lunedì 28 febbraio 2011

I giornalisti non sono i nemici della scienza


Gli scienziati sembrano avere, mediamente, una pessima opinione dei giornalisti. Magari non proprio come suggerisce la figura, ma, insomma, qualcosa del genere. In questo post, suggerisco che i giornalisti non vanno considerati alla pari dei vari venduti e fuori di testa che infestano il dibattito sul clima. I giornalisti sono i nostri alleati, bisogna, però dargli anche una mano.


Circa un mese fa, l'Istituto Bruno Leoni ha presentato con un comunicato stampa la traduzione del pessimo "Rapporto Montford;" un'ulteriore rimasticatura di cose già note riguardo al cosiddetto scandalo del "Climategate." Su questo immondo rapporto avevo già commentato in un post su "Cassandra." Fra le altre cose, la mia opinione molto negativa è anche apparsa in un articolo di Valentina Arcovio su La Stampa, insieme con quella di alcuni colleghi di "Climalteranti" 

In questi giorni, Marco F. dell'ottimo blog "Leucophaea" ha commentato l'articolo della "Stampa;" cosa che mi spinge a dire due parole in proposito. L'avrei voluto fare prima, ma troppe altre cose me lo avevano fatto mettere in coda.

L'articolo di Marco F. fa molte interessanti considerazioni sulla comunicazione scientifica e il rapporto fra scienziati e giornalisti. Alla fine, critica l'articolo della Stampa sul rapporto Montford dicendo che:

...... è un esempio di un’altra cattiva abitudine dei giornalisti, specie quelli che si addentrano per la prima volta negli argomenti un po’ critici; cioè il desiderio di obiettività, di trattamento bilanciato di un tema. Che se va bene per un’analisi sociologica complessa e per la situazione politica, è da respingere quando si parla di consensus scientifico. I soliti argomenti (evoluzionismo, riscaldamento globale, anti-vaccinismo eccetera) non hanno bisogno di un trattamento bilanciato. Da una parte stanno secoli di ricerca, dall’altra solo opposizione preconcetta. Eppure la maggior parte dei giornalisti si trascina, dalla pratica quotidiana, questo approccio. E i danni che fanno sono a volte molto gravi, come comparare posizioni dal peso totalmente differente o far sembrare ragionevoli ipotesi senza fondamento. Se leggete bene, l’articolo si conclude con tre o quattro interviste a esperti veri, che lo definiscono spazzatura. E allora perché scriverlo?

Il che è corretto per certi aspetti, ma anche eccessivo a mio parere. Credo che, su questo punto, dovremmo confrontarci un attimo. Il nostro rapporto, come scienziati e ricercatori, con i giornalisti non è già che sia tanto buono. Mi scuserà allora Marco se commento che non è il caso di peggiorarlo ulteriormente con questo tipo di atteggiamento. I giornalisti, sembra strano doverlo dire, non sono i nemici della scienza (come ce ne sono, purtroppo).

A proposito dell'articolo sulla Stampa, credo che sia il caso di raccontare la storia di come è venuto fuori così come è venuto. Non conosco personalmente l'autrice, Valentina Arcovio, però conosco il suo collaboratore, Emanuele Perugini e il loro sito http://www.climascienza.it. Proprio Perugini mi ha chiesto un parere sul comunicato stampa dell'IBL, passandomi l'articolo in una versione ancora senza i miei commenti.

Confesso che la mia reazione immediata è stata esattamente la stessa di Marco F.; ho risposto, più o meno,  "ma perché diavolo vuoi pubblicare questa scemenza? Butta via tutto e lascia perdere." Poi, però, ci ho ripensato sopra e mi sono accorto che il mio non era l'atteggiamento giusto.

La faccenda ha a che fare con la diversa percezione di giornalisti e ricercatori su quale sia l'unità elementare di informazione. Per il giornalista è la "notizia" per lo scienziato è la "scoperta". Occasionalmente, il ricercatore che ha un blog si comporta da giornalista pubblicando notizie, oppure il giornalista fa il divulgatore e allora si occupa di scoperte. Ma c'è una differenza fondamentale fra le due cose.

Allora, mettetevi nei panni di un giornalista. Arriva un comunicato stampa da IBL (che vorrebbero passare da persone serie e qualcuno anche li ritiene tali). Il comunicato descrive l'uscita di un documento in Italiano che traduce una cosa che si chiama "Rapporto Montford"che pare faccia parte di un gruppo chiamato "Global Warming Policy Foundation". Beh, dal punto di vista del giornalista,  questa è una "notizia". Il giornalista, di notizie ci vive; è il suo mestiere. Quindi, per coerenza professionale, la notizia la deve dare e la deve commentare.

Ora, un giornalista poco serio, quando gli arriva una notizia, non fa altro che ritrasmetterla al suo giornale senza troppo perderci tempo: un riassuntino, qualche commento e via. Un giornalista serio, invece, approfondisce. Questo è quello che hanno fatto Valentina Arcovio e Emanuele Perugini. Hanno cercato di approfondire, per questo mi hanno contattato. Ne abbiamo discusso; io ho contattato i colleghi di Climalteranti i quali hanno anche loro espresso la loro opinione fortemente negativa. Il risultato finale è stato un articolo dove l'opinione dei climatologi è apparsa in modo ben evidente nell'articolo. Credo che sia già un buon risultato e direi che Arcovio e Perugini hanno fatto un buon lavoro.

Capisco benissimo che, dal punto di vista dello scienziato, l'articolo mischia la scienza con la politica, il sacro col profano. Capisco anche che è un vizio di molti giornalisti quello di trattare un po' tutti gli argomenti come se fossero un dibattito politico o, peggio, calcistico. Però, a ognuno i suoi vizi e le sue virtù - se i giornalisti hanno dei difetti, anche gli scienziati hanno i loro e non pochi. Uno dei principali è quello di un atteggiamento che non può che apparire "snob" a chi lo vede dal di fuori. E qui, devo anche dire che, se alcuni dei colleghi si sono mostrati molto disponibili a commentare la notizia sul rapporto Montford, altri hanno semplicemente scrollato le spalle e risposto che non si sarebbero sporcati le mani con tali sciocchezze. Ma, pensateci su un momento, se tutti avessimo fatto così, l'articolo sarebbe apparso sulla "Stampa" senza un contrappeso alle opinioni espresse dal comunicato dell'IBL

Bene. Per tornare al punto da dove avevo iniziato, i giornalisti non sono i nostri nemici; sono i nostri alleati. Però, bisogna anche capire che il loro mestiere è di trasmettere notizie e che non si può pretendere che siano tutti scienziati. Dato che questo è il loro mestiere, dovremmo cercare di dargli una mano per mutuo beneficio. Su questo punto, finora abbiamo fatto ben poco. Dovremmo decisamente cercare di migliorare.

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Come noticina finale, leggo sul sito dell'istituto Bruno Leoni che


L’Istituto Bruno Leoni promuove una discussione pubblica più consapevole ed informata sui temi dell’ambiente, della concorrenza, dell’energia, delle liberalizzazioni, della fiscalità, delle privatizzazioni e della riforma dello Stato sociale.

E allora, cosa vanno a occuparsi di clima se non è nemmeno nel loro statuto e - peggio - non hanno nessuna competenza al riguardo?  Se poi viene fuori un articolo stupido sulla Stampa, è colpa loro, non dei giornalisti!

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Ecco l'articolo completo apparso sulla Stampa


http://www3.lastampa.it/ambiente/sezioni/ambiente/articolo/lstp/387342/

Climatologi assolti, o quasi

Ora è scontro per le indagini sul "climategate": "Sono da rifare"

VALENTINA ARCOVIO
La polemica sollevata dallo scandalo ribattezzato «Climategate» è tutt'altro che archiviata. Anzi, si è estesa alle 3 indagini che avrebbero dovuto fare luce proprio sulla vicenda delle e-mail dei climatologi che hanno lavorato alla stesura del rapporto dell'Ipcc (il Gruppo Intergovernamentale per il Cambiamento Climatico).

Apparsi su Internet, questi messaggi erano finiti sotto accusa perché rivelerebbero gravi difetti e omissioni nella selezione e nell’elaborazione dei dati. Di fatto, le indagini hanno scagionato gli scienziati, ma un nuovo rapporto - intitolato «The Climategate Inquires» - solleva dubbi e sospetti sulla non imparzialità delle 3 inchieste svolte. Il documento è stato commissionato dalla Fondazione per la Politica sul Riscaldamento Globale (GWPF) ad Andrew Montford, blogger e autore di un istant-book «The Hockey Stick Illusion».

Questa volta sotto la lente d'ingrandimento è finito l'operato delle commissioni che hanno svolto le ricerche sulle e-mail e sui documenti provenienti dall'Unità di Ricerca Climatica (CRU) presso l'Università di East Anglia (UEA). Quattro erano state le accuse rivolte agli scienziati: il non aver fornito ai politici e all'Ipcc una visione completa e sincera degli elementi a loro disposizione; l'aver deliberatamente impedito l'accesso ai dati e alle metodologie a chi avesse opinioni diverse dalle loro; il non aver rispettato la legislazione in materia di diritto di accesso alle informazioni pubbliche; e l'aver cercato di influenzare i «revisori paritari», vale a dire le commissioni di esame di alcune riviste scientifiche, al fine di impedire la pubblicazione di prove in contrasto con le loro. Da qui sono partite 3 indagini inglesi: quella della Commissione per la Scienza e la Tecnologia della Camera dei Comuni; quella del Comitato di revisione delle e-mail sui cambiamenti climatici istituito dalla UEA e quella della Commissione di valutazione scientifica sempre dell'UEA.

«Purtroppo, come dimostra il rapporto di Montford, le conclusioni dei 3 gruppi hanno evidenti e gravi difetti», scrive nella prefazione Lord Andrew Turnbull, membro del Gruppo Parlamentare Interpartitico della Camera dei Lord. Le indagini sarebbero state frettolose, superficiali e in gran parte poco convincenti. In particolare la Commissione Parlamentare per la Scienza e la Tecnologia, secondo Montford, non avrebbe considerato tutte le prove e le testimonianze utili, liquidandone alcune come tesi negazioniste. Inoltre, la commissione avrebbe ignorato una serie di e-mail che, secondo Montford, rappresentano la prova schiacciante che i climatologi abbiano omesso dei dati e delle informazioni importanti. In particolare sono state messe in discussione anche le indagini che hanno riguardato alcuni presunti «aggiustamenti» dei dati, nonché la loro selezione. A niente avrebbero portato, poi, le ricerche su presunte pressioni subite dalle riviste scientifiche. Ipotesi che, secondo Montford, sarebbe stata esclusa senza esaminare tutte le prove.

Il rapporto ha quindi messo in discussione le conclusioni della successiva inchiesta della Commissione di Valutazione Scientifica. «La Commissione – si legge nel documento – sembra essere stata deliberatamente scelta affinché avesse una maggioranza che non avrebbe affrontato le questioni in maniera oggettiva e in modo da escludere le opinioni scettiche». Stesse obiezioni sono state fatte alla Commissione di revisione delle e-mail sul cambiamento climatico. «Diversi membri – dice Montford – erano inadatti, perché avevano connessioni con la UEA o una tendenza a fornire dichiarazioni allarmistiche sull'impatto del riscaldamento globale di origine umana».

L'ultima parola, ora, spetta al Comitato Ristretto per la Scienza e la Tecnologia alla Camera dei Comuni, che dovrebbe prendere in mano di nuovo l'inchiesta per affrontare tutte le questioni non approfondite. Inoltre, verrà analizzato il rapporto di Montford che ha già attirato l'attenzione dei critici.

«Il rapporto Montford – commenta Ugo Bardi, docente di Chimica Fisica presso l'Università di Firenze - ripropone una storia vecchia. Mentre la scienza avanza, c'è chi non trova di meglio che continuare a frugare in messaggi di 10 anni fa, cercando le “prove” di complotti da parte dei climatologi. Ma nessuna prova è venuta fuori e il rapporto Montford non contiene niente che non si sapesse». Condividono l’opinione anche altri suoi colleghi, come Stefano Caserini del Politecnico di Milano, Guido Barone dell'Università di Napoli Federico II e Antonio Zecca dell'Università di Trento. «Questa non è scienza – dicono -: è propaganda di parte. Montford stesso non ha nessuna competenza nella scienza del clima».

Gli scienziati italiani invitano a concentrarsi piuttosto sulle ultime ricerche. «Queste - conclude Bardi - indicano un'accelerazione del problema climatico: il fatto che il 2010 sia risultato l'anno più caldo nella storia delle misurazioni della temperatura deve darci un idea dell'urgenza di prendere misure immediate contro il riscaldamento globale».

venerdì 25 febbraio 2011

L'armata dei robot negazionisti (III): come difendersi


Questo è il terzo post di una piccola serie sull'argomento (qui e qui) di un nuovo imbroglio che ci stanno propinando. E' venuto fuori ultimamente che esistono dei software di "gestione del personaggio" che permettono ai disinformatori di apparire sul web con multiple personalità per promuovere gli interessi delle lobby che li pagano. Qui, provo a proporre qualche metodo per difendersi da questa gente (se sono gente).


L'internet ci era parso fino ad oggi una specie di "agorà virtuale," un luogo di discussione libero per tutti, dove c'era tanto spazio per presentare le proprie idee. Insomma, il luogo ideale per la democrazia partecipata.

Invece, si sta rivelando una specie di oscuro tunnel dell'orrore dove non sai mai veramente con chi stai parlando; se hai di fronte una persona normale oppure un vampiro sotto mentite spoglie che sta solo aspettando l'occasione buona per saltarti addosso e succhiarti il sangue.

Le ultime novità sono veramente agghiaccianti. Non solo l'internet è pieno di gente pagata per imbrogliarci, ma questi fanno uso anche di programmi sofisticati di "gestione del personaggio" per apparire con false identità multiple e imbrogliarti ancora di più. Sono dei veri robot-disinformatori che girano su internet. Questa cosa ricorda un po' il vangelo, quando Cristo interroga il demonio che ha posseduto l'indemoniato e quello risponde "siamo legione."

Sembrerebbe che, per fortuna, in Italia questi software per imbroglioni ancora non siano utilizzati - o forse semplicemente non ancora diffusi. Comunque, ci sono già abbastanza imbrogli in giro per cui dobbiamo difenderci. Continuare ad assumere che i nostri interlocutori siano persone oneste e disinteressate si sta rivelando un errore clamoroso.

Allora, su questo argomento ci ho ragionato sopra parecchio e credo di poter proporre qualche idea. In sostanza, a mio parere dovremmo cercare di usare queste strategie:

1. Strutturare l'informazione. Questo vuol dire avere chiaro che non tutte le informazioni hanno lo stesso peso e la stessa validità. Quando si tratta, per esempio, della salute di qualcuno, l'opinione di un medico vale di più di quella di un meccanico di biciclette. Quando si parla di clima, l'opinione di un climatologo vale di più di quella di un veterinario, e così via. A parte le qualifiche formali, in generale l'opinione di una persona che ha una faccia e un nome e cognome vale di più di quella di un anonimo che si presenta soltanto con un nick. L'informazione deve essere strutturata in modo da tener conto di questo diverso valore.

Per esempio, un blog è già più strutturato di altri sistemi. In un blog c'è un "punto focale" che è il post. C'è un autore che ha una sua storia e un suo prestigio; c'è una storia del blog che ha un suo impatto - anche quantificabile con wikio e cose simili. Tutto questo da un'idea del valore informativo del post stesso. I commenti, invece, sono informazione di "secondo livello," più basso se vogliamo. Arriva uno sconosciuto che commenta con un nick non riconoscibile - questo commento ha un valore inferiore - un fatto che va messo in luce nella moderazione. Si possono e si devono limitare i commenti che sono chiaramente di basso valore, sparati unicamente per far confusione. 

Al contrario, sistemi come i "forum" sono pessimi in questo senso, dato che non c'è una buona strutturazione. Spesso la discussione è solo una serie di commenti e contro-commenti dove è più difficile distinguere il buono dal cattivo. Allora, bisogna cercare di usare strumenti adatti alla strutturazione dell'informazione - come i blog - e non usare, o usare di meno, gli strumenti meno adatti, tipo i forum.


2. Metterci la faccia. Messaggio e messaggero non sono due cose indipendenti. Il tuo messaggio può essere corretto, ma devi metterci la faccia per essere creduto. Fateci caso, le persone di cui vi fidate sul web sono tutte persone che hanno un nome e un cognome. La fiducia si ottiene esponendosi personalmente; altrimenti vuol dire che sei tu il primo a non credere a quello che stai dicendo. Questo è un punto che avevo già fatto in un post di due anni fa quando avevo notato come, fra le altre cose, i politici in campagna elettorale ci "mettono la faccia" sui manifesti. 

Il fatto di metterci la faccia ti da anche un arma contro robot, astroturfers, troll e tutte le diavolerie che infestano l'internet. Questi, o non hanno faccia (robot) oppure se ce l'hanno si vergognano a metterla in pubblico (troll e astroturfer).

Questo non vuol dire necessariamente che si devono bandire i nick - c'è chi la sua faccia se l'è creata con un nick; ma si sa anche chi è in realtà la persona dietro il nick - per esempio, Paolo Attivissimo è ben noto con il suo nick "il disinformatico." Oppure "Greenman" di "Climate Crock of the Week" che si sa che è una persona chiamate Peter Sinclair.

Il nick può essere una cosa carina, ma non deve servire per nascondere la mano dopo che lancia il sasso. Così, a parte casi evidenti di necessità di rimanere anonimi, chi non ha il coraggio di rendere noto il suo nome e cognome in una discussione è un vigliacco e come tale va trattato.


3. Non farsi fregare. Questo vuol dire essere sempre all'erta e partire dal concetto che quando parli con qualcuno che non conosci - e del quale non hai nemmeno nome e cognome - è possibile; anzi, probabile, che stai parlando con uno che è pagato per fregarti. Allora, non devi fare l'errore di dargli spazio in nome della libertà di parola. La libertà di parola ce l'ha lui (o lei) nel suo blog o nel suo sito, o dove vuole; sull'internet c'è posto per tutti. Ma tu non sei tenuto a dare pubblicità gratuita a un vigliacco senza nome (o a un robot) sul tuo blog.

In realtà, non è nemmeno molto difficile distinguere i robot e gli astroturfers dalle persone normali, Tipicamente, questi non sono in grado di passare il test di Turing (nemmeno se umani!!). Li riconosci per la loro vuota aggressività, per l'uso di termini inflazionati ("serristi" è uno tipico), per il ripetere ossessivamente sempre le stesse cose, per sparare link a caso, insomma è uno stile abbastanza evidente.

In pratica, bisogna essere decisi (e anche spietati) nella gestione dei commenti. Tagliare dove necessario, non farsi trascinare in discussioni insensate e - quando ci vuole - dire a questa gente (se sono gente) quello che si meritano.


Non che tutto questo sia un rimedio perfetto agli attacchi da parte delle lobby anti-scienza. Ma, perlomeno, dobbiamo cercare di capire e seguire lo sviluppo rapidissimo dell'informazione su internet senza rimanere fissati sul passato. Ovvero, non possiamo trattare l'internet secondo paradigmi obsoleti, tipo quello "assembleare" che si usava nel '68. Non funziona così; l'internet è una cosa ben diversa e va capita.

Verrebbe da pensare, in effetti, se non sarebbe il caso di utilizzare tecniche di disinformazione - tipo i robot-personaggio - per scopi buoni. Direi che è assolutamente sconsigliabile: si sa che la magia nera non si può usare per scopi buoni (come ci insegna Topolino nell' "Apprendista Stregone"). Se uno ha il coraggio delle proprie idee, di queste tecniche non ha bisogno -  lasciamole agli imbroglioni che sono pagati apposta per utilizzarle.

mercoledì 23 febbraio 2011

L'armata dei robot negazionisti (II)



Dopo il post di ieri, ancora qualche nota sull'attacco dei robo-negazionisti


La faccenda dell'esercito di "sockpuppet" (marionette) che ha invaso il dibattito su internet sta venendo fuori un po' dappertutto. Oggi ne parla George Monbiot sul "Guardian".

In sostanza, fino ad oggi abbiamo gestito il dibattito sul web come se fosse una di quelle assemblee studentesche che si facevano nel '68. Tutti siamo alla pari, ognuno ha diritto di parola, ognuno ha diritto a una replica.

Queste regole, tuttavia, valgono per chi non è pagato apposta come agente provocatore e - soprattutto - per quelli che sono esseri umani. Non valgono per i robot e per i disinformatori professionali. Purtroppo, ci stiamo accorgendo soltanto adesso che ce ne sono di robot e di disinformatori, e non pochi e che stanno controllando il dibattito dando l'impressione di essere persone reali e disinteressate.

Leggete queste cose, e rabbrividite (dall'articolo di Monbiot - riportato per intero più in basso)


• Ci sono oggi ditte che usano "persona management software" che moltiplica gli sforzi di ogni disinformatore (astroturfer) dando l'impressione che ci sia un importante supporto popolare per quello che il governo o un'industria stanno cercando di fare.
• Questo software crea tutto quello che è necessario on line per una persona reale: nome, acconto di posta elettronica, pagina web e social media. In altre parole, genera automaticamente qualcosa che somiglia a un profilo autentico, rendendo difficile capire la differenza fra un robot virtuale e un commentatore reale.
• False sottoscrizioni possono essere aggiornate ripostando automaticamente oppure linkando a contenuto generato altrove, rinforzando l'impressione che i sottoscrittori sono reali e attivi.
• I disinformatori umani possono poi avere in assegnazione queste sottoscrizioni "pre-invecchiate" per creare una storia passata, suggerendo che sono stati occupati a linkare e a tweettare per mesi. Nessuno sospetterebbe che sono arrivati sulla scena per la prima volta un momento fa per il solo scopo di attaccare un articolo sulla scienza del clima oppure per argomentare contro nuovi controlli sul sale nel cibo-spazzatura.
• Con un uso astuto dei social media, i disinformatori possono far sembrare come se un personaggio fosse stato veramente a una conferenza e presentarsi come individui importanti come parte dell'esercizio. Ci sono molti trucchi basati sui social media che si possono utilizzare per aggiungere un nuovo livello di realtà a persone inesistenti.

Dal che, mi viene da domandarmi, ma Claudio Costa, non sarà mica un robot anche lui?


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The need to protect the internet from 'astroturfing' grows ever more urgent | George Monbiot

The tobacco industry does it, the US Air Force clearly wants to ... astroturfing – the use of sophisticated software to drown out real people on web forums – is on the rise. How do we stop it?
Every month more evidence piles up, suggesting that online comment threads and forums are being hijacked by people who aren't what they seem.

The anonymity of the web gives companies and governments golden opportunities to run astroturf operations: fake grassroots campaigns that create the impression that large numbers of people are demanding or opposing particular policies. This deception is most likely to occur where the interests of companies or governments come into conflict with the interests of the public. For example, there's a long history of tobacco companies creating astroturf groups to fight attempts to regulate them.

After I wrote about online astroturfing in December, I was contacted by a whistleblower. He was part of a commercial team employed to infest internet forums and comment threads on behalf of corporate clients, promoting their causes and arguing with anyone who opposed them.
Like the other members of the team, he posed as a disinterested member of the public. Or, to be more accurate, as a crowd of disinterested members of the public: he used 70 personas, both to avoid detection and to create the impression there was widespread support for his pro-corporate arguments. I'll reveal more about what he told me when I've finished the investigation I'm working on.

It now seems that these operations are more widespread, more sophisticated and more automated than most of us had guessed. Emails obtained by political hackers from a US cyber-security firm called HBGary Federal suggest that a remarkable technological armoury is being deployed to drown out the voices of real people.

As the Daily Kos has reported, the emails show that:

• Companies now use "persona management software", which multiplies the efforts of each astroturfer, creating the impression that there's major support for what a corporation or government is trying to do.
• This software creates all the online furniture a real person would possess: a name, email accounts, web pages and social media. In other words, it automatically generates what look like authentic profiles, making it hard to tell the difference between a virtual robot and a real commentator.
• Fake accounts can be kept updated by automatically reposting or linking to content generated elsewhere, reinforcing the impression that the account holders are real and active.
• Human astroturfers can then be assigned these "pre-aged" accounts to create a back story, suggesting that they've been busy linking and retweeting for months. No one would suspect that they came onto the scene for the first time a moment ago, for the sole purpose of attacking an article on climate science or arguing against new controls on salt in junk food.
• With some clever use of social media, astroturfers can, in the security firm's words, "make it appear as if a persona was actually at a conference and introduce himself/herself to key individuals as part of the exercise … There are a variety of social media tricks we can use to add a level of realness to fictitious personas."

Perhaps the most disturbing revelation is this. The US Air Force has been tendering for companies to supply it with persona management software, which will perform the following tasks:

a. Create "10 personas per user, replete with background, history, supporting details, and cyber presences that are technically, culturally and geographically consistent … Personas must be able to appear to originate in nearly any part of the world and can interact through conventional online services and social media platforms."

b. Automatically provide its astroturfers with "randomly selected IP addresses through which they can access the internet" (an IP address is the number which identifies someone's computer), and these are to be changed every day, "hiding the existence of the operation". The software should also mix up the astroturfers' web traffic with "traffic from multitudes of users from outside the organisation. This traffic blending provides excellent cover and powerful deniability."

c. Create "static IP addresses" for each persona, enabling different astroturfers "to look like the same person over time". It should also allow "organisations that frequent same site/service often to easily switch IP addresses to look like ordinary users as opposed to one organisation."
Software like this has the potential to destroy the internet as a forum for constructive debate. It jeapordises the notion of online democracy. Comment threads on issues with major commercial implications are already being wrecked by what look like armies of organised trolls – as you can sometimes see on guardian.co.uk.

The internet is a wonderful gift, but it's also a bonanza for corporate lobbyists, viral marketers and government spin doctors, who can operate in cyberspace without regulation, accountability or fear of detection. So let me repeat the question I've put in previous articles, and which has yet to be satisfactorily answered: what should we do to fight these tactics?

martedì 22 febbraio 2011

L'armata dei robot negazionisti

Siamo attaccati dai robot negazionisti?


Arrivano dal web notizie assai strane e preoccupanti sull'uso di programmi molto sofisticati per inquinare il dibattito su internet. Ne trovate notizia, per esempio,  sul "Daily Kos" oppure su "Climate Progress". Sono i "denier bot", i robot negazionisti all'attacco.

Recentemente sono stati resi pubblici alcuni messaggi interni a una ditta che si chiama HBGary specializzata in comunicazione. Parlano di creare una vera e propria armata di "marionette digitali" (sockpuppet) con lo scopo di invadere gli spazi di discussione di internet con un gran numero di false personalità - tutte dedicate a spargere notizie false e opinioni contraffatte, soprattutto in campi come la difesa dell'ambiente, il cambiamento climatico e cose del genere.


Certe cose fanno impressione, per esempio, su "DeSmog Blog" leggiamo che questi parlano di:

"... creare un esercito di marionette dotate di un sofisticato software di  “gestione del personaggio" che permette a un piccolo gruppo di solo poche persone di apparire come se fossero tanti, allo stesso tempo evitando che i personaggi si sovrappongano uno sull'altro. Poi, in più, il gruppo può automatizzare alcune funzioni, cosicché un solo personaggio può apparire come un'intera rivolta di colletti bianchi."

Non è chiaro se questo tipo di software esista veramente e se venga utilizzato. Ma, sicuramente, è possibile realizzarlo.

Se questo tipo di cose si diffonde (e forse si è già diffuso), le conseguenze saranno (sono?) pesanti per quello che noi continuiamo a chiamare il "dibattito." Pensiamo che quelli che ci parlano su internet nei commenti e nei gruppi di discussione siano esseri umani e come tali meritevoli di risposta. E invece non lo sono. Camminano tra di noi.

In Italia, per fortuna, sembra che a queste cose non siamo ancora arrivati, per ora. Invece dei sofisticati robot-negazionisti ci dobbiamo contentare del nostro Claudio Costa che, in confronto, fa quasi tenerezza. Ma ho il dubbio che arriveranno presto anche da noi.

Vi passo qui l'articolo di Desmog blog - da meditare.
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Are Climate Deniers and Front Groups Polluting Online Conversation With Denier-Bots?

 
There appears to be an increasingly sophisticated and planned effort by conservatives and polluter front groups to use “persona management” software to pollute social media outlets and website comment forums with auto-generated sockpuppet swarms designed to mislead and misrepresent real people.

Leaked emails from Aaron Barr, CEO of a federal subsidiary for HB Gary, disclose the latest efforts and technology used underhandedly for “ganging up on bloggers, commenters and otherwise ‘real’ people to smear enemies and distort the truth.”

This phenomenon was first reported by Happy Rockefeller over at Daily Kos.

ClimateProgress is following this issue, particularly when it comes to the online discussion about climate change, noting that readers joke about pre-programmed ‘denier-bots’ and “how the same arguments and phrasings keep cropping up in the comments’ section of the many unmoderated news sites on the web.”

While proof that some of our democratic debate is artificial may come as a revelation for some, and be unsurprising for others, the implications are significant. It is increasingly difficult to know with any certainty whose comments are real, and it is undeniable that some readers are susceptible to bandwagon mentality when they see large amounts of comments and ‘support’ for particular interests. The Koch Brothers with their many campaigns of disinformation are master manipulators of debate and are merely one, albeit a high-profile example, of human and media manipulation.

The following excerpts come from Happy Rockefeller’s discussion: 

…HB Gary people are talking about creating “personas”, what we would call sockpuppets. This is not new. PR firms have been using fake “people” to promote products and other things for a while now, both online and even in bars and coffee houses.

But for a defense contractor with ties to the federal government, Hunton & Williams, DOD, NSA, and the CIA –  whose enemies are labor unions, progressive organizations,  journalists, and progressive bloggers –  a persona apparently goes far beyond creating a mere sockpuppet.

According to an embedded MS Word document found in one of the HB Gary emails, it involves creating an army of sockpuppets, with sophisticated “persona management” software that allows a small team of only a few people to appear to be many, while keeping the personas from accidentally cross-contaminating each other. Then, to top it off, the team can actually automate some functions so one persona can appear to be an entire Brooks Brothers riot online.

Persona management entails not just the deconfliction of persona artifacts such as names, email addresses, landing pages, and associated content.  It also requires providing the human actors technology that takes the decision process out of the loop when using a specific persona.  For this purpose we custom developed either virtual machines or thumb drives for each persona.  This allowed the human actor to open a virtual machine or thumb drive with an associated persona and have all the appropriate email accounts, associations, web pages, social media accounts, etc. pre-established and configured with visual cues to remind the actor which persona he/she is using so as not to accidentally cross-contaminate personas during use.


This is an excerpt from one of the Word Documents, which was sent as an attachment by Aaron Barr, CEO of HB Gary’s Federal subsidiary, to several of his colleagues to present to clients:


To build this capability we will create a set of personas on twitter,‭ ‬blogs,‭ ‬forums,‭ ‬buzz,‭ ‬and myspace under created names that fit the profile‭ (‬satellitejockey,‭ ‬hack3rman,‭ ‬etc‭)‬.‭  ‬These accounts are maintained and updated automatically through RSS feeds,‭ ‬retweets,‭ ‬and linking together social media commenting between platforms.‭  ‬With a pool of these accounts to choose from,‭ ‬once you have a real name persona you create a Facebook and LinkedIn account using the given name,‭ ‬lock those accounts down and link these accounts to a selected‭ ‬#‭ ‬of previously created social media accounts,‭ ‬automatically pre-aging the real accounts.


In another Word document, one of the team spells out how automation can work so one person can be many personas:


Using the assigned social media accounts we can automate the posting of content that is relevant to the persona.  In this case there are specific social media strategy website RSS feeds we can subscribe to and then repost content on twitter with the appropriate hashtags. In fact using hashtags and gaming some location based check-in services we can make it appear as if a persona was actually at a conference and introduce himself/herself to key individuals as part of the exercise, as one example.  There are a variety of social media tricks we can use to add a level of realness to all fictitious personas.
There is no solution to this sort of third party and vested interest manipulation, but certainly making more people aware that this is a major issue is a great start to ensuring our conversation is real, and not overrun with denier bots.

lunedì 21 febbraio 2011

Effetto serra e CO2: come NON volevasi dimostrare


Ultimamente, è venuto di moda "dimostrare" che l'effetto serra non esiste. Di solito, i diversamente esperti di scienza lo fanno con elucubrazioni insensate ma, occasionalmente, qualcuno di loro prova a fare degli esperimenti. La foto che vedete qui sopra si trova in fondo a un articolo totalmente delirante di W.R Pratt, che, non vedendo alcun effetto del CO2 sulla temperatura delle bottiglie,  conclude che le sue pseudo-teorie sono corrette. Ma esperimenti mal congegnati daranno sempre risultati sbagliati. Non si può dimostrare gran che a proposito del riscaldamento globale planetario con due bottiglie di plastica - si riesce soltanto a dimostrare la tendenza umana a credere a quello che fa piacere credere. Questo vale soprattutto per i contraristi climatici ma anche, a volte, per persone che si qualificano come scienziati seri e che dovrebbero mettere più attenzione in certe cose.


Sul web potrete trovare diversi esperimenti casalinghi che hanno la pretesa di dimostrare l'esistenza (o la non esistenza) dell'effetto serra planetario. E' un campo dove anche i diversamente esperti di scienza, occasionalmente, si sporcano le mani.

Così, potete trovare almeno due esperimenti sul web dove si "dimostra" l'inesistenza del concetto stesso di effetto serra. Uno è quello di W.R Pratt (che vedete nella figura all'inizio). Un altro esperimento simile lo trovate su youtube fatto con due sacchi di plastica. In entrambi, non si vede nessun aumento di temperatura nel recipiente che contiene il CO2 una volta esposto al sole.

Viceversa, ci sono diversi esperimenti dove si vede un aumento di temperatura molto netto della bottiglia con il CO2 una volta che i due recipienti sono esposti alla luce; anche in condizioni molto simili a quelle dei due esperimenti di cui sopra (Uno lo trovate in questo film con una signora che usa termometri digitali e un data logger - vedi più in basso.)

Come mai certe volte si vede un effetto e certe volte no? Bene, mi ci sono grattato sopra un po' la testa e alla fine ho deciso di provare anch'io. Vedete in queste immagini il set-up sperimentale che ho messo insieme nelle foto qui accanto, molto simile a quello dei test che si vedono su internet. Due recipienti di PET, il CO2 generato con il bicarbonato, due lampade da 40 watt e misure fatte con un paio di termocoppie. Ho fatto diverse prove e sono arrivato ad alcune conclusioni interessanti.

La prima è che i contraristi stile Pratt hanno riferito risultati veri - a loro onore! Vale a dire, nelle loro condizioni sperimentali non si può vedere nessun effetto riscaldante dovuto alla CO2 e infatti non lo hanno visto. Questo non vuol dire che l'effetto non c'è, ma che per vederlo l'esperimento va fatto con alcune precauzioni.

Ho trovato che la cosa importante per vedere l'effetto è che ci sia un assorbitore di radiazione che riemette nell'infrarosso. Infatti, se vi ricordate bene, il riscaldamento globale avviene per effetto della riemissione di infrarosso dalla superficie terrestre - ed è questa radiazione che viene trattenuta dal CO2; scaldando l'atmosfera.

Nel mio caso, ho messo un feltro nero in fondo alla bottiglia a fare da riemettitore. Senza feltro, non si riesce a vedere nessun effetto significativo (a conferma dei risultati dei contraristi). Invece, con il feltro si vede abbastanza bene un riscaldamento di almeno un grado nel recipiente dove arriva il CO2. E' un effetto debole, ma abbastanza netto.

A conferma dei risultati che ho visto io, c'è un esperimento pratico che trovate a C. F. Keating, “A simple experiment to demonstrate the effects of greenhouse gases,” Phys. Teach. 45, 376–378, ͑2007͒ (un link qui) dove si usa Coca Cola per generare il CO2 direttamente all'interno della bottiglia. Non ho provato a rifare questo esperimento, ma dovrebbe funzionare. Ma qui è la Coca Cola stessa che fa da assorbitore - infatti è di colore scuro.

Ma, allora, come sta che c'è gente che ha visto un effetto del CO2 senza un'assorbitore? (come qui - vedi anche in fondo) Beh, non posso che concludere che sono degli imbrogli - in certi casi bene intenzionati, ma sembre degli imbrogli. Dalle prove che ho fatto, vedere un effetto significativo in quelle condizioni è impossibile. L'effetto è dovuto, molto probabilmente, al fatto che le due lampade sono mal posizionate. Metterle alla stessa distanza dai recipienti è cosa estremamente critica e anche molto difficile. Pochi millimetri possono falsare tutto l'esperimento - provateci anche voi e ve ne accorgerete. Infatti, se guardate bene il film della signora sembra proprio che una delle due lampade è più vicina al recipiente dell'altra. Non so cosa ne pensate voi, ma mi sembra un trucchetto squallido.

Tutto spiegato, allora? Sembrerebbe che abbiamo dimostrato che, se facciamo le cose bene, l'effetto del CO2 sulla temperatura si vede e quindi abbiamo "dimostrato" che l'effetto serra radiativo esiste.

Ahimé, no. Le cose non sono così semplici. Wagoner e altri sono andati a fare le pulci a questo esperimento e hanno dimostrato che l'effetto che si vede in questi test è dovuto più a una variazione delle proprietà convettive del gas che alle proprietà radiative. Ovvero, siccome il CO2 è più pesante dell'aria, la convezione è ridotta per cui è questo l'effetto riscaldante principale. Questa conclusione è valida nelle loro condizioni sperimentali (riscaldamento a meno di 30 gradi C e recipiente aperto). Non è detto che lo sia nelle condizioni che ho usato io; ovvero riscaldamento a circa 60 gradi C e recipiente chiuso). Ma, insomma, è chiaro che l'effetto che vediamo è molto più complesso di quanto non sembri e che le due bottiglie hanno ben poca relazione con l'atmosfera terrestre. Non bastano certo a dimostrare che il riscaldamento globale è causato dall'attività umana di emissioni di CO2. La questione del riscaldamento dell'atmosfera è enormemente complessa e non la si può riprodurre in una bottiglia o comunque in un recipiente che sta in un laboratorio.

Alla fine dei conti, più che altro queste "dimostrazioni" dimostrano la tendenza umana a credere alle cose a cui fa piacere credere. Questo vale soprattutto per i contraristi; che di regola credono soltanto agli esperimenti (sbagliati) che danno ragione alle loro tesi. Ma è possibile imbrogliare anche dalla parte opposta, cercando di dimostrare qualcosa non dimostrabile con la tecnica usata.

Ricordiamoci anche che la fisica dell'atmosfera è basata su prove sperimentali e modelli teorici ben assodati - non certo su test fatti con bottiglie di plastica. E' la stessa cosa per la fisica del sistema solare che non è certo basata su osservazioni fatte su una mela che cade. Per vedere un esperimento ben fatto sulle proprietà radiative del CO2, potete andare a vedere questo film di Ian Stewart.




E, per finire, ecco l'esperimento della signora con il datalogger che, a mio parere, è un imbroglio.

http://www.youtube.com/watch?v=Ge0jhYDcazY&feature=player_embedded

sabato 19 febbraio 2011

Segare il ramo su cui stai seduto


Immagine da "wildolive"


-Che il ramo cada è soltanto una teoria.

- I rami nella foresta sono sempre caduti.

- Sono stato qui a segare per un bel po', e ancora non è successo niente.

- Bisogna studiare ancora molto le leggi del ramo prima di poter essere sicuri che debba cadere.

- Sappiamo che nel passato i rami tendevano a crescere. In effetti, è probabile che andiamo verso una nuova era di ramo sempre più grosso.

- Al Gore è grasso, per questo il ramo non può cadere.

- Siamo in primavera, non vedi che spuntano nuove foglie? Il ramo sta bene.

- Ehi, ma non pensi ai posti di lavoro per i boscaioli?

- E' una cosa giusta da fare: si chiama potatura. 

- Smettere di segare sarebbe un danno per l'economia perché ridurrebbe le vendite della segatura.

- Non c'è prova che l'effetto della sega sia di aumentare le dimensioni del taglio.

- Ho visto dei messaggi che si sono scambiati le guardie forestali dieci anni fa. Parlavano di nascondere la crescita dei rami.

mercoledì 16 febbraio 2011

Il clima e i nostri corpi III: Il mito vegetariano.


Questo post fa parte di una serie dedicata al concetto che il corpo umano somiglia al sistema climatico nel senso che sono entrambi "sistemi complessi." Ovvero, sono sistemi dominati da interazioni che si rinforzano o si smorzano fra loro, generando un comportamento difficile da prevedere e da gestire. Mediamente, non siamo molto bravi a capire come funzionano i sistemi complessi e questo lo si vede sia da come gestiamo il clima terrestre, sia da come molti di noi gestiscono i propri corpi. Questo post, in particolare, è dedicato a una discussione del libro di Lierre Keith "Il mito vegetariano".
(altri post di Ugo Bardi su questo argomento si trovano qui e qui)


Con gli anni, mi sto convincendo sempre di più che c'è soltanto una cosa che ci può salvare dal pasticcio in cui ci siamo messi per tante cose; dal cambiamento climatico all'esaurimento delle risorse. E' il metodo scientifico; quel pensiero rigoroso che ci può far capire cosa succede in un mondo che, altrimenti, non può che apparire insensato.

Il metodo scientifico non basta da solo, certo. Ci vuole anche quella cosa che si chiama etica per farci agire come esseri umani. Ma, pensateci un attimo, l'etica da sola, cosa sarebbe senza una guida che ci dice se quello che stiamo facendo è veramente la cosa buona che pensiamo che sia?

Un esempio: non credete che nel passato ci siano state persone che credevano in buona fede che le streghe esistessero? E se uno crede una cosa del genere, non deve concludere che ammazzare le streghe è necessario per il bene di tutti? Cosa ci tiene a distanza dal legare a un palo delle donne e bruciarle se non le cose che sappiamo di come funziona il mondo reale, delle leggi della fisica?

Per fortuna, bruciare le streghe è una cosa che è passata di moda, ma la nostra società rimane profondamente ignorante dal punto di vista scientifico. Per via di questa ignoranza ci stiamo comportando come il classico rinoceronte nel negozio di bicchieri. Facciamo danno al pianeta e a noi stessi senza neanche rendercene conto. Alle volte, lo facciamo credendo sinceramente di far bene, come quando si bruciavano le streghe.

Il libro di Lierre Keith, "Il Mito Vegetariano" è centrato proprio su questo punto: su un comportamento che parte da ottime intenzioni dal punto di vista etico, ma che si scontra spesso con la realtà fisica delle cose. Keith dice esplicitamente: "la mia divergenza con i vegetariani non è per ragioni etiche, ma è un fatto di dati"

Ci sono molte ragioni per essere vegetariani o anche vegani - la versione estrema del vegetarianismo che rifiuta ogni alimento di origine animale. C'è chi sostiene che la dieta vegetariana e quella quella vegana sono salutari e fanno stare bene e vivere a lungo. Ma, quasi sempre, c'è un forte fattore di tipo etico che spinge a essere vegetariani. Comunemente, si ritiene che una dieta vegetariana impatti di meno sull'ecosistema planetario. Quest'ultima argomentazione è sostenuta dall'osservazione che la produzione di calorie di origine animale è meno efficiente di quella delle calorie di origine vegetale. Allora, l'idea è che, se tutti fossimo vegetariani, in teoria, potremmo produrre più cibo e aiutare chi non ha abbastanza da mangiare. E', in fondo, una versione a lungo raggio del comandamento cristiano "dar da mangiare agli affamati."

Sono argomentazioni piuttosto comuni, ma il libro di Keith le sottopone a una critica approfondita. Quello che è interessante di questa discussione non è tanto lo specifico quanto il metodo. Keith ha capito bene come ci sia qui un conflitto di fondo fra il metodo scientifico, che ci dice che cosa siamo biologicamente strutturati per mangiare, e una certa visione etica sostenuta dalle buone intenzioni, che ci dice che cosa dovremmo mangiare. Le due cose non sono facilmente compatibili.

Da quello che si sa del metabolismo umano, è abbastanza ovvio che la nostra specie non si è evoluta per una dieta vegetariana. Abolire completamente i cibi di origine animale vuol dire rischiare di privarsi di proteine essenziali per la nostra salute. Ciononostante, con molta attenzione, è possibile vivere da vegetariani. Più difficile, ma forse non impossibile, è vivere da vegani. Ma impegnarsi in diete del genere senza conoscere le basi della scienza dell'alimentazione è rischioso; soprattutto se ci si basa soltanto su un'ideologia mascherata da etica.


Lierre Keith è stata vegana per 14 anni e ne ha ricavato danni irreversibili alla salute. Ci sono molti altri casi del genere, tipo quello di Robb Wolf che, nel suo libro "Paleo solution," ci racconta la sua odissea alimentare da vegetariano a onnivoro. Un altro caso è quello di Sara Miller, che racconta come ha dovuto smettere con la sua dieta vegana su consiglio dei suoi stessi maestri spirituali. Insomma, la dieta è una cosa importante, e fare certe scelte con leggerezza rischia di rovinarci la vita e la salute.

Ma, se il fatto di essere vegetariani o vegani è una scelta, molta gente si trova a fare diete totalmente sbagliate per ragioni di ignoranza o anche semplicemente economiche. Una delle ragioni principali dell'epidemia di obesità che affligge gli Stati Uniti (e parzialmente anche l'Europa) è la dieta sbagliata, specialmente per le fasce più povere della popolazione. A parte qualche hamburger e qualche hot dog, questa dieta somiglia a quella vegetariana nel senso che è basata su un forte eccesso di carboidrati, soprattutto in forma di cereali. I risultati sono disastrosi: un terzo della popolazione americana è classificata come afflitta da obesità. Il corpo umano è un sistema complesso; va gestito con attenzione ed è facile fare dei grossi danni.

Quindi, la dieta vegetariana e, in ogni caso, diete ad alto contenuto di carboidrati, non sono ottimali per la salute. Ma uno dei ragionamenti che stanno dietro l'idea vegetariana si basa su un concetto completamente diverso. Certo, abbandonare le proteine di origine animale comporta un certo rischio e un certo sacrificio, ma questo è compensato dal valore etico della scelta. Se tutti fossero vegetariani ci sarebbe più cibo e risolveremmo il problema della fame. Encomiabile, ma ne siamo veramente sicuri?

Un esame di cosa potrebbe succedere se tutti fossimo vegetariani e stato fatto da Bob Holmes su "The New Scientist" in un articolo intitolato "perché mangiare vegetali non salverà il pianeta" La sostanza del suo ragionamento è che, si, è vero che abolendo gli allevamenti intensivi avremmo più spazio per la coltivazione di cereali per consumo umano. Tuttavia, questo non risolverebbe nessun problema. Al momento, non è che non stiamo producendo abbastanza cereali per tutti; il problema è che li stiamo producendo in modo non sostenibile.

L'agricoltura di oggi si basa principalmente sui combustibili fossili per fertilizzanti, pesticidi, irrigazione e meccanizzazione. Via via che esauriamo i fossili, saremo sempre più in difficoltà a produrre a sufficienza. Ma non è solo questo il problema: l'agricoltura industriale distrugge il suolo fertile genera la desertificazione di vaste aree di territorio. E il suolo fertile, una volta distrutto, richiede secoli per riformarsi. Non nascondiamoci dietro una foglia di fico: i vegetariani che fanno la spesa al supermercato non fanno altro che favorire ulteriormente l'agricoltura industriale e contribuire un altro po' a scorticare un intero pianeta.

Certo, la scelta vegetariana è spesso accoppiata a una scelta più oculata dell'origine degli alimenti. Si cerca di ottenerli da un'agricoltura che usa metodi meno impattanti sull'ecosistema: un'agricoltura sostenibile che rispetti il suolo. E' quell'agricoltura che viene detta "biologica" o "organica," basata per esempio sul concetto di "permacoltura." E' un punto molto dibattuto se questo tipo di agricoltura possa produrre altrettanto cibo per unità di area dell'attuale agricoltura industriale. Ma, a parte questo, un'agricoltura veramente "organica" non può fare a meno degli animali come produttori di fertilizzanti e distruttori dei parassiti. Così, d'altra parte, erano strutturate le fattorie di 100 anni fa, che erano sistemi integrati di produzione alimentare che comprendevano sia animali che piante. E' un'illusione romantica pensare che si possa coltivare qualcosa senza includere l'allevamento di almeno alcune specie animali. La permacultura, infatti, mira a riprodurre gli ecosistemi naturali e - ovviamente - gli ecosistemi naturali includono sia animali che piante.

Allora, se parliamo in termini di massimizzare la produzione di questi sistemi, è una sciocchezza non utilizzare anche gli animali che, oltretutto, forniscono proteine di alta qualità. Attenzione che questo non vuol dire che dobbiamo continuare con gli allevamenti industriali che sono forse anche peggiori dell'agricoltura industriale in termini di impatto sull'ecosistema. Vuol dire, però, che possiamo - anzi, dobbiamo - utilizzare delle forme di allevamento sostenibile in modo oculato come una sorgente alimentare che ottimizza la produzione agricola.

Il problema di armonizzare etica e scienza non si applica solo alla nutrizione. Lo vediamo in tantissimi campi, dove le buone intenzioni non bastano a risolvere i problemi. Questa è la tesi di fondo di Lierre Keith in un libro che è una preziosa revisione di quello che sappiamo oggi della nutrizione umana. E' un libro veramente bello e interessante; occasionalmente un po' troppo polemico, ma ricco di spunti di riflessione e di dati utilissimi per chi cerca di orizzontarsi nella complicata faccenda di cosa mangiare e che dieta seguire.

Come è ovvio, non tutti hanno apprezzato il messaggio di Lierre Keith: il risultato è che si è beccata in faccia una torta infarcita di pepe di cayenna da parte di alcuni fanatici imbecilli. Fortunatamente, non ha sofferto gravi danni. L'etica parte con buone intenzioni, ma quando si scontra con la realtà spesso diventa ideologia e l'ideologia non ammette opinioni contrarie. Come ha detto Poul Anderson, il male è soltanto bene che è marcito.