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mercoledì 26 febbraio 2014

Ucraina: il grande pasticcio

Da “Club Orlov”. Traduzione di MR

Pawel Kuczyński
[Aggiornamento: sto mettendo questo post on line con un paio di giorni di anticipo, perché la situazione ucraina si evolve molto rapidamente. Un soggetto politico (Yanukovych) è fuori gioco; sembra che sia scappato in Russia. Un altro soggetto politico (Tymoshenko) è stata frettolosamente riabilitata ed è pronta ad essere messa sulla scheda elettorale per le elezioni di maggio. Ci sarà ancora un paese da (fingere di) governare per lei? Le riserve finanziarie scese a pochi giorni, le strutture federali sono state smantellate in tutto il paese, i governatori regionali sono in fuga e un default di circa 60 milioni di euro di bond ucraini, molti in mano alla banche russe, sembra probabile. Potrebbe essere questo il tipo di contagio finanziario necessario a far scoppiare le ridicole bolle azionarie statunitensi? Almeno due provincie ucraine parlano apertamente di secessione; una (la Crimea) vuole immediatamente unirsi alla Federazione Russa. Una domanda ai tirapiedi del Dipartimento di Stato statunitense e ai funzionari della UE: questa faccenda cosa comporta per i vostri calcoli geopolitici? A rischio ci sono 5 centrali nucleari e un sacco di gas che transita in Ucraina nel suo percorso verso occidente. L'Ucraina sta assumendo molto l'aspetto della Yugoslavia, eccetto il fatto che ha più del doppio degli abitanti, molti combattenti da strada folli che pensano di essere padroni della situazione e il fatto di avere un ruolo critico per la sicurezza energetica europea. Se non siete sotto shock per questo, allora non avete fatto attenzione a quello che sta succedendo.]

Ho ricevuto parecchie e-mail che mi chiedono cosa penso che stia succedendo in Ucraina. Mi ci è voluto un po' per formulare un'opinione, ma è questo ciò che credo stia accadendo: un completo e totale fallimento della politica ad ogni livello. Tutti hanno fallito: i rappresentanti della UE, il Dipartimento di Stato statunitense con la sua Victoria “Fanculo all'Unione Europea” Nuland, il governo Yanukovych, i suoi oppositori politici e il Cremlino. Ed ora sono tutti sotto shock e non sanno cosa fare. Eccetto i manifestanti, che sanno cosa fare: continuare a protestare. Gran parte di loro non sanno nemmeno per cosa protestano ma, essenzialmente, protestano contro l'esistenza stessa del loro paese, che costituita da due parti: la Polonia orientale, che parla ucraino e prevalentemente cattolica, e la Russia occidentale, che parla ucraino ed è prevalentemente ortodossa. I “russi” superano in numero gli “ucraini” di due a uno. La soluzione finale alla crisi sta nel dividere il paese. Nessuno ha lo stomaco persino di parlare di questo – finora. Ma finché questo non succede continueremo ad essere sottoposti a questo strano spettacolo, in cui ogni singolo attore in Ucraina fa il possibile per minare il sistema politico del paese. In fondo, gli ucraini non vogliono che ci sia un diverso governo a Kiev – non vogliono che ci sia affatto un governo a Kiev.

Ora mi affido a Andrey Tymofeiuk, una persona che risiede a Kiev e che ha postato quanto segue sulla sua pagina Facebook, in un russo tempestato di oscenità. (La lingua russa è notevolmente ricca di termini osceni che costituiscono un enorme potere espressivo, ma che è intraducibile in inglese, con la sua misera collezione di parole di 4 lettere). Penso che abbia fornito un riassunto buono e ricco di informazioni della situazione da tutte le angolazioni, nonostante il suo linguaggio da scaricatore di porto, quindi dategli appoggio. La traduzione e le correzioni sono mie.

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Penso che l'attuale situazione sia tale che tutti sono sotto shock per quanto sta accadendo. I rappresentanti della UE sono i più scioccati di tutti. Stavano giocando a fare i diplomatici abili, che si sono piegati a lavorare col barbaro dittatore di un paese del terzo mondo. Egli avrebbe dovuto tremare con ansia riguardo al suo sussidio, sotto forma di accordo UE-Ucraina, cosa che gli avrebbe permesso di indossare i panni del grande fautore dell'integrazione con l'Europa e di vincere le elezioni del 2015.

Guardando dall'alto del loro trespolo diplomatico, questi esperti sono stati accecati quando il barbaro dittatore ha improvvisamente deciso di fare un po' di aritmetica, ha evidenziato un errore nel contratto (la bancarotta nazionale dell'Ucraina) ed ha rapidamente deciso tenere i suoi 46 milioni di schiavi lontani dalla UE e di darli invece a Mosca. E allora, a causa della loro ridicola burocrazia e alla loro completa mancanza di comprensione della realtà Ucraina, hanno permesso che una iniziale protesta pacifica diventasse come una guerra civile.

I rappresentanti della UE non hanno davvero bisogno di un bagno di sangue con una crisi umanitaria, centinaia di migliaia di rifugiati, attacchi terroristici, carri armati nelle strade e altre piacevolezze del genere, e cercheranno di fare tutto ciò che possono per evitarlo, anche se questo significa che il barbaro e ottuso dittatore deve rimanere in carica. Ma il problema è che il barbaro dittatore sembra aver perso la testa.

Ora i rappresentanti della UE dovranno rispondere ad alcune domande molto difficili da parte dei telespettatori di casa propria. Tipo: “Perché la gente che agita le bandiere della UE indossano emblemi nazisti? Sosteniamo i nazisti?” o “Se sono pacifici, allora perché tirano bombe molotov agli uomini della polizia e li prendono in ostaggio?” Questo solo per cominciare. Ecco una domanda più seria: “Vogliamo davvero che 46 milioni di questi barbari violenti si uniscano alla UE?” E che ne pensate di questa: “Cosa vi fa pensare che 5 centrali nucleari ucraine saranno al sicuro se il paese precipita nel caos?” Ancora un'altra, ma è una eccellente: “Se l'Ucraina diventa ingovernabile, come faremo ad avere la nostra quota di gas naturale russo il prossimo inverno? Moriremo congelati?” Ma i rappresentanti della UE non dovranno far scendere in campo tali domande tanto a lungo, perché le loro carriere diplomatiche potrebbero essere giunte alla fine. Dopo tutto, non sono stati così efficaci, non è vero? Trasformare una protesta del tutto pacifica in un sanguinoso casino non è esattamente il massimo della diplomazia europea. Pochi attivisti di medio livello di Al Qaeda avrebbero potuto gestire la situazione altrettanto bene.

martedì 25 febbraio 2014

Sbirciare il futuro





di Jacopo Simonetta


Molte volte, oramai, l’economia capitalista è stata data per spacciata, ed ogni volta i fatti hanno dimostrato il contrario; potrebbe questa volta essere diversa? Di fatto, i “G8”, i “G20”, i “G tutti”, gli eurogruppi, i summit ed i vertici di ogni tipo e qualità  si succedono da anni con un ritmo quasi frenetico; i “piani di salvataggio” si accavallano ai “decreti sviluppo” ed ai “Piani di aiuto”, riuscendo tuttalpiù a rimandare un “peggio” che resta tanto vago, quanto inquietante.   Intanto “la ripresa della crescita” continua a venir data per certa, ma il suo arrivo continua ad essere annunciato per l’anno venturo, da 6 anni oramai.   Oppure è legata a virtuosismi contabili.

A questo punto, che ci sia una “crisi di fiducia” pare il minimo, mentre rivolte e tafferugli dilagano in molte parti del pianeta. Preso atto di ciò, la domanda è: Come mai, di fatto, tutti i governi e le istituzioni finanziarie del pianeta sembrano impotenti a fermare quello che Tremonti (oramai 5 anni fa) definì “una specie di videogame dove ad ogni passo sbuca fuori un nuovo mostro più brutto del precedente”?   Eppure tutti i massimi esperti del mondo sembrano d’accordo. Quasi unanimi, ci dicono che occorre “ridurre il debito e rilanciare la crescita economica”.   Il primo punto per evitare, nell’immediato, che l’intera economia globale vada in briciole come un castello di carte.   Il secondo perché, sui tempi medi e lunghi, la crescita è l’unica medicina in grado di riportare il debito sotto controllo e, contemporaneamente, riportare le vacche grasse, almeno nei paesi più importanti.   Me se sono tutti d’accordo, perché non funziona?

Una risposta argomentata occuperebbe un grosso volume, ma un’idea di larga massima potremmo forse farcela semplicemente spostando l’attenzione dall’oggi a quello che è avvenuto nel corso degli scorsi 70 anni circa.   Proviamo a riportare su di un grafico tre variabili semplicissime e ben conosciute: il PIL USA, l’indice Dow Jons ed il debito federale USA. L’andamento negli altri paesi occidentali è stato molto simile, mentre quelli degli altri paesi sono largamente dipendenti da quelli occidentali, cosicché possiamo, in prima e grossolana approssimazione, considerare che i dati americani siano indicatori significativi per l’economia globale e globalizzata.   Almeno fino ad oggi.



Già a colpo d’occhio, possiamo distinguere 4 periodi:

1- Dal 1950 circa al 1973 – Il PIL (verde) e la borsa (tratteggiato) salgono con relativa costanza, molto più rapidamente del debito (rosso), che sale pochissimo. L’economia reale cresce più rapidamente della borsa.

2 - Dal 1973 ai primi anni ’80 – PIL e borse hanno fluttuazioni non molto ampie, ma per un periodo prolungato, mentre la crescita del debito accelera sensibilmente.

3- Dai primi ’80 al 2000 – L’economia riparte, ma la borsa, molto, molto più rapidamente dell’economia reale, mentre il debito comincia a lievitare in modo allarmante.

4 -Dal 2000 ad oggi – Il PIL continua a crescere, ma rallenta sensibilmente, mentre le borse cominciano a fluttuare travolte da un’incalzare di crisi di panico e di euforia, mentre il debito, dopo un attimo di stasi, va completamente fuori controllo.

Questa, almeno, è la versione ufficiale dei fatti, già notevolmente allarmante per il nostro futuro. Si da però il caso che il governo USA (al pari di tutti gli altri) abbia progressivamente modificato i metodi di calcolo dell’inflazione. Se si rifanno i calcoli fino ad oggi, utilizzando i parametri precedenti il 1980, si ottiene una curva molto diversa, e molto più vicina all'esperienza personale di noi comuni cittadini (fonte John Williams,”Shadow Government Statistics”).


Se i calcoli sono corretti: Dal dopoguerra ai primi ’70, dal punto di vista economico, tutto è andato sostanzialmente bene (per noi).   Poi c’è stato un decennio circa di problemi finché, nei primi anni ’80, una serie di provvedimenti (deregulation della finanza, svuotamento delle norme ambientali, globalizzazione del commercio e, soprattutto, esplosione del debito a tutti i livelli pubblici e privati) hanno effettivamente rilanciato la crescita di PIL e, soprattutto, delle borse, in parallelo col debito (NB. Il grafico riporta solo il debito federale. Parallelamente ad esso crescevano i debiti di enti locali, aziende, banche e famiglie). Questa rincorsa è andata avanti per circa 10 anni per poi stemperarsi in un altro decennio circa di stagnazione economica, associata però ad un’ulteriore crescita del debito (molto rallentato fra il ’95 ed il 2000) e, fenomeno importantissimo, alla crescita senza precedenti della speculazione borsistica che ha drenato la maggior parte degli investimenti. Con lo scoppio della bolla della “new economy” (a cavallo del 2.000) il giocattolo si è definitivamente rotto. Nel vano tentativo di evitare una recessione globale, i governi hanno risposto aumentando le dosi di “deregulation” e di debito, con risultati però molto limitati o addirittura controproducenti sull’economia reale, mentre la finanza entrava nel più completo delirio, stirata fra la propria tendenza intrinseca alla crescita esponenziale e lo scontro con la dura realtà di un’economia reale in recessione.

 Una prima domanda legittima sarebbe quindi questa: Se 40 anni di “doping” della crescita a botte di debito non hanno potuto evitare la recessione, possiamo pensare di ridurre questo debito senza accelerare la recessione già in atto?  Evidentemente no, e la Grecia lo dimostra.  E difatti, la tragedia della Grecia sta portando molti economisti e governi a spingere anziché sul tasto del “risanamento”,  su quello della “crescita” che poi (fidatevi!) risolverà tutti i problemi. Vedi ultimo summit mondiale dei grandi dottori dell'economia mondiale.   Ipotesi seducente, ma è realistica? I   grafici sopra riportati sono già decisamente sconfortanti, ma il quadro si fa ancor più fosco (e realistico) se confrontiamo i dati già visti con altri, di natura non più solo economica e finanziaria, tornando ancora una volta al 1972, quando fu pubblicato il leggendario “Limits to growth”.   Lasciando ai lettori la cura di studiarsi Word3, possiamo qui dire che, purtroppo, 40 anni di verifiche su dati reali hanno confermato che l’affidabilità di questo modello è estremamente elevata (G. Turner A comparison of the limits to growth with thirty years of reality 2008). By G. Turner in Mark Strauss, Smithsonian magazine, April 2012)

Dunque proviamo a confrontare i soliti dati (PIL, DowJons e debito federale nella versione SDS) con le curve tracciate dallo scenario “business as usual” di Word3. Ed ecco che, certamente non per caso, le turbolenze degli anni ’70 sono avvenute mentre la curva delle risorse incrociava quella della popolazione (significa che è stata superata la capacità di carico del Pianeta), mentre le ben più importanti turbolenze degli ultimi 10 anni si sono verificate in concomitanza con il raggiungimento del picco storico delle curve di produzione agricola ed industriale. Un picco cui fatalmente deve seguire un declino, già iniziato in alcuni paesi ed incipiente in altri, più o meno rapido e profondo a seconda di tante cose. Ancora più significativo, certamente non per caso, la curva del PIL (corretto) segue in modo impressionante la curva delle risorse (la scala delle curve è diversa, ma quello che conta qui è la forma).


 Ecco quindi la risposta: Ci saranno magari dei rimbalzi, più finanziari che economici, ma quello che stiamo vivendo sono le prime avvisaglie di una recessione che non potrà che peggiorare per tutti i prossimi 100 anni. Anzi, per il modo occidentale, la recessione è iniziata nel 2.000 (circa) e non ha poi fatto che peggiorare. Altri paesi, partiti dopo, hanno avuto tassi di crescita positiva fino ai giorni nostri, ma oramai si stanno adeguando all’andamento generale. Conclusioni analoghe si raggiungono studiando la situazione da altri punti di vista, anche molto diversi (andamento demografico, disponibilità di risorse insostituibili, degrado dei suoli, evoluzione socio-economica e politica, cultura dominante, ecc.). Purtroppo, quando dati di natura diversa, elaborati con metodi indipendenti, giungono a conclusioni simili, c’è poca speranza di sbagliare. A questo punto la risposta che di solito ricevo è di questo tipo: “Ma se fosse così vorrebbe dire che è finito tutto; che non si può far più nulla!”

Una reazione davvero strana perché, semmai, ciò che finisce è l’economia di mercato: una parentesi molto breve nella storia dell’umanità; una catastrofe devastante e puntiforme nella storia della biosfera.   Ci sono state grandi civiltà prima, perché non dovrebbero essercene altre dopo? Certamente prive delle tecnologie che ci sono care, ma nondimeno grandi civiltà; perché no?  E per chi è disposto ad archiviare l’ipotesi di mantenere in futuro un tenore di vita lontanamente simile a quello del recente passato, il daffare non manca; c’è molto più lavoro da fare su di una nave che affonda, rispetto ad una che procede spedita sulla sua rotta. La difficoltà è piuttosto che ci si addentra in un terreno storico totalmente inesplorato.   Nel giro di 10-20 anni al massimo anche le tracce che possono darci analisi come questa perderanno di significato.   Lo avevano detto chiaro Meadows e soci:  il loro modello è affidabile solo finché il sistema permane globalizzato: dal momento in cui comincerà a disgregarsi in sotto-sistemi, il destino di ognuno di questi potrà evolvere anche in modo molto diverso.