenti chimici per farmaci, industria alimentare, ecc) e come fonte di energia fondamentale nel funzionamento di macchine di ogni tipo (auto, camion, gru, aerei, escavatrici, barche, trattori, ruspe, ecc.). La realtà è che tutta l'attività economica dipende dal petrolio in particolare e dall'energia in generale. Per definizione, energia è la capacità di compiere un lavoro. Lavoro utile che serve a trasformare materiali e creare prodotti, spostare merci e persone, produrre luce, calore e fresco, ecc. Anche le economie tecnocratiche basate sui servizi devono alla fine servire a qualcosa di tangibile ed i maggiori costi del petrolio e dell'energia si ripercuotono su di esse in egual misura che sugli altri settori economici. La correlazione fra il consumo di energia e il PIL è così ben conosciuta che la IEA è solita pubblicare un grafico della modalità che seguono queste linee in ogni World Energy Outlook che pubblica (quello di questo grafico è del WEO del 2004). Sull'asse delle ordinate (verticale) si vede il consumo totale di energia nel mondo, espresso in milioni di tonnellate di petrolio equivalente, Sull'asse delle ascisse (orizzontale) si vede il PIL del mondo, espresso in parità di potere d'acquisto. Il bello è che la forte connessione fra le due variabili mostrata da questa curva viene mantenuta anche nei periodi di crisi economica.

Pertanto dobbiamo:
  • Per crescere economicamente abbiamo bisogno di aumentare il nostro consumo di energia. Al contrario, se il nostro consumo di energia diminuisce, il nostro PIL si contrae in egual maniera.
  • A causa della produzione di petrolio stagnante, ad un effetto di sincronizzazione con le altre fonti energetiche conosciuto come La Grande Scarsità e alla crescita di altre economie emergenti siamo condannati in modo inesorabile a ridurre il nostro consumo di energia e anche ad un ritmo piuttosto veloce (nel caso della Spagna, l'1,5% annuo come minimo).
Qual è, pertanto, la conclusione? Che la nostra economia è condannata a decrescere e a ritmo serrato. E' importante comprendere questo punto: è un fenomeno noto, compreso ed inevitabile. Di fatto, è un concetto gestito in ambito governativo, come abbiamo già commentato in numerosi post. Tuttavia, i poteri governativi non possono riconoscere apertamente questo fatto per via delle conseguenze politiche che comporta e per questo la tendenza è quella di provare a cercare soluzioni che non esistono al posto di ripensare il problema.

La domanda non è, pertanto, se continueremo a decrescere economicamente, ma fino a quando. La risposta è che decrescere economicamente, inteso come una diminuzione del PIL, è irrilevante. Abbiamo confuso il fine con i mezzi; il PIL è un'astrazione della ricchezza collettiva di un paese che si suppone essere in qualche modo connessa al benessere della sua gente. Ciò che si dovrebbe cercare è la massimizzazione del benessere, non un indice complesso e spesso assurdo. Pertanto, più rapidamente abbandoniamo l'orientamento economicista e ci focalizziamo su ciò che è veramente rilevante, prima cominceremo a stare meglio. La cosa peggiore che potremmo fare è quella di focalizzarci sul mantenimento di un sistema economico che sarà sempre più disfunzionale, a causa della mancanza di energia e di materie prime, per dare impulso ad un consumo sfrenato che ci immoli sull'altare della crescita economica, sognando una ripresa economica che non arriverà mai e che creerà un'occupazione che non esisterà mai. Non comprendere questo, ostinarsi a seguire questo sentiero, ci porta soltanto in un posto ben noto: il collasso.

Saluti


Antonio Turiel

domenica 11 dicembre 2011

Durban: vince la scienza



Ci vorrà un certo tempo prima di poter capire esattamente il significato degli accordi di Durban. Come sempre, ci sarà chi vede il bicchiere mezzo pieno e chi lo vede mezzo vuoto. Ma c'è un elemento in questa storia che ci da speranza: gli sforzi per fermare il cambiamento climatico continuano.

Continuano nonostante l'opposizione delle lobby dei combustibili fossili. Continuano nonostante la campagna propagandistica del "Climategate 2.0", nonostante i continui attacchi contro la scienza sui media, nonostante il fatto che negli Stati Uniti tutti i candidati Repubblicani alla presidenza hanno preso una posizione anti-scientifica.  A Durban c'era un'intera alleanza di potenti forze che stavano facendo tutto il possibile per sabotare la la conferenza. Non ci sono riusciti, e non perché non ci abbiano provato. Christopher Monckton, il visconte arrapanato, arci-nemico della scienza del clima, era così disperatamente alla ricerca di attenzione che non ha trovato di meglio che farsi paracadutare su Durban. E' stato ignorato, comunque.

Considerando la coalizione anti-scienza che si era formata, possiamo prendere come un successo quasi incredibile il fatto che la conferenza di Durban è terminata con un accordo strutturato che prevede la continuazione dei negoziati. Evidentemente, si comincia a percepire un po' ovunque la gravità della situazione: il messaggio sta passando. Come ho detto in precedenza, la scienza del clima è  scienza valida e la scienza valida finisce sempre per vincere.

Questo post è una traduzione del post in Inglese apparso su "Cassandra's Legacy"

venerdì 9 dicembre 2011

Climategate 2.0: mi puoi fregare una volta, ma non due.


Il numero di ricerche con il termine "Climategate" secondo Google Trends. La seconda uscita delle emails rubate, il mese scorso (“Climeategate 2.0”) non ha generato niente di paragonabile al picco di interesse della prima uscita (“Climategate”), nel 2009. (traduzione da "Cassandra's Legacy" di Massimiliano Rupalti)


Il cosiddetto caso del "Climategate" del 2009 rimarrà nella storia come un esempio di campagna propagandistica ("spin campaign") di grande successo. Ha avuto un forte effetto negativo sulle opinioni del pubblico riguardo al riscaldamento globale e sulla fiducia negli scienziati, oltre ad aver giocato un ruolo importante nel fallimento dei colloqui sul clima di Copenhagen. Tuttavia, il pubblico ha reagito con un grande sbadiglio al secondo gruppo di messaggi email pubblicati il mese scorso (“Climategate 2.0”). Possiamo vederlo usando “Google Trends” come mostrato sopra e sotto. Il modesto picco che corrisponde ai frenetici tentativi di infiammare l'interesse del pubblico sul Climategate 2.0, non è nulla di lontanamente paragonabile al gigantesco picco del primo Climategate.





Apparentemente, in queste cose vale un vecchio detto, “mi puoi fregare una volta, ma non due.” Ovvero, è molto difficile fregare la gente due volte con lo stesso trucco. Infatti il “Climategate 2.0” si sta rivelando un grande flop.

I sondaggi più recenti negli Stati Uniti indicano che la preoccupazione rispetto al riscaldamento globale sta risalendo di nuovo fra il pubblico, questo a riprova del fatto che non puoi ingannare la gente per sempre. Quindi, abbiamo ancora una possibilità di vincere questa battaglia. Dobbiamo continuare a combatterla.

mercoledì 7 dicembre 2011

Prendere un politico per il collo.....


"Sviluppi una coscienza globale istantanea, una empatia per la gente, una intensa insoddisfazione per lo stato del mondo e una gran voglia di fare qualcosa in proposito. Da lassù, sulla Luna, la politica internazionale ti sembra così di basso livello. Ti viene voglia di prendere un politico per il collo e tirarlo via a un quarto di milione di miglia e dirgli: 'Guarda qui, figlio di puttana!"

L'astronauta dell'Apollo 14, Edgar Mitchell


(da Omnomination)

domenica 4 dicembre 2011

Narrativa contro scienza: un commento di Antonio Turiel


Esaminando il dibattito sul riscaldamento globale e sul picco del petrolio, sono giunto alla conclusione che l'unità elementare di comunicazione nella discussione pubblica è sempre una storia – una narrazione di qualche tipo. In altre parole, tendiamo ad interpretare la realtà in termini narrativi, come potete facilmente comprendere con un semplice sguardo ai titoli dei giornali. Ho sostenuto di recente che il notevole successo dei negazionisti del cambiamento climatico è dovuto allo sviluppo di una narrativa fantastica che descrive come un gruppo di scienziati malvagi abbiano manipolato i dati delle temperature per convincere il pubblico di un inesistente riscaldamento globale. Questa narrativa è così seducente per la percezione umana che è praticamente impossibile combatterla coi soli dati. Ci sono altri esempi: uno è il caso delle “predizioni sbagliate” che il Club di Roma, come viene spesso detto, avrebbe proposto nello studio del 1972 “I Limiti dello Sviluppo”. E' un'ostinata leggenda che si rivela essere quasi impossibile da demolire semplicemente mostrando che i pretesi"errori" non esistono.

Così, molta gente tende ad essere attratta da piacevoli fiabe piuttosto che da scomode verità. Ciò non significa che la realtà debba necessariamente essere spiacevole, negativa o apocalittica. Tuttavia, se vogliamo far passare il nostro messaggio al pubblico, i soli dati non sono sufficienti; i risultati scientifici devono essere presentati in modi che tengano conto il lato umano dei problemi. Come riuscire in quest'impresa rimane una questione aperta, ma Antonio Turiel, titolare del blog “The Oil Crash", l'ha esaminato in un post recente dal titolo "huyendo de la realidad" dedicato in gran parte alla leggenda delle“scie chimiche”.


Come probabilmente sapete, c'è chi sostiene che le "scie chimiche" sono il risultato di un complotto efferato che implica l'uso di aerei per diffondere veleni che appaiono come strisce bianche nel cielo. Ovviamente, non esistono dati che possano anche solo vagamente far pensare che le ben note “contrails”, generate dagli aerei in volo, non siano fatte di vapore acqueo ma, piuttosto, siano terribili veleni. Tuttavia, la narrativa del concetto di “scie chimiche” è seducente nel suggerire che i nostri problemi sono il risultato dell'azione di un gruppo di malefici nemici dell'umanità che agiscono dietro le quinte. Cercare di contrastare questi racconti fantastici per mezzo di dati risulta inefficace; per questo bisogna cercare di utilizzare altri racconti, proprio come fa Antonio Turiel nel post che segue.



UB






Fuggire dalla realtà

Guest post di Antonio Turiel da "The Oil Crash"

Traduzione a cura di Massimiliano Rupalti

Revisione di Sara Francesca Lisot














Immagine delle cosiddette “scie chimiche” tratta dal blog di Pakouss, http://infopakous.blogspot.com/



Cari lettori,

ho una grande serie di temi di cui mi vorrei occupare nei prossimi post, serie che si intensificherà con la pubblicazione, la settimana prossima, del nuovo World Energy Outlook della Agenzia Internazionale per l'Energia (di cui proverò a dare una prima valutazione appena possibile, a partire da mercoledì). Tuttavia, ho sentito la necessità di scrivere un post riprendendo l'idea del picco (sempre provvisorio) della stupidità umana, come sottolineava Ugly Youth (nickname di un lettore del blog, ndT) in un commento ad un mio post, e in linea con una discussione su Facebook sulla ben conosciuta questione delle chemtrails (scie chimiche) sulla quale ad un certo punto sono stato interrogato su questo blog. So che con questo post non mi farò degli amici, ma credo che in momenti di confusione come quello attuale, ed altri di maggior confusione che verranno in seguito, sia importante guardare al nostro mondo con buon senso ed umiltà. Buon senso per non cercare spiegazioni complicate a ciò che sembra ben rispondere ad una logica più semplice; umiltà per riconoscere la pochezza e l'irrilevanza dell'essere umano, per quanto lui si creda seduto su un trono da semidio per la sua scienza e le invenzioni tecnologiche.

Per chi non sapesse che cosa sia la storia delle chemtrails, la riassumerò brevemente (oltre al link a wikipedia che ho appena messo): sembra che da qualche tempo alcune persone si siano fissate su alcune strane scie (dette “chemical trails o chemtrails” ndT) lasciate da aerei in volo. Nonostante si insista nello spiegare che tali scie si producono per condensazione di vapore acqueo (il che dipende dall'umidità relativa dell'aria, dalla temperatura delle ali dell'aereo, dalla potenza di spinta dei reattori, ecc), gli "sciachimisti" credono che in realtà si tratti di una sorta di irrorazione della popolazione con sostanze chimiche che garantiscono il controllo mentale della massa da parte dell'oligarchia dominante. Partendo da questo assunto, si sviluppa tutto un discorso di teoria della cospirazione e di malvagi “illuminati” che cospirano in grotte nascoste per farci del male. Il problema di questa storia è che non si regge in piedi in nessun modo.

In primo luogo, se l'obbiettivo fosse di disperdere una sostanza perché sia assorbita dalla popolazione, ci sono metodi più sicuri e comprovati per farlo. Per esempio con la fornitura di acqua potabile. Le grandi città del mondo civilizzato (suppongo che nel terzo mondo manchi il controllo mentale, considerando come si usino le armi per il controllo) hanno i loro impianti di potabilizzazione dell'acqua nei quali sarebbe facile aggiungere l'ingrediente a sorpresa voluto, sia questo pentotal di sodio o haloperidol. Inoltre, sarebbe molto più facile regolare le dosi che arrivano alla popolazione e controllarne la dispersione, e far sparire le prove sospette negli impianti di depurazione dei liquami.

Ma, bene, immaginiamoci che, per un qualche motivo, la dispersione debba avvenire per via aerea. Disperdere sostanze dagli aerei a reazione che volano a migliaia di metri di altitudine non sembra un'idea molto intelligente. Forse avrete notato che quando si irrorano le piantagioni o si cerca di spegnere gli incendi si usano aerei ad elica - aerei o elicotteri – che sono in grado di volare più vicini all'obbiettivo, onde evitare che il carico si disperda troppo – e pensate che nel caso dello spegnimento degli incendi stiamo parlando di una sostanza – l'acqua – molto densa. Perché? Perché se lanciamo una qualsiasi sostanza non solida da un'altezza di migliaia di metri, la sua dispersione sarà più complicata e caotica man mano che si avvicina a terra. Si dice che i primi metri dal suolo verso l'atmosfera (diciamo i primi cento metri) formano il cosiddetto “strato limite atmosferico”, in cui la velocità del vento deve essere adattata ai valori più alti degli strati superiori fino a quando non ha un valore esattamente pari a zero a contatto con la superficie. Dipendendo dalla struttura topografica e dalla rugosità del suolo c'è una zona di dispersione, lo strato limite, in cui la velocità del vento non solo va diminuendo, ma cambia rapidamente direzione, seguendo un disegno a spirale se la topografia è piana; e se la topografia è più complicata seguirà un disegno sufficientemente più complesso che può estendersi fino a pochi metri sopra i tetti degli edifici. Non avete mai notato,nei giorni di forte vento, i mulinelli che si formano nelle grandi strade? O come il vento che soffia da est quando camminiamo lungo una via, soffi da nord appena girato l'angolo? Non avete mai notato l'andamento capriccioso di un foglio di carta o di un sacchetto di plastica? Questo è ciò che accade sui tetti delle case, solo in forma più violenta a causa della maggior forza del vento. E questo senza tenere conto di quanto possano essere cari tutti quei voli per le irrorazioni. Se quello che si desidera è intossicare la popolazione, installate alcuni piccoli dispersori sui tetti di alcuni edifici nelle aree più transitate oppure disseminatele fra i comignoli di alcuni edifici, ed otterrete lo stesso effetto ma in forma più discreta e controllata. D'altra parte, non si capisce perché vogliano controllarci con le esotiche scie chimiche visto che c'è già la più prosaica ma efficacissima televisione.

E' certo che tutti questi metodi non hanno la vistosità delle scie chimiche, che ci fanno immaginare una lotta alle prese con il Dottor No, come se fossimo giustizieri vendicatori alla James Bond (e, già che sogniamo, con una bella Ursula Andress fra le braccia). Alla fine, i propugnatori delle chemtrails scelgono una narrativa eroica, di lotta intrepida contro un potere demoniaco, onnisciente e quasi onnipotente, dopo la cui caduta si stabilirà un nuovo ordine; niente di nuovo, quindi, rispetto alle vecchie storie di un Hermes che, spada in mano, taglia la testa al mostro dai cento occhi. Non ci siamo evoluti molto dal periodo ellenico, a quanto si può vedere.

Questa narrativa è simile in tutto a quelle dei difensori delle free energies (di fatto, sono sempre le stesse persone). Abbiamo già commentato qui l'assurdità e l'infondatezza delle free energies (certo è che in inglese free energy è un termine ambiguo, che significa sia energia libera, sia energia gratis, che alla fine è ciò che si pretende per continuare a vivere a tutta velocità come fino ad ora); ciò che è interessante adesso è vedere come i meccanismi psicologici sono gli stessi che nel caso delle scie chimiche e ciò spiega il perché gli affiliati di queste due teorie coincidano. I due gruppi precedenti coincidono anche frequentemente con i difensori della grande cospirazione mondiale degli illuminati e del Nuovo Ordine Internazionale. Non conosco tutti i dettagli di questa teoria della cospirazione in particolare, ma in sostanza è che c'è una casta segreta di ricchi e potenti che formano un consiglio che prende decisioni che reggono il destino del mondo e che detengono un piano demoniaco per sottometterci tutti ad una schiavitù senza fine. In realtà, questa affermazione è anch'essa abbastanza assurda: è ovvio che i più ricchi e potenti cospirino per preservare la loro situazione di privilegio ed influenzano in modo illegittimo i nostri rappresentanti politici, sovvertendo il significato di democrazia; però lo fanno alla vista di tutti, senza nascondersi e, alla fine, senza vergognarsene, perché in alcuni casi arrivano perfino a credere che sia la cosa migliore da fare, anche se non è la più corretta; e non è che gli serva un tavolo di quercia in una caverna buia con un cranio di caprone appeso alla parete per agire in questo modo.

D'altra parte, anche se alcuni di questi potenti avessero i propri piani per anticipare il caos che sta arrivando, dubito che tutti coincidano nell'analisi dei problemi e nelle soluzioni da applicare. E in ultima analisi, non è scontato che possano farla franca, poiché rimane sempre l'incertezza del fattore umano: i loro miliziani saranno sempre fedeli? I leader politici eseguiranno sempre le direttive imposte? Il popolo rimarrà sempre sottomesso? La Storia dimostra che è impossibile tenere tutto in pugno e totalmente sotto controllo. Però, di nuovo, la narrativa eroica della lotta contro i grandi malvagi che hanno rubato la nostra meritata prosperità che fu e che potremmo recuperare se ci liberassimo di loro, è molto più attraente che la volgare e mediocre realtà.

Gli economisti, insieme ai politici, cadono, curiosamente, nella stessa prassi di autoinganno, cercano un discorso più attraente che realistico. Per esempio si parla di recuperare il sentiero della crescita anche se la realtà è che questa crisi economica non finirà mai; di accettare sacrifici ora a vantaggio della futura prosperità quando, in realtà, ogni aggiustamento ci porta al collasso catabolico; di piani di riscatto necessari per far riprendere l'economia quando in realtà servono per tappare i buchi delle grandi banche; di politiche di promozione dell'impiego che in realtà sono il degrado delle condizioni dei lavoratori; ecc. E ancora, i nostri leader cercano una narrativa eroica, grazie alla cui costanza e senso dello Stato, ottengono che tutto torni alla situazione precedente, vale a dire, alla crescita senza fine.

Al contrario di questo modo di esprimersi, la narrativa dell'Oil Crash è molto più grigia, Non è nera come molte volte si dice. L'Oil Crash non è la fine dell'Umanità; non lo è , ovviamente, se non vogliamo che sia così. L'Oil Crash non è la narrativa dell'apocalisse; è piuttosto la narrativa dell'umiliazione. Perché consiste nell'accettare che l'essere umano ha dei limiti, che per una volta non potrà vincere. E questo all'Homo Invictus sorto dalla Rivoluzione Industriale, che ha prosperato infinitamente negli ultimi due secoli, risulta difficile da mandare giù. Questo è il problema in realtà con l'Oil Crash: la superbia dell'uomo moderno. Per il nostro ego è meglio credere che c'è un uomo malvagio che controlla tutto, piuttosto che accettare che la situazione sfugge al controllo dell'uomo, anche se fosse uno spregevole. Il problema della narrativa eroica è che non solo è errata, ma che ci porta al disastro. E allora se di narrativa si tratta, consideriamo un'alternativa...

La storia dei tre boscaioli
di Antonio Turiel

C'erano una volta tre boscaioli che avevano la loro casa, con i loro orti e le loro galline, nella pianura di un grande fiume. La terra era fertile, l'acqua pura e i boschi davano legna in abbondanza. La vita era semplice ma agiata e piacevole. Un giorno uscirono come sempre di buon mattino a cercare legna nel bosco e al ritorno trovarono le loro proprietà devastate. Le porte delle case divelte e l'interno completamente pieno di fango; gli orti rivoltati e molte verdure erano scomparse; ed alcune galline erano morte, mentre altre vagavano sperdute per il vicino bosco.

I boscaioli erano costernati. Quella era una buona pianura ed una buona terra, poco popolata e generosa coi sui abitanti; non conoscevano né il furto né la violenza. Cosa era mai successo? Notando che i danni si estendevano a tutta la pianura, tutti conclusero che la causa della distruzione fosse stata una improvvisa piena del fiume, che per fortuna li aveva colti fuori dalle proprie case. Tuttavia, in oltre duecento anni di storia non si era mai vista una piena di tale dimensione, per cui i boscaioli non sapevano che atteggiamento tenere, se si sarebbe ripetuta oppure no. Cosicché ognuno di loro si mise a riflettere su quali fossero state le cause e su come prevenirle in futuro.

Il boscaiolo della bassa pianura aveva osservato che il boscaiolo della zona a monte si era a poco a poco impadronito di molti terreni, comprandoli a basso prezzo da altri boscaioli che aveva ingannato con mille trucchi. Inoltre, ragionava, il boscaiolo che stava a monte stava tagliando sempre più legna nel bosco, secondo lui perché aveva buoni clienti in città. Il boscaiolo della bassa pianura concluse che il boscaiolo a monte aveva costruito una diga più a monte, diga che prima faceva riempire d'acqua e che poi apriva di colpo per farli fuori tutti; incluse anche le sue proprietà, per non destare sospetti, ma visto che aveva molte proprietà al di fuori della pianura queste distruzioni lo colpivano meno che alla maggior parte degli altri. Per questo, continuava il suo ragionamento, quando era arrivata la piena non lo aveva colto in casa: perché lui era lassù al fiume che stava aprendo la diga. Il suo spregevole piano era evidente: voleva rovinare lui ed il boscaiolo che viveva a mezza pianura per ottenere le loro terre in cambio di quattro soldi. Così, il boscaiolo della bassa decise di non perdere mai d'occhio il boscaiolo a monte della pianura e che avrebbe dormito nella sua casa solo quando lo avrebbe fatto anche lui. Col passare del tempo, il boscaiolo della bassa trovò sempre più elementi che quadravano oltre ogni dubbio con la sua interpretazione dei fatti ed il suo atteggiamento con chiunque ponesse dei dubbi si fece sempre più aggressivo, specialmente contro il boscaiolo di media pianura, di cui era arrivato a pensare che fosse stupido a non vedere l'evidenza oppure che stava in combutta col boscaiolo dell'alta pianura.

Il boscaiolo dell'alta pianura aveva perso molto denaro con l'inaspettata alluvione. Tutte le sue proprietà confinavano col fiume e tutte erano risultate gravemente danneggiate, ma siccome aveva molte proprietà, gliene restavano ancora a sufficienza per vivere con agio. Gli era costato molto arrivare ad avere la sua attuale posizione e non gli sembrava vero che il duro lavoro di tanti anni si potesse perdere per un capriccio della natura, un evento brutale che si era presentato per la prima volta in duecento anni, per quanto si sapesse, poiché non c'erano registrazioni anteriori e, chi lo sa, forse erano almeno mille anni che non si verificava una cosa del genere. Dopo l'incidente, il letto del fiume era tornato ai livelli abituali e in nulla si distingueva dal suo stato normale. Inoltre, con l'apporto di sedimenti alluvionali le sue terre cominciarono a produrre di più di quello che avevano prodotto prima. Giunse alla conclusione che la piena del fiume fosse stata una cosa fortuita, un evento raro che accade solo una volta ogni tot generazioni e che di fatto aveva portato cose positive, come, ad esempio, che gli altri boscaioli gli avevano venduto le loro terre a un prezzo molto buono. Alla fine, ragionava, la fortuna aiuta gli audaci e l'alluvione era una grande opportunità. Si convinse, alla fine, che le cose andavano a meraviglia e che non avesse nulla da temere in futuro.

Il boscaiolo di media pianura era un uomo paziente ed osservatore, taciturno. Gli piaceva fermarsi per lunghe ore sulla veranda di casa sua guardando il fiume, il bosco, le montagne... oppure perdersi passeggiando nel bosco, fino al punto di conoscere ogni albero, ogni pietra, ogni piccolo ruscello... Era da tempo che vedeva che gli inverni erano sempre più rigidi sulle montagne, dove da un anno all'altro si accumulava più neve, a giudicare da come si vedevano le cime. Inoltre, erano stati tagliati troppi alberi lungo il fiume e questo dava l'impressione che la terra non riuscisse più ad assorbire tanto bene l'acqua del fiume quando questo usciva dal suo letto. Lo aveva riferito al boscaiolo dell'alta pianura, ma questi diceva che stava esagerando e che lui invece stava ottenendo molti benefici vendendo buon legno in città e che in fondo quello che stava succedendo era che provava invidia. Lo disse al boscaiolo della bassa pianura, ma questi era troppo intento a seguire il boscaiolo dell'alta pianura ed andava sempre a tagliare dove andava quello e non ascoltava altre ragioni. Il boscaiolo di media pianura concluse che negli anni a venire, quando sarebbe arrivato il disgelo, sarebbero potute avvenire nuove alluvioni anche più grandi di quella che aveva distrutto le loro case ed aziende e decise che la cosa più ragionevole era spostarsi in terreni un po' più alti. Gli costò molto sforzo e molto tempo spostarsi verso l'interno. Per primo si portò l'orto e bivaccava di fianco ad esso. Gli altri boscaioli ridevano di lui, pensando che fosse un eccentrico che dormiva per terra mentre aveva una bella casa di fianco al fiume. Poi fece un recinto per le galline ma in un primo momento stavano insieme a lui nel suo bivacco ed era sempre pieno di piume, e lo chiamavano “faccia di pollo”. Col tempo si costruì una casa nuova, vivendo con grande austerità per potersi comprare l'attrezzatura e la ferramenta di cui aveva bisogno; gli altri lo additavano chiamandolo mendicante.

Finì di costruire la sua casa in tempo per vedere, da distanza di sicurezza, come sul fiume ingrossato passavano galleggiando i cadaveri dei boscaioli della bassa e dell'alta pianura.

Saluti,
Antonio Turiel

venerdì 2 dicembre 2011

Tecnocrati

A sinistra, Marion King Hubbert (1903-1989), ideatore del "modello di Hubbert" della produzione petrolifera. Sulla destra, Mario Monti (1943 -), primo ministro del governo italiano. Sembrano condividere un certo stile ed entrambi sono stati definiti "tecnocrati". Traduzione da "Cassandra's Legacy" di Andrea Schenone

Marion King Hubbert previde correttamente molte cose nella sua carriera, soprattutto sulla produzione di petrolio. Ma aderì anche ad un gruppo chiamato i "tecnocrati" che proponeva che i tecnici esperti dovrebbero dirigere i governi. Forse aveva ragione anche per questa previsione, come i recenti avvenimenti in Italia possono suggerire.

Il Professor Mario Monti, è stato nominato dal Presidente della Repubblica quale nuovo capo del governo italiano, in sostituzione del democraticamente eletto, ma disastroso, Silvio Berlusconi. Non sono sicuro se il signor Monti ami essere definito un "tecnocrate", ma il termine si adatta molto bene al suo attuale lavoro. È questo l'inizio di una nuova tendenza? E' troppo presto per dirlo ma, chi lo sa?

Big Gav ha scritto un post interessante su "peak Energy" riguardo l’ascesa di Mario Monti in Italia.