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sabato 5 luglio 2014

IEA: la festa è finita

DaPost Carbon Institute”. Traduzione di MR 

Di Richard Heinberg 


Palloncini scoppiati via danielmohr/flickr. Licenza Creative Commons 2.0

L'Agenzia Internazionale per l'Energia (IEA) ha appena pubblicato un nuovo rapporto speciale chiamato “Panoramica sull'Investimento Energetico Mondiale” che dovrebbe far correre i responsabili politici verso le uscite urlando – se sono disposti a leggere fra le righe e vedere il rapporto nel contesto delle attuali tendenze finanziarie e geopolitiche. Ecco come l'agenzia di stampa UPI comincia il suo sommario:

Serviranno 48 trilioni di dollari di investimento fino al 2035 per compensare i bisogni crescenti di energia mondiale, ha detto giovedì la IEA da Parigi. Il Direttrice Esecutiva della IEA Maria van der Hoeven ha detto in una dichiarazione che l'affidabilità e la sostenibilità delle future forniture energetiche dipendono da un alto livello di investimento. “Ma questo non si materializzerà a meno che non ci siano quadri politici credibili in atto così come un accesso stabile a fonti finanziarie a longo termine”, ha detto. “Nessuna di queste condizioni dovrebbe essere data per scontata”.

Ecco una parte del contesto che manca nel rapporto della IEA: l'industria petrolifera sta di fatto tagliando gli investimenti a monte. Perché? I prezzi globali del petrolio – che nell'attuale forbice da 90 a 110 dollari al barile sono a livelli storicamente alti – sono ciononostante troppo bassi per giustificare di affrontare una geologia sempre più impegnativa. L'industria ha bisogno di un prezzo del petrolio di almeno 120 dollari al barile per finanziare l'esplorazione nell'Artico ed in alcuni giacimenti in acque ultra profonde. E non dimentichiamo: gli attuali tassi di interesse sono ultra bassi (grazie all'alleggerimento quantitativo - Quantitative Easing - della Federal Reserve), quindi smistare capitale di investimento dovrebbe essere più facile adesso di quanto è probabile che diventi mai in futuro. Se il QE finisce e i tassi di interesse aumentano, la capacità dell'industria e dei governi di aumentare drammaticamente l'investimento in produzione futura di energia svanirà.

Altri elementi dal rapporto che dovrebbero ugualmente essere in grado di indurre i responsabili politici a dare di matto:

La bolla dello scisto sta per scoppiare. Nel 2012, la previsione della IEA secondo la quale i tassi di estrazione petrolifera dalle formazioni di petrolio di scisto statunitensi (principalmente Bakken in Nord Dakota ed Eagle Ford in Texas) avrebbero continuato a crescere per molti anni, con l'America che avrebbe superato l'Arabia Saudita nel tasso di produzione petrolifera per il 2020, per poi diventare esportatrice netta di petrolio nel 2030. In questo nuovo rapporto, la IEA dice che la produzione di tight oil statunitense comincerà a declinare circa nel 2020. Si potrebbe quasi pensare che la gente della IEA abbia letto l'analisi del Post Carbon Intitute delle prospettive del tight oil e del gas di scisto!www.shalebubble.org Questa è una dose di realismo benvenuta, anche se la IEA sta probabilmente ancora sbagliando in senso ottimistico: la nostra lettura dei dati suggerisce che il declino comincerà prima e sarà probabilmente erto.

Aiutateci, OPEC – siete la nostra sola speranza! E' così che il Wall Street Journal inquadra la sua storia sul rapporto: “Un cane da guardia di punta dell'energia ha detto che il mondo avrà bisogno di più petrolio mediorientale nel prossimo decennio, in quanto l'attuale boom statunitense svanisce. Ma la IEA ha avvertito che i produttori del Golfo Persico potrebbero ancora non riuscire a colmare il divario, rischiando così prezzi del petrolio più alti”. Vediamo, come se la passa l'OPEC in questo periodo? Iraq, Siria e Libia sono in agitazione, l'Iran sta languendo sotto le sanzioni economiche statunitensi. Le riserve petrolifere dell'OPEC sono ancora ridicolmente esagerate. E mentre i sauditi hanno compensato i declini nei vecchi giacimenti petroliferi mettendone in produzione dei nuovi, hanno finito i nuovi giacimenti da sviluppare. Quindi sembra come se questo rischio di più alti prezzi del petrolio sia un rischio piuttosto forte.

Una previsione del prezzo “cosa mi preoccupa”? Nonostante tutte questi sviluppi terribili, la IEA non offre alcun cambiamento della sua previsione del prezzo del petrolio del 2013 (cioè, un graduale aumento dei prezzi mondiali del petrolio fino a 128 dollari al barile per il 2035). Il nuovo rapporto dice che l'industria petrolifera avrà bisogno di aumentare il suo investimento a monte sul periodo di previsione di 2 trilioni di dollari al di sopra della precedente previsione di investimento della IEA. Da dove dovrebbe prendere questi 2 trilioni di dollari l'industria petrolifera se non da prezzi significativamente più alti – più alti nel breve periodo, forse, rispetto alla previsione a lungo termine del prezzo della IEA di 128 dollari al barile – e che crescono ancora di più? La previsione del prezzo è ovviamente inaffidabile, ma non è una cosa nuova. La IEA ha pubblicato previsioni sul prezzo molto imprecise nel decennio scorso. Infatti, se l'enorme aumento dell'investimento energetico consigliato dalla IEA dovesse verificarsi, sia l'elettricità che il petrolio stanno per diventare significativamente meno accessibili. Per un'economia globale strettamente legata al comportamento dei consumatori e dei mercati, ed un'economia che si sta già contraendo, i vincoli energetici significano una cosa e solo una cosa: tempi duri.

E le rinnovabili? Le previsioni della IEA sono che solo il 15% dei 48 trilioni di dollari necessari andranno alle energie rinnovabili. Tutto il resto serve solo per tamponare il nostro attuale sistema energetico petrolio-carbone-gas di modo che non finisca nel burrone a causa della mancanza di combustibile. Ma quanto investimento servirebbe se si volesse seriamente affrontare il cambiamento climatico? Gran parte delle stime si occupano solo dell'elettricità (cioè, sorvolano il problema cardine del settore dei trasporti) e ignorano la questione del EROEI. Anche se semplifichiamo artificialmente il problema in questo modo, 7,2 trilioni di dollari spalmati su oltre venti anni, semplicemente non lo tagliano. Un ricercatore stima che gli investimenti dovranno salire a 1,5-2,5 trilioni di dollari all'anno. In effetti, la IEA ci sta dicendo che non abbiamo ciò che serve per sostenere il nostro attuale regime energetico ed è improbabile che investiremo a sufficienza per passare ad un altro.

Se si guardano le tendenze citate e si ignorano le esplicite e fuorvianti previsioni dei prezzi, il messaggio implicito della IEA è chiaro: la continua stabilità del prezzo del petrolio sembra problematica. E coi prezzi dei combustibili fossili alti e volatili, i governi troveranno probabilmente ancora più difficile dedicare un sempre più scarso capitale di investimento verso lo sviluppo di capacità di produzione di energia rinnovabile.

Quando leggete questo rapporto, mettetevi nei panni di un responsabile politico di alto livello. Non pensereste di andare in pensione in anticipo?

giovedì 26 giugno 2014

Turiel: aggiornamenti sulla situazione petrolifera

DaThe Oil Crash”. Traduzione di MR
























Di Antonio Turiel

Cari lettori,

nelle ultime due settimane sono venute fuori diverse notizie di grande impatto nel mondo dell'energia, tutte meriterebbero di avere una posizione di rilievo sulla prima pagina dei quotidiani e alcuni minuti nei notiziari televisivi, cosa che naturalmente o non è successa o o è stata mascherata da qualcos'altro. Tutte queste notizie comportano una crescente angoscia e preoccupazione per il futuro, non tanto dell'energia quanto dell'economia mondiale, e anticipano che il declino energetico può entrare in una nuova fase più rapida, in una caduta più precipitosa. Facciamo una revisione di questi fatti:

La Panoramica sull'Investimento Energetico Mondiale della IEA: Come 11 anni fa, l'Agenzia ha pubblicato un rapporto sulle necessità di finanziamento e sulle opportunità per gli investitori nel settore dell'energia globale. Il rapporto ha causato grande agitazione nella comunità delle persone consapevoli della crisi energetica per due motivi: perché indica che servirebbero 48 trilioni di dollari di investimento in energia da qui al 2035 e perché dice che il sistema europeo dei prezzi per l'elettricità garantiscono il fatto che la rete elettrica europea non è sostenibile. Rispetto alla prima delle minacce, bisogna contestualizzarla: 48 trilioni di dollari da spendere in 22 anni comportano una spesa media di 2,18 trilioni all'anno (cominciando da 1,5 trilioni quest'anno per finire con 2,5 trilioni nel 2035). Intendo dire che tutte queste cifre vengono fornite in dollari costanti. In confronto al PIL attuale (2012) del pianeta Terra (circa 71,8 trilioni di dollari) questa spesa media annuale rappresenta un 3% del PIL. Significativo ma non impressionante. Anche i 2,5 trilioni del 2035 rappresenterebbero solo il 3,5% del PIL di oggi. Il problema, come osserva Gail Tverberg, è che la IEA sta dando per scontata una crescita dell'economia mondiale del 3,6% all'anno, cosa che vedendo l'attuale rallentamento economico sembra sempre più difficile e, ciò che è peggio, tenendo conto dell'ormai indissimulabile tramonto del petrolio che comporta che questa crisi non finirà mai, in questo periodo tanto dilatato di tempo il PIL del pianeta comincerà a contrarsi. Il che è grave perché, a parte che le previsioni delle necessità di investimento della IEA sono sicuramente ottimistiche, in una situazione di PIL in declino il peso del costo energetico sarà sempre maggiore. Ricordiamo che, come indica James Hamilton, quando il costo finale dell'energia supera il 10% del PIL, un'economia entra in recessione. E i 48 trilioni che indica la IEA non sono il costo energetico, ma solo l'investimento totale necessario (secondo loro) perché continui a fluire (e questo assumendo che l'OPEC raccoglierà il gioco della avventura americana fallita del fracking, che il rapporto stesso mostra che ha le ali molto piccole). Per questo è facile supporre che il prezzo dell'energia sia una percentuale maggiore del PIL globale di quel 3% di costi di produzione e in una economia che non cresce sarà molto facile superare questa soglia del dolore del 10% del PIL, a partire dalla quale l'economia entrerà in una coclea irrecuperabile, visto che la recessione implicherà meno investimento in energia ed un aumento del prezzo della stessa che affonderà ancora di più l'economia in una spirale mortale e, per la prima volta, globale. Rispetto al secondo rischio che indica la IEA, non c'è molto da dire: il settore elettrico europeo (ricordiamo, tuttavia, che l'elettricità rappresenta una percentuale minoritaria e solo un 10% su scala globale) è in crisi e le compagnie elettriche non hanno troppo interesse ad investire nel loro mantenimento ed espansione. Sembra pertanto che i blackout saranno inevitabili nei prossimi decenni. Per un'analisi più approfondita consiglio l'eccellente articolo di Gail Tverberg su Our Finite Worldanche questo di Richard Heinberg.

Il documento sulla Strategia Europea di Sicurezza Energetica: Due settimane fa la Commissione Europea ha pubblicato un documento di strategia energetica il cui obbiettivo è quello di preparare l'Unione ad una possibile interruzione improvvisa della fornitura di gas naturale all'Europa. Anche se non viene detto apertamente, dietro a questa impostazione strategica c'è lo scontro fra Occidente e Russia per il caso Ucraina. La Commissione considera verosimile che ci possano essere problemi questo stesso inverno ed ha disposto che si facciano dele prove di stress (stress test) al più presto per verificare la capacità del sistema europeo di resistere a questa interruzione. Si parla anche molto di gas naturale, non si parla poco di petrolio, e in linea di principio le prove di stress sono per tutto il sistema energetico, cioè che si contempla anche un'interruzione della fornitura di petrolio: Anche se viene molto enfatizzato quanto l'Europa dipenda dal petrolio russo, viene data poca importanza a questa possibilità, chiarendo che finora la Russia è dipesa molto dai prodotti raffinati che le inviamo da qui – ma, è chiaro, oggigiorno i movimenti dei paesi sono sempre più imprevedibili. Per combattere questi rischi e nel breve periodo che rimane – mesi, da qui al prossimo inverno – i mezzi sono di favorire le interconnessioni, appellarsi alla solidarietà fra stati membri ed appoggiare la produzione energetica autoctona mediante rinnovabili (ignorando tutti i limiti di queste ultime e che di fatto non stanno funzionando troppo bene a livello europeo, non tanto nel caso molto particolare della Spagna, ma in Germania).

La produzione di petrolio greggio e di condensati vegetali, a parte il tight oil da fracking, sta già diminuendo: Matthieu Auzanneau si fa eco di questo fatto nell'ultimo articolo del suo blog, da dove ho preso questo grafico:


Come fa notare Matthieu nel grafico sopra, la diminuzione non si giustifica né togliendo i paesi dove si stanno osservando problemi seri (ora peleremo di quei paesi), per cui la conclusione è che davvero l'OPEC non ce la fa già più (cosa che viene mascherata dicendo che “il mondo è ben rifornito” nonostante l'abbondanza di prove del contrario). In particolare, l'Arabia Saudita ha messo in piena produzione il giacimento di Manifa, il cui petrolio fortemente contaminato da vanadio e molto solforoso è molto difficile da raffinare e colloca questo cattivo prodotto in miscele di prezzo più conveniente. Era la sua ultima pallottola, non le resta altro. Mal ipotizzato, il rapporto della IEA che abbiamo commentato all'inizio faceva poggiare sulle spalle finora grandi dell'OPEC la responsabilità di sostenere (a livello petrolifero) il mondo.

L'interruzione delle esportazioni del petrolio libico: Giorni fa è trapelata la notizia secondo la quale la Libia smetterebbe di esportare gli esigui 200.000 barili di petrolio al giorno che era ancora in grado di produrre per soddisfare le proprie necessità nazionali. La cosa certa è che dopo la guerra lampo di quasi 3 anni fa il paese non si è stabilizzato ma è andato progressivamente collassando, trasformandosi in un regno di Taifa, come evidenzia il seguente grafico di produzione petrolifera (quasi l'unica esportazione del paese), preso a sua volta dall'articolo di Matthieu Auzanneau:


Prima della guerra, il paese era in grado di produrre più di 1,6 milioni di barili di petrolio al giorno (Mb/g), ora praticamente niente. Le potenze occidentali non hanno la capacità di imporre la propria volontà su un tavolo di gioco sempre più grande e complesso e i paesi, anziché essere controllati, collassano. E in una situazione in cui la produzione di petrolio si trova alla sua capacità massima e sta diminuendo, gli 1,6 Mb/g della Libia non sono per nulla disprezzabili. O non lo erano.

La guerra civile in Iraq: Il paradigma del collasso incontrollato sta venendo dal paese che si trovava da più tempo sotto il nuovo ordine mondiale petrolifero: l'Iraq. L'eterno Eldorado del petrolio la cui produzione doveva passare dai 3 Mb/g attuali a 6 Mb/g in qualche anno e addirittura giungere a 12 Mb/g in futuro, risulta che stia a sua volta collassando. La guerra civile non è mai finita del tutto e col ritiro delle truppe degli Stati Uniti si è andata aggravando. Il conflitto civile nella vicina Siria ha favorito il fatto che un movimento jihadista che si muove fra i due paesi abbia preso forza, fino a conquistare la città di Mosul, città chiave per il controllo del petrolio del Kurdistan per la sua raffineria e per il passaggio dell'oleodotto Mosul-Haifa (situato piuttosto più a sud). Se il gruppo armato continua ad avanzare potrà prendere il controllo di una delle zone più produttive dell'Iraq ed il sogno di un'abbondanza petrolifera nel paese finirebbe per sempre. Come dimostra il caso della Libia e la storia dello stesso Iraq, ci vogliono decenni per cancellare le impronte della guerra in un'industria tanto delicata come quella petrolifera.

L'instabilità generale di alcuni produttori: La produzione continua a diminuire in Angola e in Venezuela (in quest'ultima, spinta dalle proteste e dagli scioperi); il disastro ecologico del Delta del Niger ha molto a che fare con la sollevazione dei gruppi come Boko Haram e fa scappare alcuni investitori dal paese, mettendo ancora di più a rischio la produzione. Lo Yemen è sul punto di collassare, Egitto e Siria lo hanno già fatto... l'elenco potrebbe diventare molto più lunga, ma credo che vi siate già fatti un'idea.

Il riconoscimento sempre più forte del fatto che gli sfruttamenti di gas di scisto e petrolio di scisto con la tecnica del fracking sono completamente rovinosi economicamente: Poco più di un anno fa qui abbiamo affrontato il tema del rendimento scarso (o negativo) del fracking e sette mesi fa circa, nel momento in cui cominciavano a manifestarsi i sintomi del crollo di questa bolla finanziaria. Bene: sembra che cominci ad essere una verità detta ad alta voce. Ora è la stessa Bloomberg che ha fatto un'analisi approfondita delle perdite delle imprese del settore, giungendo alla conclusione che molte di esse spariranno. Non ci sarà, pertanto, una soluzione del problema petrolifero da questa parte, anche se fosse provvisoria (fino al 2020, come ha riconosciuto la stessa IEA). Il modello di importazione di energia ed esportazione di miseria, propiziato dalla condizione di moneta di riserva del dollaro, non si sostiene più e il fatto è che le compagnie petrolifere non possono continuare ad investire in affari di rendimento dubbio si sono lanciati in un disinvestimento aggressivo con conseguenze nefaste per il nostro futuro immediato. Questo provocherà non l'aumento della produzione di petrolio in un futuro immediato, ma che il il tampone che ci garantiva attualmente il fracking svanisca nel giro di qualche mese. Sommato a tutto quanto abbiamo detto sopra, questo mette in una prospettiva nuova e più inquietante il rapporto della IEA e fa comprendere che il suo linguaggio moderato nasconde una realtà sempre più inquietante.

Dopo tale rassegna di notizie nefaste, con cattivi presagi per il nostro futuro, cose vediamo? Anziché suonare i logici segnali d'allarme, la sola cosa di cui si sente parlare da queste parti e da molte altre sono i clacson dei tifosi di calcio, che si godono come mai prima uno degli ultimi mondiali di questo sport. Essendoci il calcio, a chi interessa vedere che il mondo so sbriciola? E tuttavia, una parte della popolazione molto tifosa degli ospiti del campionato, il Brasile, scende in strada a dire che no, non va bene...


Non ci serve la coppa del mondo. Ci servono i soldi per gli ospedali e per l'educazione

Forse sono loro l'ultima speranza che non tutto è perduto.

Saluti.
AMT