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venerdì 23 settembre 2016

LA CASCOLA DEL CAPITALE



La cascola è un fenomeno ben conosciuto dai contadini: si dice così quando gli alberi lasciano cadere i frutti ancora acerbi o addirittura i fiori.   Questo avviene quando all'inizio della fioritura le condizioni sono ideali: clima mite, acqua abbondante, terreno fertile, pochi parassiti, ecc.   Poi, in un momento qualunque prima della maturazione, tutta o buona parte della produzione cade a terra, precipitando il proprietario in depressione.    A maggior ragione perché, di solito, questo avviene proprio negli anni in cui tutto lasciava sperare un eccellente raccolto.

Di volta in volta la causa diretta è diversa.   Può trattarsi di un improvviso colpo di freddo o di caldo, dell’arrivo di un parassita, di una siccità (come questo anno) e molto altro ancora.   Ma dietro tutto ciò vi è sempre lo stesso identico fenomeno termodinamico: un flusso di energia insufficiente a mantenere tutti i tessuti prodotti dalla pianta.

Quando le condizioni sono favorevoli, le piante sfruttano infatti l’occasione per crescere il più possibile e, se è stagione di fioriture, per mettere in cantiere una gran massa di frutti.   Ma se le condizioni peggiorano prima della maturazione, la pianta si trova a non poter portare avanti una tale massa di tessuti in crescita.

Seccare i piccioli per lasciare cadere le frutta è quindi l’unica strategia che le consente di sopravvivere.   E se le condizioni continuano a peggiorare, lo stesso avviene con le foglie.   In altre parole, la pianta riduce il proprio capitale per riportarlo in equilibrio con il flusso di energia disponibile.

Più in generale, un qualunque sistema complesso posto in difficoltà comincia a sacrificare la propria periferia per salvaguardare il cuore del sistema.   Nel caso degli alberi, la ceppaia dal colletto in giù.   Quando muore anche quella è davvero finita.   Ma fenomeni riconducibili alla medesima dinamica si ritrovano anche negli animali, che ingrassano e dimagriscono.   Durante le carestie possono abortire e, in certi casi, addirittura mangiare i propri cuccioli. Lo stesso accade a livello di popolazioni, che solitamente crescono ai limiti del possibile nei momenti favorevoli, per poi diminuire in modo più o meno drammatico quando le condizioni si fanno avverse.

Tutti questi non sono che casi particolari di un unico fenomeno che possiamo definire “eccesso di capitale” sotto forma di individui, tessuti, semi, eccetera.   In termini sistemici, si tratta di uno sbilanciamento tra flussi e riserve.   Non può durare e si bilancia aumentando i flussi, riducendo le riserve o una combinazione dei due.   Ma una simile condizione di disequilibrio non può durare, inevitabilmente accadrà qualcosa che riporta il sistema in pari.

Qualcosa di strettamente analogo accade alle società umane nel loro complesso. Quando le condizioni sono favorevoli, le società accumulano capitale.   Non necessariamente sotto forma di denaro.   Anzi, questo accumulo prende soprattutto la forma di persone, costruzioni, opere d’arte e dell’ingegno, ricerche scientifiche, e qualunque altra cosa possa essere accumulata sotto forma di materia e/o informazione.

Ma man mano che il capitale cresce, crescono le quantità di energia che devono essere devolute al suo mantenimento perché qualunque cosa ha bisogno di manutenzione e la manutenzione si fa comunque dissipando energia.   Così, quando le condizioni si fanno meno favorevoli, la società si trova a non potersi più permettere di mantenere tutto quello che con grande soddisfazione aveva accumulato.

A livello individuale, quanta gente acquista la casa più bella e più grande che può, per poi doverla rivendere o lasciare andare in malora se le sue entrate diminuiscono e le spese aumentano?  

Qualcosa di strettamente analogo succede a livello collettivo con l’accumulo di infrastrutture ed oggetti, ma anche con l’accumulo di informazione sotto tutte le forma possibili.   E non dimentichiamo che il “capitale umano” è anch'esso parte integrante del capitale di una società.   In fondo, il denaro è di gran lunga la meno importante fra tutte le forme di capitale.

Oggi si parla molto e molto a proposito della riduzione della disponibilità di energia netta.   Una riduzione che secondo alcuni è già in corso e secondo altri avverrà più o meno a breve.   Solo i più sfrenati ottimisti si immaginano un futuro con flussi di energia netta costanti o addirittura in aumento. Possibile?   Penso di no, ma se anche fosse non cambierebbe molto perché, in questo caso, aumenteremmo il nostro capitale fino a raggiungere comunque un punto di crisi.
In ogni caso, l’altra faccia della diminuzione del flusso di energia netta è l’eccesso di capitale in tutte le sue forme.   Troppa gente, troppi oggetti, troppe infrastrutture, forse perfino troppe conoscenze.   Troppo di tutto.
La pasciona petrolifera ci ha consentito di accumulare in un secolo più di quanto avessimo fatto nell'intera nostra storia, da quando Homo sapiens esiste.   Che il picco dell’energia sia ora o fra 10 anni, che lo sviluppo del fotovoltaico galoppi o meno, qualunque cosa faremo, non potremo permetterci di mantenere tutto questo.   E questo significa fare delle scelte difficili.   Spesso dolorose, ma necessarie.

Le piante scelgono e lasciano cadere i frutti, ma conservano almeno parte delle foglie, i rami e le radici principali.    Gli animali digeriscono prima il loro grassi e solo dopo il tessuto muscolare.   Se necessario, uccidono i cuccioli (che morirebbero comunque), non gli adulti (che potranno fare altri cuccioli).
Anche noi, a livello collettivo, stiamo facendo esattamente questo.   Senza dirlo, ma stiamo scegliendo cosa abbandonare e cosa mantenere.   Guardatevi intorno e guardate i bilanci.   Ci sono tagli un po’ dappertutto, ma non nella medesima percentuale.

Ci sono settori che sono in via di rapido e totale smantellamento; altri sottoposti a cure dimagranti più o meno dure, mentre su alcuni settori convergono i fondi così liberati.   La scelta non ha niente di casuale, riflette semplicemente la scala delle priorità dei decisori.   Una scala che, al di là delle lamentele, la maggior parte delle persone sostanzialmente condividono.  

A esempio, fra sovvenzionare le aree protette oppure la sanità, fra sostenere i musei o le attività economiche praticamente nessuno ha dei dubbi.   Altri casi sono più controversi, ma comunque il fenomeno riguarda anche gli averi e la vita delle persone.

In questa fase, il cuore finanziario del sistema globale sta lasciando cadere le classi lavoratrici e medie per mantenersi in vita e, si spera,  generare nuova frutta quando le condizioni torneranno a migliorare.   Una promessa cui, bene o male, la maggior parte di noi continua sotto sotto a voler credere.   Ed è proprio questo che tiene la nostra società inchiodata sul binario morto dove si trova.

Nella scelta obbligata fra cosa conservare e cosa sacrificare continuiamo a scegliere ciò che pensiamo ci possa servire per restare ancora un poco sul ramo, anziché cosa potrà servire ai semi caduti per germinare e dare in futuro nuovi alberi.



sabato 28 maggio 2016

Termodinamica, Evoluzione, Felicità


Un post di Guido Massaro

Sono un assiduo frequentatore di questo blog da anni, che è stato per me fonte di conoscenza e ispirazione, ho studiato Scienze Naturali e mi interesso delle tematiche connesse.

Riassumo i contenuti del post: sarà una riflessione in cui espanderò un concetto a cui forse non siamo abituati, cioè che IL BENE DELLA SPECIE NON NECESSARIAMENTE COINCIDE COL BENESSERE DEGLI INDIVIDUI.

Spiegherò le basi scientifiche che ho usato e il percorso logico che ho fatto per motivare questa affermazione e analizzerò la questione dalla prospettiva particolare della specie umana, con riferimenti a meccanismi psicologici spesso inconsci.

Passerò poi alle conseguenze di questo fatto, cercherò di spiegare perchè secondo me alcuni tra i meccanismi che permettono la diffusione e il miglioramento della specie umana alla fine sono gli stessi che, se non capiti e incanalati nel giusto modo, oltre a mettere a rischio la felicità individuale compromettono il benessere e la stessa possibilità di sopravvivenza della specie umana.

Il post è il tentativo di mettere in parole una specie di intuizione personale.


Una delle formulazioni del Secondo Principio della Termodinamica recita "L'Entropia non può decrescere in un sistema isolato"; l'Universo preso nel suo complesso è un sistema isolato (e in effetti, come conseguenza di questa legge, una delle teorie più gettonate sul futuro dell'Universo - Big Freeze

- è un tendere all'immobilità, cioè alla dispersione di Energia - ovvero aumento di Entropia - fino alla impossibilità di compiere qualunque Lavoro) ma ciò non vieta che al suo interno vi siano strutture, meccanismi o eventi che causino una locale diminuzione di Entropia (per esempio per aumento di organizzazione o informazione, o per concentrazione di Energia), che può però avvenire solo a fronte di una corrispondente esternalizzazione di Entropia, perchè il Secondo Principio resti valido a livello Universale.

Vi sono per esempio le cosiddette "Strutture Dissipative", come le stelle, i cicloni e le forme di vita, che agendo come dei trasformatori utilizzano Energia per mantenere il proprio ordine interno (abbassando la propria Entropia), inevitabilmente aumentando l'Entropia dell'ambiente che le circonda, cioè rendendo all'Universo Energia in una forma diversa, meno concentrata, quindi meno atta a compiere Lavoro.

Queste strutture si auto-organizzano per massimizzare il flusso di Energia che le attraversa: captano tutta l'Energia che possono, e poichè la trasformano e in ogni trasformazione di Energia vi è un aumento netto di Entropia (aumento di Entropia nell'Universo), esse massimizzano anche il proprio tasso di produzione di Entropia.

In un Universo destinato a un progressivo "disordine", alla dispersione e all'immobilità, queste ordinate strutture accentratrici di Energia che osserviamo, compresa la Vita stessa, non sarebbero quindi miracolose eccezioni, ma ironicamente proprio dei meccanismi che accelerano tale processo, o perlomeno alcuni dei meccanismi attraverso cui tale processo si attua.

Il tifone Maysak ripreso dalla Stazione Spaziale Internazionale nell’aprile 2015 (ESA)
AU Microscopii è una giovane stella circondata da un disco protoplanetario, a 32 anni luce dalla Terra (ESO)

C'è chi, come l'astrofisico francese François Roddier, vede il principio della massima produzione di Entropia delle strutture dissipative (secondo lui addirittura un'altra possibile formulazione del Terzo Principio della termodinamica) mostrarsi in tutta la sua evidenza anche nei meccanismi evolutivi.

In altre parole, secondo Roddier l'Evoluzione Naturale sarebbe uno dei processi tramite cui nel nostro angolo di Universo si tende a dissipare Energia (nel nostro caso principalmente Energia di irraggiamento dal Sole) il più velocemente possibile, una sorta di meccanismo di affinamento delle strutture dissipative viventi a tale scopo.

In che modo questo potrebbe avvenire?

Vediamo alcuni meccanismi con cui l'Evoluzione tende a favorire quelle entità che massimizzano il flusso di Energia che le attraversa:

- a livello intraspecifico: in ogni specie gli individui che si riproducono con maggiori probabilità sono quelli più adattati alla nicchia ecologica della specie cui appartengono, cioè semplificando le piantine più abili a captare e sfruttare l'energia solare e i minerali del terreno, lo stesso principio si applica agli erbivori e ai carnivori, riguardo le rispettive risorse;

- a livello interspecifico: in ogni nicchia la specie che prevarrà sarà quella più efficace nello sfruttare le risorse di quella nicchia, che quindi si riprodurrà di più soppiantando l'altra, a meno che l'Evoluzione escogiti un modo di far adattare una delle due specie o entrambe al fine di sfruttare in maniera diversa la stessa o una ancora maggiore quantità di risorse;

L'Evoluzione si basa sul meccanismo di lottare per trasmettere il più possibile i propri geni (e la lotta tende a selezionare, come abbiamo visto, gli individui o specie più energivori), affinchè sia l'informazione in essi contenuta a sfruttare le future risorse disponibili: questo è quindi quello che la termodinamica (tramite il meccanismo dell'Evoluzione) spinge gli esseri viventi a fare, sia a livello individuale che specifico, lottare per trasmettere i propri geni.

Restringendo il campo alle dinamiche interne alla specie umana, questo "egoismo genetico", inevitabile e da un certo punto di vista positivo perchè come abbiamo visto alla base di qualsiasi evoluzione (che ci ha portato come gradevole effetto collaterale a concepire capolavori di arte ed intelletto), è tuttavia inseparabile dal suo lato oscuro e portatore di sofferenza, cioè geni che codificano per istinti di violenza e avidità (più o meno sublimati o regolamentati/repressi a livello sociale), e sentimenti di invidia, gelosia, competizione, paura, ansia, tristezza, ecc. a seconda dei propri successi o fallimenti, che si riconducono in maniera inconscia alla propria percezione di potere come individuo, e quindi alla propria capacità di riprodursi (trasmettendo i propri geni), a prescindere dalla evidenza pratica di questo nesso.

Dunque, è chiaro come il "bene della specie" in chiave evolutiva ("bene" su orizzonti temporali ristretti: infatti ogni specie, per gli stessi meccanismi (co)evolutivi, è destinata prima o poi ad estinguersi) non necessariamente coincida con il bene, o il benessere, degli individui come singoli.

Per quanto riguarda invece le dinamiche di relazione fra la specie umana e le altre specie, quello che succede è che siamo spinti, come ogni specie, alla massima espansione, coi soli limiti dati da meccanismi ecologici quali predazione, parassitismo, competizione per risorse o habitat, ecc.; evidentemente, questi meccanismi di contenimento con la nostra specie non hanno funzionato, in massima parte in conseguenza del livello tecnologico che abbiamo via via sviluppato.

In ogni caso, siamo arrivati ad essere in sempre maggior numero a discapito delle altre specie, e della salubrità degli ambienti che frequentiamo; tutto questo, a sentire il clima di incertezza e insoddisfazione che si respira in giro, mediamente non ci sta portando certo alla felicità a livello di individuo, e sta probabilmente minando anche la nostra prosperità come specie, dopo aver contribuito pesantemente all'estinzione o indebolimento di un numero incalcolabile di altre specie.

Da un punto di vista evolutivo/termodinamico, noi umani, intesi come struttura dissipativa, abbiamo aumentato a dismisura l'Energia che fluisce attraverso il nostro sistema sociale, sottraendola ad altre forme di vita, e seguendo il principio della massima produzione di Entropia abbiamo scaricato disordine nell'ambiente (per esempio diminuendo la biodiversità della biosfera a più livelli, bruciando combustibili fossili o tramite altre forme di inquinamento) come pegno termodinamico da pagare all'aumento del nostro ordine sociale.

Alla prova dei fatti, a quanto pare, da qualche millennio è l'informazione contenuta nei geni umani la più adatta a dissipare energia nel modo più efficace (anche se detta così sembra un controsenso).

Su questo blog e in vari altri ambienti si auspica o si sogna un cambiamento collettivo, e ci si interroga sulla nostra natura, il senso della nostra esistenza, se siamo diversi dagli animali e se sì in cosa; vorrei qui condividere un punto di vista personale su alcuni di questi aspetti, una personale intuizione che è il cuore del post.

Se si segue la teoria di Roddier, e il mio preambolo qui sopra, ne deriva che l'essere umano lasciato a sè stesso tende per i principi della termodinamica a sviluppare atteggiamenti egoistici a livello individuale e specifico, che causano sofferenza a se stessi, agli altri, alle altre specie.. e in un futuro non troppo lontano probabilmente anche alla nostra (vedi anche Joseph Tainter).

L'uomo come individuo è quindi costretto a sforzarsi se vuole seguire gli atteggiamenti opposti di altruismo disinteressato, magnanimità, compassione, equanimità, rispetto per l'esistenza delle altre specie, è costretto a utilizzare parte della propria energia per contrastare le forze che lo porterebbero a competere, con diversi livelli di consapevolezza e differenti modalità, con altri membri della propria specie (o al limite a collaborare con membri del proprio gruppo per sopraffare gruppi rivali), o a lasciarsi andare a sentimenti negativi verso se stesso e verso gli altri (o a reprimerli per dovere sociale).

A livello individuale e specifico, autolimitare la propria progenie per lasciare spazio e risorse alle altre specie con cui condividiamo il pianeta, è un'altra cosa che i nostri geni ci spingono a non accettare.

Se invece ci sforzassimo di percepire noi stessi in un'ottica più ampia (e quindi credo anche più coerente con quello che la realtà è) ci renderemmo conto dell'immaturità e nocività dell'obbedire inconsapevolmente a quei geni che ci programmano per competere e consumare, ci libereremmo dalla schiavitù di noi stessi, del nostro egoismo, che è forse la radice di ciò che ci tormenta come esseri umani.

Potremmo così percepirci progressivamente (in maniera sempre più spontanea mano a mano che questo modo di sentire direi più saggio trovasse modo di diffondersi a livello sociale) parte di un tutto dove il nostro benessere è indistinto dal benessere di ciò che ci circonda; non potremo certo fare a meno, come struttura vivente/dissipativa, di scaricare Entropia nell'ambiente che ci circonda, ma potremo cercare di minimizzarla, anzichè abbandonarci senza ritegno alla legge di massimizzazione.

Serve certamente uno sforzo per prendere questa direzione, ma è possibile, abbiamo fortunatamente anche geni che ci permettono di farlo; e infatti ci sono stati gruppi sociali in equilibrio stabile col proprio ecosistema, e ci sono anche tanti esempi di individui, i più famosi li chiamiamo eroi, qualcuno santi, persone speciali e libere che sembrano appartenere a un altro mondo fisico, capaci di vedere loro stesse da una prospettiva esterna, con distacco, non come un'entità insoddisfatta con un costante bisogno di aumentare il proprio ridicolo potere a spese di ciò che la circonda.

Si potrebbe compensare e in parte sostituire il bisogno compulsivo di una propria espansione, controllo e potere, che scaturisce dal meccanismo di trasmissione genetica, con la scelta di espandere e poi trasmettere, invece, la propria saggezza (intesa non come mera conoscenza, ma come una visione più coerente, ampia, armonica della realtà, del Pianeta, della Vita, dell'Universo).

Si tratterebbe di un meccanismo evolutivo privilegiato ed esclusivo della nostra specie, un meccanismo evolutivo libero e consapevole, complementare a quello rivelato da Darwin che condividiamo con le altre specie, che invece ci ha portato ai problemi attuali, e che è l'unico su cui la società e i media continuano a puntare.

Capire queste cose ci può aiutare a vedere chi si comporta in maniera poco rispettosa verso gli altri e l'ambiente semplicemente come un individuo poco libero, che si assoggetta a quello che una sequenza di nucleotidi lo costringe a fare; provare, verso questi individui, compassione anzichè sentimenti negativi va nella direzione di unire il genere umano per rendere possibile un futuro comune.

L'Universo non ha bisogno degli uomini per dissipare Energia, riguardo la pratica "Pianeta Terra" potrebbe "licenziarci" e far prendere il nostro posto ad altre forme di vita, o chiudere il capitolo Vita e "assumere" al suo posto tempeste gigantesche; io credo che possiamo scegliere di prolungare la nostra permanenza su questo pianeta perchè siamo l'unica entità conosciuta nell'Universo con la potenzialità teorica di modulare il proprio output entropico, siamo dotati della possibilità (divina?) di rifiutare leggi che paiono universali.

Credo inoltre che nella consapevolezza di questo nostro privilegio e nel perseguimento della saggezza e dei comportamenti conseguenti risieda la chiave di una progressiva (ri)scoperta di senso, armonia, empatia e felicità generalizzata.
Bimbi in Bhutan (National Geographic); il Bhutan ha adottato la FIL al posto del PIL, come indicatore degli standard di vita;
Se tutto ciò resterà appannaggio di pochi individui o gruppi, e sarà destinato a soccombere di fronte alla mancanza di libertà della maggioranza (di fronte quindi alla spietata termodinamica evolutiva a livello da specifico in su), o se si creerà un cambiamento collettivo, nessuno lo può sapere.

Comunque vada, io credo che tutto ciò possa dare senso, valore e forse anche felicità alla vita, anche se solo a livello individuale, di fronte a quello che si prospetta per il futuro.

giovedì 25 febbraio 2016

La Fisica dell'energia e l'economia

Da “Our Finite World”. Traduzione di MR

Di Gail Tverberg

Mi approccio al tema della Fisica di energia ed economia con qualche trepidazione. Un'economia sembra essere un sistema dissipativo, ma cosa significa veramente questo? Non ci sono molte persone che capiscono i sistemi dissipativi e molto poche che capiscono in che modo funziona un'economia. La combinazione delle due cose porta a moltissime false credenze sulle necessità energetiche di un'economia.

Il principale problema a portata di mano è che, in quanto sistema dissipativo, ogni economia ha le proprie necessità energetiche (in termini di luce solare) ed ogni pianta ed animale ha le sue necessità energetiche, in una forma o in un'altra. Un uragano è un altro sistema dissipativo. Ha bisogno dell'energia che ottiene dall'acqua calda dell'oceano. Se si sposta sulla terraferma , si indebolirà presto e morirà. C'è una gamma piuttosto ristretta di livelli di energia accettabili – un animale senza cibo sufficiente si indebolisce ed è più probabile che venga mangiato da un predatore o che soccomba ad una malattia. Una pianta senza luce solare sufficiente è probabile che si indebolisca e che muoia.

Infatti, gli effetti del non avere flussi di energia sufficienti potrebbero diffondersi più ampiamente della singola pianta o animale che si indebolisce e muore. Se la ragione per cui una pianta muore è perché la pianta è parte di una foresta che nel tempo è cresciuta così fitta che le piante del sottobosco non possono ricevere luce sufficiente, allora potrebbe esserci un problema più grande. Il materiale della pianta morente potrebbe accumularsi al punto da incoraggiare gli incendi. Tale incendio forestale potrebbe bruciare un'area piuttosto grande della foresta. Pertanto, il risultato indiretto potrebbe essere di mettere fine ad una parte dell'ecosistema stesso della foresta. Come dovremmo aspettarci che si comporti un'economia nel tempo? Lo schema di energia dissipata durante il ciclo di vita di un sistema dissipativo varierà, a seconda del sistema particolare. Negli esempi che faccio, lo schema sembra in qualche modo seguire ciò che Ugo Bardi chiama un Dirupo di Seneca.

Figura 1. Dirupo di Seneca di Ugo Bardi

mercoledì 6 gennaio 2016

I fisici confermano l'irreversibilità termodinamica in un sistema quantico



Da “Phys.org”. Traduzione di MR (via Emilio Martines)

Di Lisa Zyga


Nell'esperimento, un campione di cloroformio liquido (CHCl3) viene posto al centro di un magnete superconduttore dentro ad un magnetometro a risonanza nucleare magnetica (NMR). Vengono applicati impulsi magnetici avanti e indietro al campione, che porta rotazioni del carbonio nucleare fuori equilibrio e produce un'entropia irreversibile. Immagine: Batalhão, et al. ©2015 American Physical Society

Per la prima volta, i fisici hanno svolto un esperimento che conferma che i processi termodinamici sono irreversibili in un sistema quantico – il che significa che, anche a livello quantico, non puoi far ritornare intero un uovo rotto. I risultati hanno implicazioni per la comprensione della termodinamica nei sistemi quantici e, a loro volta, nella progettazione di computer quantici ed altre tecnologie informatiche quantiche. I fisici, Tiago Batalhão dell'Università Federale del ABC del Brasile ed i suoi coautori, hanno pubblicato il loro articolo sulla dimostrazione sperimentale della irreversibilità termodinamica quantica in un numero recente della Physical Review Letters.

venerdì 18 settembre 2015

Gli esseri umani si trovano di fronte all'estinzione se la distruzione delle piante continua: 'Le leggi della termodinamica non hanno pietà'

Da “International Business Times”. Traduzione di MR (via Bodhi Paul Chefurka)

Di Hannah Osborne




Una sezione di pascolo bruciato vista in un'area deforestata dell'Amazzonia nello stato di Maranhao (Mario Tama/Getty Images)

Uno studio ha scoperto che gli esseri umani o si estingueranno o saranno costretti a tornare a stili di vita da cacciatori-raccoglitori se continuiamo a distruggere la vita vegetale della Terra.
John Schramski, dell'Università della Georgia, ha detto che il nostro pianeta diventerà sempre meno ospitale in conseguenza della perdita di piante e che, se non ci estinguiamo, i nostri stili di vita torneranno quelli dei nostri antenati di 12.000 anni fa. In uno studio pubblicato sulla rivista PNAS, Schramski e colleghi hanno usato la termodinamica (la relazione fra calore ed energia) per guardare l'energia immagazzinata nelle piante e il tasso al quale viene distrutta per stabilire le conseguenze della distruzione continua. La Terra è stata un panorama desolato per miliardi di anni, finché gli organismi si sono evoluti fino a trasformare la luce solare in energia. Dopo di che c'è stata una esplosione di vita vegetale ed animale. I ricercatori stimano che il pianeta contenesse circa 1.000 miliardi di tonnellate di carbonio nella vita vegetale 2.000 anni fa e che da allora gli esseri umani hanno ridotto quella quantità di circa la metà, distruggendola per fare spazio a città e agricoltura. Si pensa che abbiamo distrutto circa il 10% di questa banca di carbonio negli ultimi 100 anni.

mercoledì 16 settembre 2015

Paul Chefurka: come i principi della termodinamica determinano la situazione energetica

DaProsperouswaydown”. Traduzione di MR (via Bodhi Paul Chefurka)

I principi termodinamici spiegano come una base energetica, per l'uomo e per la natura, governa sia l'auto organizzazione gerarchica sia la devoluzione di complessità nei sistemi attraverso le leggi fisiche.

Il principio della selezione naturale si rivela come capace di cedere informazioni che la prima e la seconda legge della termodinamica non sono competenti a fornire. Le due leggi fondamentali della termodinamica sono, naturalmente, insufficienti a determinare il corso degli eventi in un sistema fisico. Ci dicono che certe cose non possono accadere, ma non ci dicono cosa succede (Lotka, 1922).

Arriviamo così alla conclusione che ogni tipo di moto perpetuo è impossibile. Un flusso continuo di energia fresca è necessario per il funzionamento costante di ogni sistema in opera, sia animato sia inanimato. La vita è ciclica per quanto riguarda le sostanze materiali consumate e gli stessi materiali vengono usati in continuazione nel metabolismo. Ma per quanto riguarda l'energia, è unidirezionale e nessun uso ciclico continuo dell'energia è nemmeno concepibile. Se abbiamo energia disponibile, potremmo mantenere la vita e produrre ogni requisito materiale necessario. E' per questo che il flusso di energia dovrebbe essere la prima preoccupazione dell'economia (Soddy, 1926, p. 56).

I processi geologici, i sistemi atmosferici, gli ecosistemi e le società sono interconnessi attraverso una serie di trasformazioni energetiche... ognuna di esse riceve energia e materie dall'altro, ridandola indietro e agendo attraverso meccanismi di retroazione per auto-organizzare il tutto in una grande interazione di spazio, tempo, energia ed informazione. I processi di trasformazione dell'energia in tutta la biosfera costruiscono ordine, degradano energia nel processo e mettono in ciclo materiali ed informazioni in reti di sistemi organizzati gerarchicamente di scala spaziale e temporale sempre maggiore (Odum, 2001, p. 4).

Le prime tre leggi spiegano cosa succede nei singoli processi, mentre i quattro principi aggiuntivi mettono in relazione processi di potenza fra le scale, nel tempo.

1. La Prima Legge di Conservazione dell'Energia dice che l'energia non può essere creata o distrutta, piuttosto, la quantità di energia persa in un processo di stato stazionario non può essere maggiore della quantità di energia guadagnata. Vale a dire, non si può avere niente in cambio di niente, perché materia ed energia vengono conservate. Così, l'energia che fluisce in un sistema (e nello schema di un sistema) deve o essere conteggiata in flussi in uscita dai confini del sistema o in stoccaggio all'interno del sistema. Come riformulato da CP Snow: non puoi vincere.


2. La Seconda Legge, l'Entropia, dice che l'entropia in un sistema isolato in equilibrio tenderà ad aumentare nel tempo, avvicinandosi ad un valore massimo nel punto di equilibrio; i sistemi hanno una tendenza ad aumentare la propria entropia nel tempo. L'energia viene trasformata dal lavoro. Così, l'energia dispersa non può fare più lavoro e lascia degradata il sistema definito, raffigurato nei diagrammi come pozzo di calore. Non si può tornare allo stesso stato energetico durante il lavoro, perché c'è sempre un aumento del disordine, parte del calore va sprecato in tutti i processi in quanto la disponibilità di energia potenziale viene perduto. Come riformulato da Snow: non puoi pareggiare.


3. Man mano che la temperatura si avvicina allo zero assoluto, il cambiamento di entropia di un sistema a sua volta si avvicina allo zero, quindi è impossibile ridurre l'entropia di un sistema al suo valore di zero assoluto. L'entropia dipende dalla temperatura e porta alla formulazione dell'idea di zero assoluto, che è irraggiungibile. In altre parole, non si può cambiare il sistema o, come riformula Snow: non puoi ritirarti dal gioco.

Leggi o principi proposti

4. Non si può giocare a lungo a meno che non rubi pedine all'avversario


Una quarta legge energetica proposta è il Principio di Potenza Massima: “Nella competizione fra i processi auto-organizzati, i progetti di rete che massimizzano il potenziamento prevarranno” (Odum, 1996). “Siccome i progetti con migliori prestazioni prevalgono, l'auto-organizzazione seleziona le connessioni di rete che ridanno indietro energia trasformata per aumentare l'afflusso di risorse o per usarle in modo più efficiente” (Odum, 2000). Denominata Principio di Massima Potenza e un corollario, Potenziamento Massimo, questa idea, adattata da Lotka (1922), spiega perché i sistemi come le civiltà possono auto-organizzarsi al di fuori della tendenza universale verso l'entropia. L'energia alimenta la complessità con la trasformazione tramite lavoro in gerarchie sempre più alte di complessità ed ordine, rinforzando la produzione tramite l'acquisizione di energia disponibile massimizzata. La riformulazione, Potenziamento Massimo, descrive il tasso massimo di acquisizione di emergia. “Col tempo, tramite il processo di prova ed errore, i modelli complessi di strutture e processi si sono evoluti... quelli di successo sopravvivono perché usano bene materiali ed energie per la propria manutenzione e competono bene con altri modelli che il caso interpone”  (Odum). I fattori di qualità dell'energia (transformities, sotto) offrono più precisione nel comprendere come si auto-organizzano i sistemi. Quest'idea è importante anche per spiegare l'equilibrio reciproco fra potenza ed efficienza e come viene usata l'energia dai sistemi. Quando le forniture di energia sostengono la crescita accelerata, la massima potenza favorisce la competizione. Quando l'energia è limitata dal flusso, i livelli di crescita si livellano e vengono favorite unità diverse e cooperative (Odum, 2007). Questa idea di successione diventa importante per spiegare come smettono di crescere i sistemi, una volta maturi, e a persino devolvere, tramite impulsi. La prima priorità dei sistemi è quella di massimizzare l'afflusso di energia; la loro seconda priorità è massimizzare l'efficienza nell'elaborazione dell'energia.



5. Più rubi, più accorci la lunghezza totale del gioco

“Un quinto principio proposto delle gerarchia energetica o Transformity, afferma che il fattore qualitativo dell'energia aumenta gerarchicamente. Detto semplicemente, energie di diversi tipi formano una gerarchia di qualità. Perché? Perché questo progetto massimizza il potenziamento. Da studi di isotopi nelle catene alimentari ecologiche, Odum ha proposto che le trasformazioni dell'energia formano una serie gerarchica misurata dall'aumento di Transformity. I flussi di energia sviluppano reti gerarchiche nelle quali le energie che affluiscono interagiscono e vengono trasformate da processi di lavoro in forme di energia di maggiore qualità che rispondono ad azioni di amplificazione, aiutando a massimizzare la potenza del sistema” - (Odum 1994, p. 251). Questa trasformazione può essere misurata come la quantità di energia di un tipo necessaria per fare un'unità di energia di un altro tipo. Amplificatori di retroazione, o autocatalisi, creano flussi amplificatori di energia in aumento creando piramidi di complessità come le catene alimentari.


6. Lo scopo del gioco è quello di farlo durare il più possibile

Una sesta legge energetica proposta afferma che i cicli materiali hanno modelli gerarchici misurati dal rapporto emergia/massa che determina la loro zona, ampiezza e frequenza di pulsazione nella gerarchia energetica. I materiali sono accoppiati alla gerarchia di trasformazione dell'energia e circolano verso i centri della concentrazione gerarchica, re-circolando verso le concentrazioni di fondo disperse. 



In aggiunta, la legge di conservazione della materia afferma che ingressi di materie grezze inorganiche devono essere contate o per gli stoccaggi o per i deflussi tramite circolazione quando descritti nei sistemi, similmente all'energia, come raffigurato sotto dai flussi di materiali. 




7. I soldi del gioco sono contraffatti

Odum ha proposto anche la Gerarchia dei Soldi come settima legge (Odum, 2000, p. 12). I soldi sono accoppiati alle serie di trasformazioni dell'energia (gerarchia energetica) e sono limitati dalle proprietà della gerarchia. Le loro proprietà cambiano passando a centri più alti di concentrazione, le città. Ai livelli bassi sulla sinistra ci sono le trasformazioni ambientali libere senza soldi. Ad ogni passo più alto c'è un valore aggiunto, quindi la concentrazione di soldi aumenta come il rapporto energia/soldi. L'energia per unità di soldi diminuisce e, viceversa, i soldi per unità di energia (prezzo) aumentano. Nei centri, la circolazione di soldi è più concentrata ma il potere d'acquisto dei soldi è minore (Odum, 2000, p. 11).







martedì 4 agosto 2015

Economia per un mondo pieno

Da “Great Transition Initiative”. Traduzione di MR

Di Herman Daly Giugno 2015

Questo saggio è stato adattato da un discorso fatto in occasione del premio Pianeta Blu, nel novembre 2014. 

A causa della crescita economica esponenziale dalla Seconda Guerra Mondiale, ora viviamo in un mondo pieno, ma ci comportiamo ancora come se fosse vuoto, con ampi spazi e risorse per un futuro indefinito. Gli assunti di fondo dell'economia neoclassica, sviluppata nel mondo vuoto, non valgono più, in quanto l'onere cumulativo della specie umana sta raggiungendo – o, in alcuni casi, superando – i limiti della natura a livello locale, regionale e planetario. L'ossessione prevalente per la crescita economica ci mette sulla strada del collasso ecologico, sacrificando il sostegno stesso del nostro benessere e della nostra sopravvivenza. Per invertire questa traiettoria sinistra, dobbiamo transitare verso un'economia di stato stazionario concentrata sullo sviluppo qualitativo, anziché sulla crescita quantitativa, e sull'interdipendenza di economia umana e ecosfera globale. Sviluppare politiche ed istituzioni per un'economia di stato stazionario ci richiederà di rivisitare la questione dello scopo e dei fini dell'economia.

L'economia come sottosistema dell'ecosfera

Quando lavoravo alla Banca Mondiale, spesso sentivo l'affermazione “Non c'è conflitto fra l'economia e l'ecologia. Possiamo e dobbiamo far crescere l'economia e proteggere l'ambiente allo stesso tempo”. Lo sento ancora dire molto oggi.

Anche se si tratta di un'idea confortante, è al massimo vera a metà. La parte “vera” nasce da una confusione fra redistribuzione e crescita aggregata. Quasi sempre esistono possibilità di una migliore assegnazione – più di qualcosa di desiderato in cambio di una riduzione di qualcosa di meno desiderato. Tuttavia, la crescita aggregata, ciò che intendono i macro economisti col termine “crescita” (ed anche il significato in questo saggio), è che il valore totale del mercato di tutti i beni ed i servizi finali (PIL) si espande.

L'economia, come mostrato nella Figura 1, è un sottosistema aperto della più vasta ecosfera, che è finita, non in crescita e materialmente chiusa, anche se aperta aperta ad un volume continuo e non crescente di energia solare. Quando l'economia cresce in dimensioni fisiche, incorpora materia ed energia dal resto dell'ecosistema in sé stessa. Deve, per la legge di conservazione della materia e dell'energia (Prima Legge della termodinamica), invadere l'ecosistema, dirottando materia da usi precedentemente naturali. Più economia umana (più persone e beni) significa meno ecosistema naturale. In questo senso, l'affermazione che “non c'è conflitto” è falsa. C'è un conflitto fisico ovvio fra la crescita dell'economia e la preservazione dell'ambiente.

Che l'economia sia un sottosistema dell'ecosfera sembra forse troppo ovvio da enfatizzare. Eppure la visione opposta è comune ai piani alti. Per esempio, un recente studio del Comitato sul Capitale naturale del governo britannico ha asserito che “l'ambiente è parte dell'economia e dev'essere integrato adeguatamente in essa così che le opportunità di crescita non vadano perdute”. Al contrario, è l'economia che è la parte e deve essere integrata nel complesso dell'ecosfera finita di modo che il limiti della crescita non vengano superati. (1)

Ma questo conflitto fisico è economicamente importante? Alcuni credono di vivere ancora in un mondo “vuoto”. Nel mondo vuoto, l'economia era piccola in rapporto all'ecosistema che la conteneva, le nostre tecnologie di estrazione e di raccolta non erano così potenti ed eravamo presenti in numero ridotto. I pesci di riproducevano più rapidamente di quanto fossimo in grado di pescarli, gli alberi crescevano più rapidamente di quanto potessimo tagliarli e i minerali nella crosta terrestre erano abbondanti. In altre parole, le risorse naturali non erano proprio scarse. Nel mondo vuoto, aveva senso economicamente dire che non c'era conflitto fra crescita economica ed ecosistema, anche se non era propriamente vero in senso fisico.


Figura 1: Welfare in un mondo pieno e vuoto

La teoria economica neoclassica si è sviluppata durante quest'epoca e ne incorpora ancora molti assunti. Ma il mondo vuoto si è rapidamente trasformato in mondo “pieno” grazie alla crescita, grazie all'obbiettivo principale di ogni paese – capitalista, comunista o a metà strada. Dalla metà del XX secolo, la popolazione mondiale è più che triplicata – da due miliardi a oltre sette miliardi. Le popolazioni di bovini, polli, maiali e piante di soia e mais hanno fatto altrettanto. La popolazione non vivente di automobili, edifici, frigoriferi e cellulari è cresciuta anche più rapidamente. Tutte queste popolazioni, viventi e non viventi, sono quello che i fisici chiamano “strutture dissipative” - vale a dire, il loro mantenimento e riproduzione richiede un flusso metabolico, un volume che comincia con l'esaurimento delle risorse a bassa entropia provenienti dall'ecosfera e finisce col ritorno di rifiuti inquinanti ad alta entropia nell'ecosfera. Questo distrugge l'ecosfera da entrambi i lati, un costo inevitabile necessario per la produzione, la manutenzione e la riproduzione della riserva di persone e di ricchezza. Fino a poco tempo fa, la teoria economica standard ignorava il concetto di rendimento metabolico e, ancora adesso, la sua importanza è grandemente sottovalutata. (2)

Il concetto di flusso metabolico in economia porta con sé le leggi della termodinamica, che sono scomode per l'ideologia della crescita. La prima Legge, come osservato sopra, impone uno scambio quantitativo di materia/energia fra l'ambiente e l'economia. La Seconda legge, che l'entropia (o disordine) dell'universo aumenta sempre, impone un degrado qualitativo dell'ambiente – estraendo risorse a bassa entropia e dando indietro rifiuti ad alta entropia. La Seconda Legge della Termodinamica impone quindi un conflitto aggiuntivo fra l'espansione dell'economia e la preservazione dell'ambiente, cioè che l'ordine e la struttura dell'economia è pagata imponendo disordine nell'ecosfera che la sostiene. Inoltre questo disordine, esportato dall'economia, distrugge le complesse interdipendenze ecologiche del nostro ecosistema di supporto vitale.

Coloro che negano il conflitto fra crescita ed ambiente spesso affermano che siccome il PIL viene misurato in unità di valore, non necessariamente ha un impatto fisico sull'ambiente. Ma si deve ricordare che un dollaro di benzina è una quantità fisica – recentemente circa un quarto di gallone negli Stati Uniti. Il PIL è un aggregato di tutte le quantità di questo genere “del valore di un dollaro” comprate per l'uso finale e di conseguenza è un indice di valore ponderato di quantità fisiche. Il PIL certamente non è perfettamente correlato col flusso di risorse. Ciononostante, le probabilità di “disaccoppiamento” assoluto del flusso di risorse dal PIL sono piuttosto limitate, anche se se ne parla molto e sono e desiderate. (3)

I limiti sono resi visibili considerando una matrice ingresso-uscita di un'economia. Quasi ogni settore richiede ingressi da (e fornisce uscite per) quasi ogni altro settore. E questi ingressi richiedono un ulteriore giro di ingressi per la loro produzione, ecc. L'economia cresce come un insieme integrato, non come un misto di settori separati. Anche i settori dell'informazione e dei servizi richiedono ingressi di risorse fisiche sostanziali. In aggiunta al limite dal lato dell'offerta riflesso nell'interdipendenza ingresso-uscita dei settori di produzione, c'è il limite del lato della domanda di ciò che è stato chiamato “ordinamento lessicografico dei desideri” - a meno che prima non abbiamo cibo a sufficienza nel piatto, non siamo interessati all'informazione contenuta in mille ricette su Internet. E, naturalmente, il Paradosso di Jevons – l'idea che, man mano che la tecnologia avanza, l'aumento di efficienza col quale viene usata una risorsa tende ad aumentare il tasso di consumo di quella risorsa – nega gran parte dei benefici di tale progresso. Ciò non nega le reali possibilità del miglioramento dell'efficienza tecnica nell'uso delle risorse, o il miglioramento etico nell'ordinamento delle nostre priorità. Ma questi rappresentano uno sviluppo qualitativo e di frequente non vengono colte nel PIL, che riflette principalmente la crescita quantitativa.

Siccome il PIL riflette le attività dannose sia quelle benefiche, gli economisti ecologici non lo hanno considerato come desiderabile in sé. Hanno invece distinto la crescita (aumento quantitativo in dimensione per accrescimento o assimilazione di materia) dallo sviluppo (miglioramento qualitativo di progettazione, tecnologia o priorità etiche). Gli economisti ecologici sostengono lo sviluppo senza crescita – miglioramento qualitativo senza aumento quantitativo di flusso di risorse oltre una scala ecologicamente sostenibile. Data questa distinzione, si potrebbe infatti dire che non c'è necessariamente conflitto fra sviluppo qualitativo ed ambiente. Il calcolo del PIL mescola insieme crescita e sviluppo, così come costi e benefici. Esso quindi confonde anziché chiarire.

Da un mondo vuoto a un mondo pieno: il fattore limitante è cambiato

Quando il flusso entropico diventa troppo grande, sopraffa o la capacità rigenerativa delle fonti della natura o la capacità assimilativa dei pozzi della natura. Questo ci dice che non viviamo più nel mondo vuoto, ma piuttosto abitiamo in un mondo pieno. I flussi di risorse ora sono il fattore di scarsità e il lavoro e le riserve di capitale ora sono relativamente abbondanti. Questo schema di fondo di scarsità è stato invertito da un secolo di crescita.


Figura 2: Cambiamento dei fattori limitanti

Questa immagine semplice è istruttiva. In passato, la pesca era limitata dal numero di pescherecci e pescatori. Ora è limitata dal numero di pesci e dalla loro capacità di riprodursi. Più pescherecci non portano a più pesce pescato. Il fattore limitante non è più il capitale di pescherecci costruite dall'uomo, ma il capitale naturale rimasto di popolazioni di pesce e del loro habitat acquatico.
La logica economica vi direbbe di investire sul fattore limitante. La vecchia politica economica di costruire più pescherecci ora è antieconomica, quindi dobbiamo investire in capitale naturale, il nuovo fattore limitante. Come lo facciamo? Intanto, possiamo farlo riducendo la pesca per permettere alle popolazioni di pesci di tornare ai livelli precedenti e con altre misure come lasciare a maggese i terreni agricoli per ripristinare la loro fertilità. Più in generale, possiamo farlo ripristinando l'ecologia, la biodiversità, la conservazione e le pratiche d'uso sostenibili.

Si potrebbero disegnare quadri analoghi per altre risorse naturali. Cos'è che alla fine dei conti limita la produzione di legna tagliata? E' il numero di motoseghe, di segherie e taglialegna o le foreste che rimangono e il tasso di crescita dei nuovi alberi? Cosa limita i raccolti dell'agricoltura irrigua? E' il numero di tubi, irrigatori e pompe p le riserve d'acqua nelle falde, il loro tasso di riempimento e il flusso di acqua di superficie nei fiumi? Cosa limita il numero di barili di petrolio greggio pompato: il numero di piattaforme di trivellazione o i depositi di petrolio accessibile rimasti? Cosa limita l'uso di tutti i combustibili fossili: le nostre attrezzature minerarie e i motori a combustione o la capacità dell'atmosfera di assorbire i gas serra risultanti senza causare un drastico cambiamento climatico? In tutti i casi, è il secondo, il capitale naturale (sorgente o pozzo che sia), piuttosto che il capitale costruito dall'uomo.

Gli economisti tradizionali hanno reagito a questo cambiamento dell'identità del fattore limitante in tre modi. Il primo è che lo hanno ignorato – continuando a credere che viviamo nel mondo vuoto del passato. Il secondo è che hanno fatto finta che il PIL sia un numero etereo ed angelico piuttosto che un aggregato fisico. Il terzo è che hanno affermato che il capitale naturale non ha, di fatto, sostituito il capitale prodotto dall'uomo come fattore limitante, perché il capitale prodotto dall'uomo e il capitale naturale sono sostituti intercambiabili, almeno secondo le funzioni di produzioni neoclassiche.

Solo se i fattori di produzione sono complementi quello in numero ridotto può essere limitante. Quindi anche se il capitale naturale ora è più scarso di prima, questo non sarà un problema, dicono gli economisti neoclassici, perché il capitale prodotto dall'uomo è un sostituto “quasi perfetto” delle risorse naturali. Viene rappresentato come tale in funzioni di produzione moltiplicative come la ampiamente usata Cobb-Douglas. Ma moltiplicare i “fattori” di produzione per ottenere un “prodotto” è matematica, non economia. Nel mondo reale, ciò che chiamiamo “produzione” è di fatto trasformazione, non moltiplicazione. Le risorse naturali vengono trasformate da ingressi di capitale e di lavoro in prodotti utili e rifiuti.

Mentre le tecnologie migliorate possono certamente ridurre i rifiuti e facilitare il riciclo, gli agenti di trasformazione (capitale e lavoro) non possono essere utilizzati come sostituti diretti del materiale e dell'energia che vengono trasformati (risorse naturali). Possiamo produrre una torta di 4 chili e mezzo con solo mezzo chilo di ingredienti semplicemente usando più cuochi e forni? E, inoltre, come possiamo produrre più capitale (o lavoro) senza usare più risorse naturali? Mentre un investimento di capitale in sonar potrebbe aiutare a localizzare i pesci che rimangono, il sonar non è un buon sostituto di più pesce nel mare. E cosa succede al valore del capitale dei pescherecci, compresi i loro sonar, man mano che il pesce scompare?

Limiti alla crescita e la scala ottimale dell'economia in un mondo pieno

E' chiaro dalla Figura 1 che la transizione da un mondo vuoto ad uno pieno comporta costi e benefici. La freccia marrone da Economia a Welfare  rappresenta i servizi economici (benefici provenienti dall'economia). E' piccola nel mondo vuoto ma grande nel mondo pieno. Cresce ad un tasso decrescente perché, come esseri razionali, per primi soddisfiamo i desideri più importanti – La legge dell'utilità marginale decrescente. I costi della crescita sono rappresentati dai servizi ecosistemici in contrazione (freccia verde) che sono grandi nel mondo vuoto, ma piccoli nel mondo pieno. Diminuisce ad un tasso crescente man mano che l'ecosistema viene soppiantato dall'economia perché noi – in teoria – sacrifichiamo prima i servizi ecosistemici meno importanti – La legge dei costi marginali crescenti.

Possiamo riformulare ciò nei termini della Figura 3, che mostra il beneficio marginale in declino della crescita dell'economia e il costo marginale in aumento del risultante sacrificio ambientale:


Figura 3: I limiti della crescita

Dal diagramma, possiamo distinguere tre concetti di limiti della crescita:

1. Il limite della futilità si presenta quando l'utilità marginale della produzione arriva a zero. Anche senza nessun costo di produzione, c'è un limite a quanto possiamo consumare continuando a goderne. C'è un limite ai beni di cui possiamo godere in un dato periodo di tempo, così come c'è un limite dei nostri stomaci e della capacità sensoriale del nostro sistema nervoso. In un mondo con una povertà considerevole e in cui i poveri osservano quelli molto ricchi che si godono ancora la loro ricchezza in eccesso, molti vedono questo limite di futilità come molto lontano, non solo i poveri, ma tutti. Per il suo postulato di “non sazietà”, l'economia neoclassica formalmente nega il concetto di limite di futilità. Tuttavia, degli studi hanno mostrato che, oltre una “soglia di sufficienza”, sia la felicità percepita sia gli indici obbiettivi del benessere cessano di aumentare col PIL. (4)

2. La catastrofe ecologica è rappresentata da un netto aumento verticale della curva del costo marginale. Alcune attività umane, o nuova combinazione di attività, potrebbero indurre una reazione a catena, o punto di non ritorno, e far collassare la nostra nicchia ecologica. Il principale candidato per il limite catastrofico al momento è il cambiamento climatico fuori controllo indotto dai gas serra emessi nella ricerca della crescita economica. Quello che potrebbe accadere lungo l'asse orizzontale è incerto. L'assunto di un costo marginale in continuo e leggero aumento è piuttosto ottimistico. Data la nostra comprensione limitata di come funziona l'ecosistema, non possiamo essere sicuri di aver messo correttamente in sequenza i nostri sacrifici di servizi ecologici dal meno al più importante. Nel far strada alla crescita, potremmo sacrificare per ignoranza un servizio ecosistemico vitale prima di uno superficiale. Quindi la curva del costo marginale potrebbe in realtà salire e scendere in modo discontinuo, rendendo difficile definire il terzo e più importante limite, cioè il limite economico.

3. Il limite economico è definito dall'uguaglianza del costo marginale e del beneficio marginale e della corrispondente massimizzazione del beneficio netto. Il limite economico sembrerebbe essere il primo limite che incontriamo. Di sicuro si verifica prima del limite di futilità e probabilmente prima del limite di catastrofe. Nella peggiore ipotesi, il limite di catastrofe potrebbe coincidere col limite economico e determinarlo in modo discontinuo. Pertanto è molto importante stimare i rischi di catastrofe ed includerli come costi da conteggiare nella curva della disutilità prima possibile.

Dal grafico è evidente che la produzione e il consumo aggregati in aumento vengono giustamente chiamati crescita economica solo fino al limite economico. Oltre quel punto diventa crescita antieconomica perché aumenta i costi più dei benefici, rendendoci più poveri, non più ricchi. Ciononostante, continuiamo perversamente a chiamala crescita economica. Infatti, non troverete il termine “crescita antieconomica” in nessun libro di testo di macroeconomia. Ogni aumento di PIL reale viene chiamato “crescita economica” anche se aumenta i costi più rapidamente dei benefici. Che più ricco (più ricchezza netta) sia meglio di più povero è una verità lapalissiana. La domanda rilevante, però, è: la crescita ci rende più ricchi o ha cominciato a renderci più poveri aumentando il “malessere” più rapidamente del “benessere”?

Ci sono esempi di “malessere” ovunque, anche se sono ancora non misurati nei conteggi nazionali. Comprendono cose come scorie nucleari, cambiamento climatico da eccesso di carbonio in atmosfera, perdita di biodiversità, miniere esaurite, deforestazione, suolo eroso, pozzi e fiumi prosciugati e buco dell'ozono. Comprendono anche lavoro estenuante e pericoloso e il debito non saldabile derivato dal tentativo di spingere la crescita nel simbolico settore finanziario oltre ciò che è possibile nel settore reale.

Gli economisti osserveranno che la logica impiegata nella Figura 3 è famigliare in macroeconomia – la dimensione ottimale di una unità macroeconomica, che sia una ditta o una famiglia, si verifica dove il costo marginale è uguale al beneficio marginale. La logica non viene applicata alla macroeconomia, tuttavia, perché la seconda viene pensata come il Tutto piuttosto che una Parte. Quando una Parte si espande in un Tutto finito, impone un costo di opportunità sulle altre Parti che si devono restringere per farle spazio. Quando il Tutto stesso si espandesi pensa che non imponga nessun costo di opportunità perché non sostituisce niente, espandendosi presumibilmente nel nulla. Ma come visto nella Figura 1, la macroeconomia non è il Tutto. E' anche lei una Parte, una parte della più ampia economia naturale, l'ecosfera, e la sua crescita infligge costi di opportunità sul Tutto finito che devono essere considerati. Il rifiuto di riconoscere questo dipende dal fatto che molti economisti non possono concepire la possibilità che la crescita del PIL possa mai essere antieconomica.

Gli economisti standard potrebbero accettare la Figura 3 come un quadro statico ma poi sosterrebbero che, in un mondo dinamico, la tecnologia sposterebbe la curva dei benefici marginali verso l'alto e quella dei costi marginali verso il basso, spostando la loro intersezione (limite economico) sempre verso destra di modo che la crescita continua rimane sia desiderabile si possibile. Tuttavia, gli 'spostatori' di curve macroeconomiche devono ricordare tre cose. La prima è che la macroeconomia che cresce fisicamente è comunque limitata dalla propria sostituzione dell'ecosfera finita e dalla natura entropica del proprio flusso di mantenimento. La seconda è che la tempistica della nuova tecnologia è incerta. La tecnologia attesa potrebbe non essere inventata o entrare in funzione fino a dopo che abbiamo superato il limite economico. Manteniamo quindi la crescita antieconomica aspettando e sperando che le curve si spostino? La terza è che le curve possono anche spostarsi nella direzione sbagliata, spostando il limite economico indietro verso sinistra. I “progressi” tecnologici del piombo tetraetile e dei clorofluorocarburi hanno spostato la curva dei costi in giù o in su? E l'energia nucleare? O il “fracking”?

Adottare un'economia di stato stazionario ad un macro livello (mentre, naturalmente, favoriamo i miglioramenti di assegnazione al micro livello) ci aiuta ad evitare di essere spinti oltre il limite economico. Potremmo prenderci il nostro tempo per valutare nuove tecnologie piuttosto che adottarle ciecamente nell'interesse della crescita aggregata che potrebbe anche essere antieconomica. E lo stato stazionario ci da una qualche assicurazione contro i rischi della catastrofe ecologica ,che invece aumentano col 'crescismo' e l'impazienza tecnologica.

Tre prospettive sull'integrazione di economia ed ecosistema

La nostra visione e le politiche dovrebbe basarsi su una visione integrata ed un'ecosfera non in crescita. Tre diverse concezioni hanno fondato tali tentativi sull'integrazione e tutti e tre partono dalla visione dell'economia come sottosistema dell'ecosfera e riconoscono quindi i limiti della crescita. Tuttavia differiscono nel modo in cui ognuna tratta il confine fra economia e il resto dell'ecosistema e queste differenze hanno grandi conseguenze nelle politiche di come ci adattiamo ai limiti.


Figura 4: Approcci all'integrazione di economia ed ecosistema

L'imperialismo economico cerca di espandere i confini del sottosistema economico finché non invade l'intera ecosfera. L'obbiettivo è un sistema, la macroeconomia come Tutto. Questo è ottenuto  attraverso l'internalizzazione completa di tutti i costi e benefici esterni nei prezzi. Quella miriade di aspetti della biosfera non scambiati abitualmente nei mercati vengono trattati come se fossero per imputazione di “prezzi ombra” - la miglior stima dell'economista di cosa il prezzo della funzione o cosa sarebbe se venisse scambiata in un mercato competitivo. Ogni cosa nell'ecosfera viene teoricamente resa comparabile in termini della capacità del suo prezzo di aiutare o ostacolare gli individui a soddisfare i loro desideri. Implicitamente, il fine perseguito è un livello ancora maggiore di consumo e il modo di ottenere effettivamente questo fine è la crescita del valore di scambio aggregato dei beni e dei servizi finali messi sul mercato (PIL).

L'imperialismo economico è essenzialmente l'approccio neoclassico. Le preferenze soggettive individuali, tuttavia capricciose o istruite, vengono prese come la fonte ultima di valore. Questo è un giudizio di valore perverso, non l'assenza di giudizi di valore, come la trattano di solito gli economisti. Siccome i desideri soggettivi sono pensati come infiniti nel complesso, così come la sovranità, la scala delle attività dedite alla loro soddisfazione tende ad espandersi. L'espansione è considerata come “tutti i costi sono internalizzati nei prezzi”.

Mentre i costi possono certamente essere internalizzati nei prezzi, questa non dovrebbe diventare una scusa per permettere l'eccessiva acquisizione dell'ecosfera da parte della crescita economica. Sfortunatamente, molti dei costi della crescita che abbiamo vissuto sono arrivati come sosprese. Non possiamo internalizzarli se prima non possiamo immaginarli e prevederli. Inoltre, anche dopo che alcuni costi esterni sono diventati piuttosto visibili (vedi cambiamento climatico), l'internalizzazione è stata molto lenta, parziale e con molta opposizione. Le ditte che massimizzano i profitti hanno un incentivo ad esternalizzare i costi. Finché l'idoneità evolutiva dell'ambiente di sostenere la vita non viene percepita come valore dagli economisti, è probabile che venga distrutta nella ricerca imperialistica di soggiogare ogni molecola e fotone della creazione alle regole pecuniarie dell'attuale massimizzazione del valore.

Non c'è dubbio che una volta che la scala dell'economia è cresciuta al punto che beni e servizi ambientali in precedenza gratuiti diventano scarsi è meglio se dovessero avere un prezzo positivo che riflette la loro scarsità che continuare ad avere un prezzo zero. Ma la domanda precedente rimane: stiamo meglio con la nuova scala più grande con beni che prima erano gratuiti al giusto prezzo o la vecchia scala più piccola con beni gratuiti a loro volta al giusto prezzo (a zero)? In entrambi i casi, i prezzi sono giusti. Questa domanda di macro scala ottimale non viene posta e nemmeno risposta dall'economia neoclassica e neanche da quella Keynesiana nella loro cieca ricerca della crescita.

Il riduzionismo ecologico comincia con la giusta intuizione secondo cui gli esseri umani e i mercati non sono esenti dalle leggi di natura. Ma poi procede verso la falsa illazione secondo cui l'azione umana è completamente spiegabile dalle leggi della natura e riducibile ad esse. Cerca di spiegare qualsiasi cosa accada all'interno del sottosistema economico con le stesse leggi naturali che applica al resto dell'ecosistema. Ingloba il sottosistema economico indifferentemente all'interno del sistema naturale, cancellandone i confini. Portata all'estremo, questa visione pretende di spiegare tutto con un sistema materialistico deterministico che non ha spazio per lo scopo e la volontà. Questa è una visione sensibile da cui studiare l'ecologia di una barriera corallina o di una foresta pluviale. Ma se si adotta per studiare l'economia umana, si rimane invischiati nella scomoda implicazione politica secondo cui la politica non può fare nessuna differenza.

L'ecologia ha ereditato dalla sua disciplina madre, la biologia, una misura della filosofia meccanicistica della biologia moderna. Ciò deriva da un fondamentalismo neo Darwiniano che spesso è accettato acriticamente da molti importanti biologi come una metafisica deterministica validata dalla scienza, piuttosto che come una fruttuosa ipotesi di lavoro per fare scienza. Il determinismo è completamente in contrasto con politiche intenzionali di qualsiasi tipo e di conseguenza con qualsiasi pensiero economico che punti alle politiche. Un matrimonio felice fra economia ed ecologia, come nella “economia ecologica”, deve superare questa incompatibilità latente. L'imperialismo economico riduce tutto alla volontà ed all'utilità umana, trascurando i limiti oggettivi del mondo naturale. Il riduzionismo ecologico vede solo leggi naturali deterministiche e le estende imperiosamente in  “spiegazioni” materialiste di volontà e consapevolezza umana come mere illusioni. E' una tragica ironia che la disciplina le cui scoperte scientifiche hanno fatto molto per aprire gli occhi ai pericoli ambientali che abbiamo di fronte è anche la disciplina le cui presupposizioni metafisiche hanno fatto molto per indebolire la nostra volontà di rispondere a questi pericoli con politiche intenzionali. (5)

L'imperialismo economico e il riduzionismo ecologico sono entrambi visioni monistiche, anche se monismo opposti. La ricerca monistica di una singola entità o principio con cui spiegare tutto porta ad un eccessivo riduzionismo da entrambe le parti. Di certo, la scienza dovrebbe sforzarsi per la più ridotta o parsimoniosa spiegazione possibile senza ignorare i fatti. Ma rispetto per i fatti empirici fondamentali da un lato e scopo e volontà coscienti dall'altro ci dovrebbero portare ad un tipo di dualismo pratico. Dopo tutto, che il nostro mondo consista di due caratteristiche fondamentali non offre alcuna improbabilità intrinseca rispetto a quello che poggia solo su una. Come interagiscono queste due caratteristiche fondamentali del nostro mondo (causa materiale e causa finale) è un mistero venerabile – esattamente il mistero che i monisti di entrambi i tipi stanno cercando di evitare. Stanno meglio negando l'ordine mentale del proprio monismo che negando i fatti che indicano un dualismo disordinato.  

La prospettiva che rimane è il sottosistema di stato stazionario. Questo non tenta di eliminare il confine del sottosistema espandendolo per farlo coincidere col sistema complessivo o riducendolo a niente. Piuttosto, afferma sia l'interdipendenza sia la differenza qualitativa fra l'economia umana e l'ecosistema naturale. Il confine deve essere riconosciuto e disegnato nel posto giusto. La scala del sottosistema umano definita dal confine ha un optimum e il flusso con cui l'ecosfera mantiene fisicamente e rifonde il sottosistema economico dev'essere ecologicamente sostenibile. L'obbiettivo dell'economia è di minimizzare il consumo di bassa entropia per ottenere uno standard di vita sufficiente – vagliandolo lentamente e con cura attraverso tecnologie efficienti tese a scopi importanti. L'economia non dovrebbe essere vista come una macchina stupida dedita a massimizzare i rifiuti. Il suo scopo ultimo è mantenere e godersi la vita a lungo (non per sempre) ad un livello sufficiente di ricchezza per una buona (non lussuosa) vita.

L'idea di un'economia di stato stazionario proviene dall'economia classica ed è stata sviluppata da John Stuart Mill (1857), che la chiamava “stato stazionario”. (6) In un tale stato, la popolazione e la riserva di capitale non crescerebbero più, anche se l'arte di vivere continuerebbe a migliorare. La costanza di queste due riserve fisiche definivano la scala del sottosistema economico. I tassi di nascita sarebbero uguali ai tassi di morte e i tassi di produzione a quelli di deprezzamento. Oggi, aggiungiamo che entrambi i tassi dovrebbero essere uguali a livelli bassi piuttosto che a livelli alti, perché valutiamo la longevità delle persone e la durata dei manufatti e vogliamo minimizzare il flusso, soggetto al mantenimento di riserve sufficienti per una buona vita.

Politiche per un'economia di stato stazionario

L'economia ecologica dovrebbe cercare lo sviluppo di una visione di stato stazionario e andare oltre le strade senza uscita di imperialismo economico e riduzionismo ecologico. Dieci politiche per andare verso un'economia di stato stazionario sono presenti sotto. Molte potrebbero venire adottate indipendentemente e gradualmente, anche se hanno coesione nel senso che alcune compensano le lacune di altre. Naturalmente, la questione del livello desiderato dell'economia di stato stazionario è cruciale e i limiti locali, regionali e globali devono essere considerati nel plasmare politiche efficaci.

(1) Sviluppare sistemi di Cap-Auction-Trade per le risorse fondamentali (in particolare i combustibili fossili): mettere dei tetti per le risorse naturali secondo tre regole chiave: (1) le risorse rinnovabili non devono essere esaurite più velocemente di quanto si rigenerino, (2) le risorse non rinnovabili non devono essere esaurite più velocemente di quanto vengano sviluppati i sostituti rinnovabili e (3) i rifiuti provenienti dall'uso di tutte le risorse non devono essere riversate nell'ecosistema più rapidamente di quanto possano essere assorbite e ricostituite dai sistemi naturali. Questo approccio ottiene scala sostenibile ed efficienza di mercato, evita effetti di rimbalzo ed aumenta i ricavi d'asta per rimpiazzare le tasse regressive.

(2) Spostamento fiscale: spostare la base fiscale da “valore aggiunto” (lavoro e capitale) a ciò a cui viene aggiunto il valore, per esempio il flusso di risorse naturali, la fonte di costi sociali come l'inquinamento e gli effetti negativi sulla salute pubblica. Tali tasse incoraggeranno anche un uso efficiente delle risorse.

(3) Limitare la disuguaglianza: stabilire un limite minimo e massimo di reddito, mantenendo le differenze sufficientemente grandi da preservare gli incentivi ma sufficientemente piccole da sopprimere le tendenze plutocratiche delle economie di mercato.

(4) Riformare il settore bancario: passare dal sistema bancario dalla riserva frazionaria al 100% di obblighi di riserva sui depositi a vista. I soldi non sarebbero più prevalentemente indebitamento gravato da interessi creato dalle banche private, ma  debito non gravato da interessi emesso dal Tesoro. Ogni dollaro prestato per gli investimenti sarebbe un dollaro precedentemente risparmiato da qualcun altro, ripristinando l'equilibrio classico fra investimento ed astinenza dal consumo e ammortizzando i cicli di espansione e contrazione.

(5) Gestire il mercato per il bene pubblico: passare dal mercato libero e dalla mobilità libera del capitale ad un mercato internazionale equilibrato e regolato. Mentre l'interdipendenza delle economie nazionali è inevitabile, la loro integrazione in un'economia globale non lo è. Il libero mercato svende le politiche di internalizzazione dei costi interni, portando ad una corsa verso il basso. La mobilità libera del capitale annulla l'argomentazione del fondamentale vantaggio comparativo di libero scambio delle merci. (7)

(6) Espandere il tempo libero: ridurre il lavoro convenzionale in favore del lavoro part-time, del lavoro personale, e del tempo libero, abbracciando in tal modo il benessere come misura centrale di prosperità riducendo la spinta alla produzione illimitata.

(7) Stabilizzare la popolazione: lavorare verso un equilibrio in cui le nascite più l'immigrazione sia uguale alle morti più l'emigrazione e in cui ogni nascita sia una nascita voluta.
(8) Riformare i conti nazionali: separare il PIL in un conto dei costi e in un conto dei benefici così che il flusso di crescita possa essere fermato quando i costi marginali eguagliano quelli dei benefici marginali.

(9) Ripristinare la piena occupazione: ripristinare la Legge per la Piena occupazione del 1945 degli Stati Uniti ed il suo equivalente in altre nazioni per far tornare la piena occupazione lo scopo  e la crescita economica il mazzo temporaneo. La disoccupazione/sottoccupazione è il prezzo che paghiamo alla crescita tramite l'automazione, la delocalizzazione, il mercato deregolamentato e una politica di immigrazione di lavoro a basso costo. In condizioni di stato stazionario, i miglioramenti di produttività porterebbero ad aumentare il tempo libero piuttosto che la disoccupazione.

(10) Far progredire solo la governance globale: cercare la comunità mondiale come una federazione di di comunità nazionali, non la dissoluzione di nazioni in un solo “mondo senza confini”. La globalizzazione da parte del libero mercato, la libera mobilità del capitale e la migrazione libera dissolve la comunità nazionale, non lasciando niente da federare. Tale globalizzazione è individualismo a caratteri cubitali – un feudalesimo post nazionale aziendale all'interno di beni comuni globali. Piuttosto, rafforzare la visione originale di Bretton Woods di economie nazionali interdipendenti e resistere alla visione del WTO di una unica economia integrata globale. Rispettare il principio di sussidiarietà: anche se il cambiamento climatico e il controllo delle armi richiedono istituzioni globali, l'applicazione di leggi fondamentali e la manutenzione delle infrastrutture rimangono problemi locali. Concentriamo la nostra limitata capacità di cooperazione globale su quei bisogni e funzioni che la richiedono realmente.

Contesto etico ed ecologico delle economie più ampio

Una cosa è suggerire un profilo generale di politiche, ma è completamente un'altra cosa dire come ci assicuriamo la volontà, la forza e la chiarezza dello scopo per portare a termine quelle politiche – specialmente quando abbiamo trattato la crescita come il sommo bene durante l'ultimo secolo. Tale volontà richiederà un grande cambiamento di visione filosofica e di pratica etica, un cambiamento che viene difficilmente garantito anche alla luce di circostanze sempre più pericolose in cui si trova il pianeta.

Come modo di contemplare un tale cambiamento, considerate la “piramide fini-mezzi” della Figura 5. Le politiche consigliate sopra sono a metà, sotto “Economia Politica”. Alla base della piramide ci sono fini ultimi (bassa entropia materia-energia) di cui abbiamo bisogno per soddisfare i nostri desideri, ma che non possiamo produrre, solo consumare. Usiamo questi mezzi ultimi direttamente, guidati dalla tecnologia, per produrre mezzi intermedi (per esempio manufatti, beni, servizi) che soddisfano direttamente i nostri bisogni. Questi mezzi intermedi sono assegnati dall'economia politica per servire i nostri fini intermedi (per esempio, salute, comfort, educazione), eticamente classificati da quanto fortemente contribuiscono al Fine Ultimo nelle circostanze esistenti. Possiamo percepire il Fine Ultimo solo vagamente, ma per classificare eticamente i nostri fini intermedi, dobbiamo confrontarli a qualche criterio ultimo. Non possiamo evitare un'indagine filosofica e teologica nel Fine Ultimo solo perché è difficile. Dare priorità richiede che qualcosa vada al primo posto.


Figura 5: Una piramide fini-mezzi dell'attività umana

La posizione di mezzo dell'economia è significativa. L'economia tradizionalmente ha a che fare con l'assegnazione di dati mezzi intermedi per soddisfare una data gerarchia di fini. Serve il problema tecnologico di convertire i mezzi finali in mezzi intermedi e il problema etico di classificare i fini intermedi con riferimento ad un Fine Ultimo come risolto. Tutto ciò con cui l'economia ha a che fare, quindi, è assegnare efficientemente dati mezzi fra una data gerarchia di fini. Trascurando il Fine Ultimo e l'etica, l'economia è stata troppo materialista; trascurando i mezzi fisici finali e la tecnologia, non è stata sufficientemente materialista.

La politica economica finale (stewardship - gestione) è il problema totale dell'uso di mezzi finali per servire meglio il Fine Ultimo, non più dare per scontate la tecnologia e l'etica, ma come passi nel problema complessivo da risolvere. Il problema generale è troppo grande per essere affrontato senza ridurlo alle sue parti. Ma senza una visione del problema nel suo totale, le parti non stanno insieme.
La base scura della piramide rappresenta la conoscenza relativamente solida e consensuale di varie fonti di bassa entropia materia-energia. Il vertice chiaro della piramide rappresenta il fatto che la nostra conoscenza del Fine Ultimo è incerta e non quasi consensuale come la fisica. Il singolo vertice disturberà i pluralisti che pensano che ci sono molti “fini ultimi”. Grammaticalmente e logicamente, tuttavia, “ultimo” richiede il singolare. Eppure c'è sicuramente spazio per più di una percezione della natura del Fine Ultimo singolare e molto bisogno di tolleranza e pazienza nel ragionare insieme su di esso.

Il Fine Ultimo, qualsiasi esso sia, non può essere la crescita. Un migliore punto di partenza per ragionare insieme è l'aforisma di John Ruskin che recita: “Non c'è ricchezza, ma vita”. Come potrebbe essere riformulata questa intuizione come obbiettivo politico? Suggerirei la definizione seguente: massimizzare il numero cumulativo di vite che verranno mai vissute nel tempo ad un livello di ricchezza pro capite sufficiente per una buona vita. Ciò lascia aperta la tradizionale questione etica di cosa sia la buona vita, mentre condiziona la sua risposta alle realtà di ecologia e dell'economia della sufficienza. Come minimo, sembra un'approssimazione più ragionevole dell'attuale obbiettivo impossibile di “sempre più cose per sempre più gente per sempre”.

Note

1. Dieter Helm, Lo stato del capitale naturale: ripristinare il nostro patrimonio naturale (Londra: UK Natural Capital Committee, 2014).

2. Questo nonostante i contributi di Nicholas Georgescu-Roegen e Kenneth Boulding. Vedete Nicholas Georgescu-Roegen, La legge di entropia e il processo economico (Cambridge, MA: Harvard University Press, 1971); Kenneth Boulding, “L'economia della nave spaziale Terra in arrivo” su Qualità ambientale in un'economia in crescita, ed. H. Jarrett (Baltimora: Johns Hopkins University Press, 1966), 3-14.

3. Tim Jackson, Prosperità senza crescita: economia per un pianeta finito (Londra: Earthscan, 2009), 67–71.

4. Come indicato dal GPI (Genuine Progress Indicator) ed il suo predecessore ISEW (Index of Sustainable Economic Welfare). Per una indagine informativa, vedete Ida Kubiszewski, Robert Costanza, Carol Franco, Philip Lawn, John Talberth, Tim Jackson e Camille Aylmer, “Oltre il PIL: misurare ed ottenere il Global Genuine Progress”, Economia ecologica 93 (settembre 2013): 57-68.

5. Questa contraddizione è più evidente nel lavoro dell'acclamato naturalista ed ambientalista Edward O. Wilson, che afferma con forza sia il determinismo materialista sia l'attivismo ambientale. Riconosce la contraddizione e, incapace di risolverla, ha semplicemente scelto di conviverci. Vedete Wendell Berry, la vita è un miracolo (Un saggio contro la superstizione moderna) (Washington, DC: Counterpoint Press, 2000), 26. Vedete anche il capitolo 23 in Economia ecologica e sviluppo sostenibile di  Herman Daly, (Cheltenham, UK: Edward Elgar, 2007).

6. John Stuart Mill, Principi di economia politica IV.VII.I (Londra, 1848).

7. Ai capitalisti interessa la massimizzazione dei profitti assoluti, pertanto cercano di minimizzare i costi assoluti. Se il capitale è mobile fra le nazioni, si sposterà verso la nazione coi costi assoluti più bassi. Solo se il capitale è internazionalmente immobile i capitalisti si scomoderanno a confrontare i rapporti di costo interno dei paesi e sceglieranno di specializzarsi nei prodotti interniche hanno il costo relativo più basso in confronto alle altre nazioni e di scambiare quel bene (sul quale hanno un vantaggio comparativo) con altri beni. In altre parole, il vantaggio comparativo è una seconda migliore politica che i capitalisti seguiranno solo quando la prima migliore politica di seguire il vantaggio assoluto viene bloccata dall'immobilità del capitale internazionale. Per approfondire quato, vedete il capitolo 18 di Ecologia economica di Herman Daly e Joshua Farley (Washington, DC: Island Press, 2004).

domenica 15 febbraio 2015

L'analisi termodinamica rivela un ruolo ampio e trascurato del petrolio ed altre fonti energetiche nell'economia

DaPhys.org”. Traduzione di MR (h/t Emilio Martines)


Un nuovo modello di crescita economica include non solo capitale e lavoro, ma anche energia e creatività come fattori di produzione. L'energia è posta in una posizione uguale a quella di capitale e lavoro. Grazie a R. Kümmel. La seconda legge dell'economia: energia, entropia e le origini della ricchezza


(Phys.org) – Le leggi della termodinamica sono meglio conosciute per affrontare l'energia nel contesto della fisica, ma un nuovo studio suggerisce che gli stessi concetti possono aiutare a migliorare i modelli della crescita economica tenendo conto dell'energia nella sfera economica. Nei modelli di crescita neoclassici, ci sono due fattori principali che contribuiscono alla crescita economica: lavoro e capitale. Tuttavia, questi modelli sono ben lontani dalla perfezione, costituendo meno della metà della crescita economica reale. Il resto della crescita è costituito dal residuale di Solow, che si pensa sia attribuito la fattore di difficile quantificazione del “progresso tecnologico”. Anche se i modelli di crescita neoclassici aiutano gli economisti a capire la crescita economica, il fatto che lascino una parte così importante di crescita economica inspiegata è leggermente inquietante. Persino  Robert A. Solow, il fondatore della teoria neoclassica della crescita, ha dichiarato che il modello neoclassico “è una teoria di crescita che lascia inspiegato il fattore principale della crescita economica”.

Energia, un potente fattore di produzione

In un nuovo studio pubblicato sulla Nuova Rivista di Fisica, il professor Reiner Kümmel all'Università di Würzburg e il dottor Dietmar Lindenberger all'Università di Colonia sostengono che l'ingrediente mancante rappresentato dal residuale di Solow consiste principalmente di energia. Mostrano che, per ragioni termodinamiche, l'energia dovrebbe essere considerata come il terzo fattore di produzione, allo stesso livello dei tradizionali fattori capitale e lavoro. (Per definizione, il lavoro rappresenta il numero di ore lavorative all'anno. Il capitale si riferisce alla riserva di capitale che è elencata nei conti nazionali, che consiste di tutti i dispositivi che convertono energia, i processori di informazione e gli edifici e le installazioni necessarie alla loro protezione e funzionamento. L'energia comprende combustibili fossili e fissili (nucleare), così come le fonti energetiche alternative). La nuova proposta si trova in forte contrasto coi modelli di crescita neoclassici, in cui i fattori di produzione hanno pesi economici molto diversi, che rappresentano i loro poteri produttivi. Nei modelli di crescita neoclassici, questi pesi economici o “elasticità di produzione” sono impostati uguali alla quota dei costi di ciascun fattore di produzione: la quota del costo del lavoro è 79%, il capitale costituisce il 25% e l'energia solo il 5%. Nella loro analisi, i ricercatori hanno scoperto che, a differenza dei modelli neoclassici, i pesi economici dell'energia e del lavoro non sono uguali al costo delle loro quote. Mentre il peso economico dell'energia è molto più grande al costo della sua quota, quello del lavoro è molto più piccolo. Ciò significa che l'energia ha un potere produttivo molto più alto di quello del lavoro, che è il motivo per cui l'energia è relativamente economica mentre il lavoro è caro.


(Sinistra) Crescita economica e (destra) contributi dei tre principali fattori di produzione della crescita economica in Germania alla fine del 20° secolo. Grazie a Kümmel. La seconda legge dell'economia: energia, entropia e le origini della ricchezza

Implicazioni nel mondo reale

Per testare il loro modello nella realtà, Kümmel e Lindenberger lo hanno applicato per riprodurre la crescita economica della Germania, del Giappone e degli Stati Uniti dagli anni 60 al 2000, facendo particolare attenzione alle due crisi petrolifere. Nei modelli neoclassici, riduzioni degli ingressi di energia del 7%, come osservato durante la prima crisi energetica nel 1973-75, avrebbe dovuto causare una riduzione totale della produzione economica di solo lo 0,35%, mentre le riduzioni osservate erano fino ad un ordine di grandezza più grandi. Usando il maggiore peso dell'energia, il nuovo modello può spiegare una porzione molto maggiore delle riduzioni di produzione totali durante quel periodo. Se corrette, le loro scoperte hanno grandi implicazioni. Primo, il nuovo modello non richiede affatto il residuale di Solow. Questo residuale scompare dai grafici che mostrano le curve di crescita empiriche e teoriche. L'energia, insieme all'aggiunta di un più piccolo fattore di “creatività umana”, copre tutta la crescita che i modelli neoclassici attribuiscono al progresso tecnologico.

Secondo, e in qualche modo inquietante, è l'impatto che le scoperte potrebbero avere nel mondo reale. Nel 2012, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha dichiarato nella sua Panoramica Economica Mondiale che “... se il contributo del petrolio alla produzione è stato dimostrato essere molto maggiore della sua quota di costo, gli effetti potrebbero essere drammatici, suggerendo la necessità di un'urgente azione politica”. Secondo l'analisi dell'autore, il potere altamente produttivo dell'energia a basso costo e il basso potere produttivo del lavoro costoso ha implicazioni che riusciamo ad osservare facilmente. Da un lato , i cittadini medi di paesi altamente industrializzati godono di una ricchezza materiale che non ha precedenti nella storia. Dall'altro lato, combinazioni di energia-capitale potenti e a buon mercato stanno sempre più sostituendo il lavoro costoso e debole nel corso di una sempre maggiore automazione. Questa combinazione uccide posti di lavoro per la parte meno specializzata della forza lavoro. E' anche il motivo per cui molte meno persone lavorano in agricoltura e produzione oggi rispetto al passato e più persone lavorano nel settore dei servizi – anche se anche qui, computer e software stanno sostituendo il lavoro o causando la delocalizzazione del lavoro in paesi con salari bassi. Questa ben nota tendenza può essere compresa dal messaggio del nuovo modello secondo cui l'energia è più conveniente e più potente del lavoro.

Dov'è il punto di equilibrio?

Al centro del modello di Kümmel e Lindenberger c'è il concetto dell'equilibrio termodinamico. Come spiegano i ricercatori, le economie devono operare in un equilibrio dove un obbiettivo, come un profitto o il benessere generale, ha un massimo. Per massimizzare questi obbiettivi, l'economia neoclassica presume che non ci siano limiti alle combinazioni di capitale, lavoro ed energia. Senza limiti, l'equilibrio economico è caratterizzato dalla parità fra elasticità della produzione e quote di costo, che è uno degli assunti dei modelli di crescita neoclassici, come descritto sopra. Nel loro nuovo modello, Kümmel e Lindenberger applicano gli stessi principi di ottimizzazione, ma tengono anche conto dei limiti tecnologici su combinazioni di fattori di produzione. In realtà, un sistema di produzione non può funzionare a più della piena capacità e il suo grado di automazione ad un dato momento è limitato dalle quantità di dispositivi che convertono energia e di elaboratori di informazioni che il sistema può ospitare in quel momento. Ulteriori limiti legali e sociali potrebbero porre limiti “leggeri” sui fattori di produzione, in particolare il lavoro. In questo nuovo modello, questi limiti tecnologici sui fattori di produzione impediscono alle moderne economie industriali di raggiungere l'equilibrio neoclassico, dove le elasticità di produzione di capitale, lavoro ed energia sono alle quote di costo di questi fattori. Piuttosto, l'equilibrio delle economie reali, che sono vincolate da limiti tecnologici, è ben lontano dall'equilibrio neoclassico.

Mentre il modello fornisce una nuova prospettiva di crescita economica, la domanda finale rimane ancora: che tipo di strategie stimoleranno la crescita economica e ridurranno la disoccupazione e le emissioni? Qualsiasi sia la domanda, i risultati qui suggeriscono che deve tenere conto del ruolo cardine dell'energia nella produzione economica. “All'interno dell'attuale quadro legale del mercato, serve che la crescita economica proibisca lo spettro della disoccupazione”, spiegano i ricercatori. “La crescita economica alimentata dall'energia, a sua volta, potrebbe portare a sempre maggiori perturbazioni ambientali perché, secondo la prima e la seconda legge della termodinamica, niente nel mondo accade senza conversione di energia e produzione di entropia. E la produzione di entropia è associata all'emissione di calore e particelle, segnatamente biossido di carbonio, finché il mondo usa combustibili fossili al tasso attuale”.

Kümmel è anche l'autore di un libro sul tema intitolato La seconda legge dell'economia: energia, entropia ed origini della ricchezza.