domenica 15 ottobre 2017

In che modo funziona la Natura: quanto è comune la curva di Seneca? Il discorso di Ugo Bardi alla Summer Academy del Club di Roma a Firenze

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


Ugo Bardi alla Summer Academy del Club di Roma a Firenze, settembre 2017.


Il mio discorso alla Summer Academy del Club di Roma è stato più che altro una presentazione del mio ultimo libro “The Seneca Effect” (Springer 2017) . Di fatto, naturalmente, un libro contiene molte più cose di quante se ne possano dire in un discorso di 40 minuti. Quindi ho cercato di concentrarmi sull'idea che il comportamento che chiamo “curva di Seneca” sia molto comune, persino universale. Sotto potete vedere la curva di Seneca: le cose salgono lentamente ma collassano rapidamente, come ha detto per la prima volta il filosofo Romano Seneca duemila anni fa. Potete vedere la stessa curva anche nella maglietta che indossavo alla Academy.


Forse avete sentito il vecchio detto latino “Natura non facit saltus” (La natura non fa salti), che significa che le cose cambiano gradualmente, non all'improvviso. Potrebbe essere vero in molte circostanze ma, in pratica, ma è del tutto normale che la Natura accumuli potenziali energetici (come quando gonfiate un pallone) e poi li rilascia all'improvviso (come quando bucate un pallone). Questo è il tema della copertina della versione tedesca del mio libro.

Ci sono delle ragioni per le quali la Natura si comporta così, ma l'argomentazione che ho portato alla scuola non è stato tanto sul perché la curva sia così comune, ma sul fatto che gli esseri umani normalmente non ne sono consapevoli. Infatti, il nostro pensiero spesso determinato dall'idea che le cose continueranno ad evolvere nel modo in cui si sono evolute fino a quel punto. Pensate solo alla crescita economica e noterete in che modo gli economisti si aspettano che questa continui a crescere per sempre. Non c'è bisogno di dire che l'economia è uno di quei sistemi complessi che sono più vulnerabili al collasso di Seneca.

Ho quindi provato a sottolineare che la comprensione  che la Curva di Seneca esiste ed è comune è una scoperta recente. Anche se Seneca lo aveva capito per intuizione già 2000 anni fa, nella sua forma moderna ha meno di un secolo. E' stata proposta per la prima volta da Jay Forrester negli anni 60 ed è stata consacrata nello studio “I limiti dello sviluppo” del 1972, anche se il termine “Effetto Seneca” non è stato usato.

Durante il mio discorso, ho mostrato questa immagine per evidenziare in che modo le nostre idee sul percorso dei sistemi complessi si sono evolute nel tempo.


Vedete qual è l'idea moderna di “overshoot” (e del collasso conseguente). Malthus non lo aveva capito. Nonostante venga spesso accusato di catastrofismo, non poteva prevedere il collasso sociale; gli mancavano gli strumenti intellettuali necessari. Era un ottimista! Oggi, c'è questo concetto. Sappiamo che i sistemi complessi tendono non solo a declinare, tendono a collassare. Ma questa percezione manca completamente dal dibattito pubblico.



Quando si fa menzione del collasso sociale, ci sono due reazioni possibili. La più comune è che una cosa del genere non succederà mai. Poi, se si riesce a convincere le persone che è possibile, questa fanno tutto quello che possono per mantenere in piedi il sistema, a prescindere da quello che ci vuole. Non si rendono conto che quando si supera la capacità di carico del sistema, bisogna tornare indietro, in un modo o nell'altro. E più si cerca di stare al di sopra del limite, più veloce e severo sarà il rientro. Quello che si deve fare è rendere più leggero il collasso, seguirlo, non cercare di fermarlo. Altrimenti sarà peggio.

Così, sembra che qui ci troviamo di fronte ad un blocco culturale. Forse non lo supereremo mai, o forse sì, chi lo sa? Nei tempi antichi, l'Imperatore Marco Aurelio, un filosofo stoico proprio come Seneca,  aveva ben chiaro questo concetto. Sapeva che tutto nel mondo è impermanente, compreso l'Impero Romano. Essendo un uomo virtuoso, ha fatto tutto ciò che era in suo potere per fare il suo dovere come Imperatore. Ma ha riconosciuto i suoi limiti, ed è questo che ha scritto nelle sue “Meditazioni”.



Dobbiamo anche riconoscere i nostri limiti. Seguire il cambiamento, non cercare di fermarlo. La Natura sta cambiando tutte le cose che vediamo e con la loro sostanza farà cose nuove per fare in modo che il mondo sia sempre nuovo. E' così che funziona la Natura.


domenica 8 ottobre 2017

Una religione chiamata Economia




Post di Michele Migliorino (pubblicato anche sul blog "Appello per la Resilienza")

Fa parte delle narrazioni collettive l'idea che le religioni stiano lasciando il passo ad uno stadio umano più evoluto. La scienza e la tecnica si emancipano da ogni discorso mitico e religioso nella convinzione che a guidarle sia solo la razionalità. Il Dio Ragione ha soppiantato il vecchio Dio.

Nietzsche, oltre un secolo fa, avvertiva che Dio è morto e che noi l'abbiamo ucciso. Oggi uno spettro si aggira per le nostre società: è il nichilismo che segue alla sua morte. In che cosa consiste? Secondo Nietzsche nella svalutazione di tutti i valori che fino ad ora sono stati sacri e sui quali è stata fondata la civiltà occidentale.
 «Ciò che racconto è la storia dei prossimi due secoli. Descrivo ciò che verrà, ciò che non potrà più venire diversamente: l’avvento del nihilismo. Questa storia può essere raccontata già oggi, poiché qui è all’opera la necessità stessa. Questo futuro parla già con cento segni, questo destino si annunzia dappertutto: tutte le orecchie sono già ritte per questa musica del futuro. Tutta la nostra cultura europea si muove già da gran tempo con una tensione torturante che cresce di decennio in decennio, come se si avviasse verso una catastrofe inquieta, violenta, precipitosa; come un fiume che vuole sfociare, che non si rammenta più, che ha paura di rammentare» (Nietzsche, Frammenti Postumi, 1887-1888) 
Non è necessario che un Dio sia posto come trascendente per essere denominato come tale. Ciò che  troviamo oggi come conseguenza della secolarizzazione è un nuovo dio, immanente: l'Economia. Niente più "ascesi intramondana" e volontà di salvezza poichè oikonomos, (in greco, la "cura della casa"), è divenuta l'unica preoccupazione. Questa esigenza è cresciuta già nei secoli che precedono la morte di Dio, fin dal Rinascimento, con l'ampliarsi del commercio mondiale, per divenire una macchina planetaria di approvvigionamento e distribuzione che prevede miliardi o addirittura trilioni di transazioni monetarie informatizzate al secondo.

Perché l'Economia è un Dio? Perchè essa ha preso il posto dei vecchi valori e perché la utilizziamo per colmare il vuoto lasciato dal nichilismo. Molto semplicemente, il nichilismo è giunto poichè un valore fondamentale è stato superato: l'aldilà. Oggi ci troviamo inconsciamente nella situazione di non reperire più un senso nell'esistenza poichè per due millenni (ma forse molto di più) abbiamo creduto che non vi fosse un senso in questa vita, e che quindi questa dovesse avere necessariamente una sua "copia originale" da un'altra parte, in un mondo trascendente. Da Platone al cattolicesimo, questa è una matrice fondamentale con cui dobbiamo fare i conti quando parliamo della nostra "cultura".

Ciò che è straordinario è che non vogliamo "vedere" che cosa abbiamo prodotto! E' per questo che ci affanniamo e corriamo da tutte le parti: non possiamo ancora accettare che non ci sia qualcosa dopo la morte! La nostra condizione storica ci obbliga piuttosto a capire che cosa significa un'esistenza mortale e finita. In fondo siamo convinti che non vi sia alcun senso e che dunque tanto vale "vivere al massimo"; arraffare ogni momento di questa effimera esistenza; non perdere nessuna opportunità perchè "ogni lasciata è perduta".

L'economia è questo "correre" in un girone infernale - una crescita infinita su un pianeta finito - svincolato da ogni limite che la ostacoli -  perchè se non c'è senso "tutto è permesso" (Dostojevski) e non ci saranno conseguenze. Nessun Dio giudicatore che ci aspetta per valutare meriti e peccati. Tuttavia, se non c'è alcun senso non varrebbe la pena di farla finita subito? Non sarebbe più lungimirante?
Primo, per i mortali non nascere è meglio di tutto;
ma nati, quanto prima varcare le soglie dell’Ade. (Esiodo)
L'economia opera come una gigantesca rimozione. E' come se stessimo cercando di fabbricare il senso stesso tramite le nostre attività quotidiane. Infatti più siamo impegnati più la vita ci sembra avere senso. Quando siamo in movimento - come le merci - ci dimentichiamo di quel rumore cosmico di fondo, di quella mancanza che talvolta ci assilla domandando: ma che senso ha tutto questo?

 Risultati immagini per città movimento

Per quanto le cose vadano male e c'è la crisi in pochi saranno disposti a dire che l'economia non è una buona cosa. Per questo ci crediamo ciecamente, non la mettiamo in discussione, proprio come una religione con il suo Dio. Invece del valore dell'aldilà, noi abbiamo il Dio-denaro che ci permette di fare qualunque cosa, o almeno così crediamo. Tutto consiste nel credere in qualcosa - per questo è difficile liberarsi del termine religione in senso lato.

Ma perchè l'economia non è una buona cosa? (ho già cominciato delle riflessioni qui) Perchè non è possibile creare ricchezza per tutti. La ricchezza è qualcosa che può appartenere solo ad alcuni. Io posso essere ricco solo se tu sei povero; la ricchezza è una relazione fra due termini: ci deve essere povertà perchè vi sia ricchezza.

Lo si vede bene per la faccenda delle disuguaglianze. Sebbene il divario fra ricchi e poveri continua a crescere da decenni, il tenore medio di vita dei poveri è aumentato. Vittoria del capitalismo? Si, infatti anche qui la nostra religione ci protegge da ogni eresia: dobbiamo riformare il sistema economico, ridistribuire la ricchezza, monitorare i grandi capitali, porre nuove leggi che limitino le multinazionali! Così salveremo il terzo mondo, dobbiamo promuovere lo sviluppo dell'Africa! Ecco allora giustificate le guerre per esportare la democrazia, la quale instaurerà un governo che garantirà le condizioni affinchè anche loro possano avere accesso alla ricchezza. 

E lo si vede perchè dove passa Economia c'è distruzione: di foreste, di mari, di specie viventi, di noi stessi e delle nostre infinite culture disseminate per il pianeta. Il realismo ormai imporrebbe di mettere l'Economia nel cestino della storia per provare a vedere se è possibile creare società in modi che non implicano lo scambio di risorse ed energia in una maniera così abietta.

Sarebbe ora di diventare blasfemi verso questa religione, ma si sa, il fenomeno della "folla" è arduo da superare, poichè è il meccanismo stesso della nostra evoluzione (secondo Renè Girard). Temiamo di perdere i nostri possessi e ci temiamo a vicenda; ci è difficile andar contro ciò che fanno gli altri. Ci è estremamente difficile rigettare ciò che ci fa vivere: Economia. Ma se ciò che oggi ci fa vivere fosse ciò che domani ci farà morire?


mercoledì 4 ottobre 2017

Tre Ecologisti Italiani (III): Luigi Sertorio





Gli altri due post di Silvano Molfese sugli ecologisti italiani sono quello su San Francesco, e quello su Italo Calvino

di Silvano Molfese


Concludo questa trilogia, in ordine cronologico, con Luigi Sertorio, ecofisico,  che nel 1990 ha pubblicato il libro “Thermodinamics of complex systems” ed ha continuato con altri lavori occupandosi di come l’uomo, con questa organizzazione produttiva, dotato di protesi di potenza e di abilità sempre più potenti, si interfaccia con la biosfera.

A tal proposito Sertorio ci ricorda che:

“La Natura non è benigna, non guarda con tenerezza i figli incoscienti e non regala loro consigli di saggezza. Opera sull’uomo perché l’uomo è un organismo appartenente alla biosfera e obbediente alle sue leggi. Sta all’uomo capire per tempo queste leggi. Se lo stato, l’economia non capiscono, ci sarà la collisione con la barriera della dinamica organica violata. E lì si vedrà chi è intelligente.” (*)
Luigi Sertorio, con armonioso rigore scientifico, ha dato a mio avviso una definizione fondamentale di biosfera.

Riporto interamente tale definizione ripresa da  “Storia dell’incertezza”,  pagine 96 e 97.
Biosfera

La biosfera terrestre è una macchina fotonica sostenitrice di informazione. Questa definizione è pensata per essere generalizzata al contesto astrofisico, cioè al di fuori del caso particolare di cui noi esseri umani siamo parte. Cerchiamo di spiegare come è fatta questa macchina, cosa esegue, e come si definisce il suo funzionamento stazionario.

1. Flusso di fotoni provenienti da una stella e dotati di lunghezza d'onda tale da mettere in azione il processo di formazione di molecole complesse partendo da molecole prelevate dall'ambiente inorganico. Questa è l'interfaccia fotosintetica che connette la stella alla biosfera.

2. Costruzione di una moltitudine di organismi caratterizzati da altre forme di metabolismo e di attività esterna.

3. Dinamica interattiva fra tutti gli organismi dotati di tempi propri di permanenza diversissimi (per esempio quattro ordini di grandezza) ma brevi rispetto alla durata di una stella longeva come il Sole, quindi con tempi di morte e di nascita distribuiti nel segmento temporale di esistenza della biosfera madre che è la realizzazione di permanenza lunga (altri sei ordini di grandezza).

4. La morte degli organismi rilascia molecole inorganiche nell'ambiente inorganico.

5. Il prelievo e il rilascio devono formare ciclo. Questo implica prima di tutto che il set delle molecole entranti deve coincidere col set delle molecole uscenti, che chiameremo molecole asintotiche. Ciò posto, ciclo vuol dire che il flusso molecolare asintotico entrante deve bilanciare il flusso molecolare asintotico uscente. Solo in tal modo la biosfera madre può sussistere.

6. Quando la biosfera funziona in regime stazionario la potenza del flusso di fotoni entranti nella fotosintesi caratterizzata dalla temperatura della stella, deve bilanciare la potenza in uscita, caratterizzata dalla temperatura media del pianeta ospitante.

L’insieme di questi sei punti definisce la biosfera come macchina perfetta la cui potenza è in equilibrio con l'ambiente inorganico. Alla base di tutto c'è l'esistenza della stella Sole e del pianeta Terra. Stelle e pianeti sono realizzazioni di permanenza dentro la dinamica cosmologica. La coppia stella-pianeta fornisce l'ambiente inorganico dotato di permanenza. Il funzionamento stazionario della macchina biosfera specifica in che modo la biosfera può essere permanente. 

La vita è elaborazione di informazione. La complessità delle macro-molecole e delle loro interazioni - è il supporto dell'informazione. Scrivere e trasmettere informazione vuol dire operare su stati complessi, e la complessità organica è la massima conosciuta. È ovvio che qui si parla di informazione analogica, non digitale.

La permanenza della biosfera implica il concetto di autoconsistenza.  Autoconsistenza vuol dire che l'interazione di tutti gli organismi caduchi si organizza in modo tale da preservare la vita del super organismo biosfera. Permanenza e informazione sono indissolubili: è ciò che chiamiamo armonia della Natura.”

(*)  Luigi Sertorio .  La mappa del denaro –  capitolo 6,  paragrafo La punizione
      della natura - in corso di pubblicazione.

sabato 30 settembre 2017

Conan, il ragazzo del futuro. Una riflessione di Guido Massaro

 


post di Guido Massaro

Quanto sono importanti per i bambini le storie, le favole, con i loro personaggi in cui ci si può immedesimare, i comportamenti con le loro conseguenze, l'ambientazione?

Si formano schemi di visione della realtà, di relazione, si attivano aree emotive diverse, si pongono importanti paletti per la relazione di un individuo con se stesso, gli altri e il mondo circostante.

Hanno la funzione dei miti, delle parabole, delle immagini pubbliche, di alcuni aspetti di culto religioso come i testi sacri, ecc. che le varie culture utilizzano, o hanno utilizzato, quasi come vademecum da conoscere per essere in sintonia col paradigma condiviso in cui gli individui si sono trovati a nascere.

Questo è molto importante nelle prime fasi di vita del bambino.

Non credo che ciò che viene propinato oggi ai nostri bambini sia funzionale ad una loro crescita emotiva equilibrata o ad una loro presa di coscienza con i problemi ambientali che ci troviamo ad affrontare.

Mi permetto di suggerire questo bellissimo cartone animato, per una visione gradevole ed educativa, bello per genitori e figli, che può facilmente stimolare una nuova consapevolezza su più livelli, e discorsi funzionali su tematiche delicate ed attuali.

Si chiama Conan (il ragazzo del futuro).

E' un riadattamento anime (1978) del romanzo per ragazzi di fantascienza post-apocalittica "The Incredible Tide" (1970) di Alexander Key, ad opera del grande animatore giapponese Hayao Miyazaki.

Nell'allora futuro 2008 scoppia la terza guerra mondiale che distrugge quasi totalmente il pianeta;
Nel 2028 un ragazzino di nome Conan, sopravvissuto alla tragedia assieme al nonno sull'Isola Perduta, scopre una ragazza (Lana) svenuta sulla spiaggia.

Cominceranno una serie di peripezie in cui il coraggioso Conan scoprirà la presenza di Indastria, una grigia e lugubre città in cui gli uomini sono tenuti come schiavi per portare a termine il folle progetto di dominio mondiale da parte del tiranno Lepka. Conan dovrà difendere Lana e i suoi amici da Lepka e i suoi scagnozzi, mantenendo un'esemplare integrità morale e possesso di se stesso.

Il cartone insegna valori come l'amore, l'amicizia, l'importanza del rispetto dell'ambiente e degli altri per avere un sano ambiente naturale e sociale attorno, la redenzione (i nemici non sono da eliminare, non sono la scusa per scatenare la violenza del protagonista, come troppo spesso avviene nelle trame dei film di oggi), il valore, la determinazione, il coraggio, l'umiltà.

In attesa di una seria riforma della scuola e del sistema educativo, che non considera per nulla l'importanza di competenze come l'intelligenza emotiva, e che pare abbia l'unico scopo di rendere i nostri bambini dei perfetti ingranaggi per un sistema che si sta autodistruggendo, questo cartone rappresenta una boccata di aria fresca.


Tutte le puntate, ad oggi, si trovano su youtube.
Consiglio di cercare il doppiaggio della prima serie.


giovedì 28 settembre 2017

lunedì 25 settembre 2017

La nostra sola speranza è un cambiamento sistemico guidato dal risveglio morale

Da “Ecowatch”. Traduzione di MR




Di Richard Heinberg

Il nostro problema ecologico centrale non è il cambiamento climatico. E' l'overshoot (superamento), del quale il cambiamento climatico è un sintomo. L'overshoot è un problema sistemico. Nell'ultimo secolo e mezzo, quantità enormi di energia  a buon mercato proveniente dai combustibili fossili ha permesso una crescita rapida dell'estrazione di risorse, della produzione e del consumo; e queste a loro volta hanno portato alla crescita della popolazione, all'inquinamento ed alla perdita di habitat naturale e quindi di biodiversità.

Il sistema umano si è drasticamente espanso, superando la capacità di carico a lungo termine della Terra per gli esseri umani, sconvolgendo nel mentre i sistemi ecologici da cui dipendiamo per la sopravvivenza. Finché non comprendiamo ed affrontiamo questo squilibrio sistemico, il trattamento sintomatico (fare quello che possiamo per invertire problemi di inquinamento come il cambiamento climatico, cercare di salvare specie in estinzione e sperare di dar da mangiare ad una popolazione in crescita con colture geneticamente modificate) si rivelerà un ciclo infinitamente frustrante di misure  di ripiego che alla fine sono destinate al fallimento.

Il movimento ecologico degli anni 70 ha beneficiato di una forte infusione di pensiero sistemico, che era in voga al tempo (l'ecologia – lo studio delle relazioni fra gli organismi e i loro ambienti – è una disciplina intrinsecamente sistemica, contrariamente a studi come la chimica che si concentra sulla riduzione dei fenomeni complessi alle parti che li costituiscono). Di conseguenza, molti dei migliori scrittori ambientali di quel periodo inquadravano la moderna situazione umana difficile in termini che hanno rivelato i collegamenti profondi fra sintomi ambientali e il modo in cui opera la società. “I limiti dello sviluppo” (1972), il prodotto della ricerca sistemica di Jay Forrester, ha investigato le interazioni fra crescita della popolazione, produzione industriale, produzione di cibo, esaurimento delle risorse ed inquinamento. “Overshoot” (1982) di William Catton, ha dato il nome al nostro problema sistemico e descritto le sue origini e il suo sviluppo in uno stile apprezzabile da ogni persona colta. Potrebbero essere citati molti altri libri eccellenti di quel periodo.

Tuttavia, negli ultimi decenni, man mano che il cambiamento climatico è giunto a dominare le preoccupazioni ambientali, c'è stato un passaggio significativo nella discussione. Oggi, la maggioranza dei servizi sull'ambiente è concentrato come un laser sul cambiamento climatico e i collegamenti sistemici fra questo ed altri problemi ambientali in via di peggioramento (come sovrappopolazione, estinzione di specie, inquinamento di acqua ed aria e perdita di suolo ed acqua potabile) vengono raramente evidenziati. Non che il cambiamento climatico non sia un grosso problema. Come sintomo, è veramente unico. Non c'è mai stato niente del genere e gli scienziati del clima e i gruppi che sostengono una risposta al cambiamento climatico fanno bene a suonare l'allarme più forte possibile. Ma non capire il cambiamento climatico nel contesto potrebbe essere la nostra rovina.

Perché chi scrive di ambiente e le organizzazioni che lo sostengono hanno ceduto ad una visione col paraocchi? Forse è solo perché pensano che il pensiero sistemico sia al di là delle capacità dei politici. E' vero: se gli scienziati del clima dovessero rivolgersi ai capi mondiali col messaggio, “dobbiamo cambiare tutto, compreso l'intero sistema economico – e velocemente”, potrebbero mostrar loro la porta in modo piuttosto rude. Un messaggio più accettabile è, “abbiamo identificato un grave problema di inquinamento, per cui ci sono soluzioni tecniche”. Forse molti degli scienziati che hanno riconosciuto la natura sistemica della nostra crisi ecologica hanno concluso che se possiamo affrontare con successo questa crisi ambientale da "o la va o la spacca", saremo in grado di guadagnare tempo per affrontare le altre che aspettano dietro le quinte (sovrappopolazione, estinzione di specie, esaurimento delle risorse e così via).

Se il cambiamento climatico può essere inquadrato come problema isolato e per cui c'è una soluzione tecnologica, le menti degli economisti e dei politici possono continuare a pascolare in pascoli famigliari. La tecnologia – in questo caso i generatori elettrici, solare, eolico e nucleare, così come batterie, auto elettriche, pompe di calore e, se tutto il resto viene a mancare, gestione della radiazione solare tramite aerosol atmosferici – centra il nostro pensiero su temi come l'investimento finanziario e la produzione industriale. I partecipanti alla discussione non devono sviluppare la capacità di pensare in modo sistemico, né devono capire il sistema terrestre e come i sistemi umani vi si adattino. Tutto ciò di cui devono preoccuparsi è la prospettiva di spostare qualche investimento, stabilire compiti per gli ingegneri e gestire la relativa trasformazione industriale-economica in modo da assicurare che i nuovi posti di lavoro nelle industrie verdi compensino quelli persi nelle miniere di carbone.

La strategia di guadagnare tempo con le soluzioni tecnologiche presume che saremo in grado di istituire il cambiamento sistemico ad un certo punto del futuro non meglio identificato, anche se non possiamo farlo proprio subito (apparentemente un argomento debole) o che il cambiamento climatico e tutte le nostre altre crisi sintomatiche, saranno di fatto gestibili con soluzioni tecnologiche. La seconda linea di pensiero è, ancora una volta, confortevole per gestori e investitori. Dopotutto, tutti amano la tecnologia. Fa già quasi tutto per noi. Nell'ultimo secolo ha risolto un bel po' di problemi: ha curato malattie, aumentato la produzione di cibo, velocizzato i trasporti e ci ha fornito informazione ed intrattenimento in quantità e varietà che nessuno aveva mai immaginato prima. Perché non dovrebbe essere capace di risolvere il cambiamento climatico e il resto dei nostri problemi?



Naturalmente, ignorare la natura sistemica del nostro dilemma significa soltanto che non appena riusciamo a confinare un sintomo, è probabile che se ne liberi un altro. Ma il punto cruciale è: il cambiamento climatico, preso come problema isolato, è del tutto trattabile con la tecnologia? Definitemi pure scettico. Dico questo dopo aver passato molti mesi a studiare attentamente i dati pertinenti con David Fridley del progetto di analisi energetica al Laboratorio Nazionale Lawrence di Berkeley. Il risultato, il nostro libro Il nostro futuro rinnovabile, concludeva che l'energia nucleare è troppo costosa e rischiosa; solare ed eolico soffrono entrambi di intermittenza, il che (una volta che queste fonti cominciano a fornire una grande percentuale dell'energia elettrica totale) richiederà una combinazione di tre strategie su vasta scala: immagazzinamento dell'energia, capacità produttiva ridondante e adattamento della domanda. Allo stesso tempo, noi nazioni industriali dovremo adattare gran parte del nostro attuale uso di energia (che avviene nei processi industriali, costruzioni, riscaldamento e trasporti) all'elettricità. Nel complesso, la transizione energetica promette di essere un'impresa enorme, senza precedenti nei suoi requisiti di investimento e sostituzione. Quando David e io abbiamo fatto un passo indietro per valutare l'enormità dell'impresa, non riuscivamo a vedere un modo di mantenere le attuali quantità di produzione globale di energia durante la transizione, tanto meno di aumentare le forniture energetiche di modo da alimentare la crescita economica in corso.  Il più grande ostacolo alla transizione è la scala: il mondo usa attualmente un'enorme quantità di energia, solo se quella quantità può essere ridotta in modo significativo, specialmente nelle nazioni industriali, potremmo immaginare un percorso credibile verso un futuro post carbonio.

Ridurre le forniture energetiche mondiali diminuirebbe, di fatto, anche i processi industriali di estrazione delle risorse, produzione, trasporto e gestione dei rifiuti. Si tratta di un intervento sistemico, esattamente del tipo invocato dagli ecologisti degli anni 70 che hanno coniato il mantra “Riduci, riusa, ricicla”. Va dritto al cuore del problema dell'overshoot – come la stabilizzazione e la riduzione della popolazione, un'altra strategia necessaria. Ma è anche un'idea alla quale i tecnocrati, gli industriali e gli investitori sono violentemente allergici.

La discussione ecologica è, in fondo, una discussione morale – come spiego più in dettaglio in un manifesto appena pubblicato pieno di inserti laterali e grafici. ("Non ci sono app per questo: tecnologia e moralità nell'era del cambiamento climatico, della sovrappopolazione e della perdita di biodiversità”). Tutti i pensatori sistemici che comprendono l'overshoot e prescrivono lo spegnimento come trattamento si stanno efficacemente impegnando in un intervento contro un comportamento di dipendenza. La società è drogata di crescita e questo sta avendo conseguenze terribili per il pianeta e, sempre di più, anche per noi. Dobbiamo cambiare il nostro comportamento collettivo ed individuale e mollare qualcosa da cui dipendiamo – il potere sul nostro ambiente. Dobbiamo darci una regolata, come un alcolizzato che si proibisce di bere. Questo richiede onestà e ricerca dell'anima.

Nei suoi primi anni, il movimento ambientalista poneva questa questione morale e fino ad un certo punto ha funzionato. La preoccupazione per la rapida crescita della popolazione ha portato a tentativi di pianificazione famigliare in tutto il mondo. La preoccupazione per il declino della biodiversità ha portato alla protezione degli habitat. La preoccupazione per l'inquinamento dell'aria e dell'acqua ha portato ad una sfilza di regole. Questi sforzi non sono stati sufficienti, ma hanno mostrato che inquadrare il nostro problema sistemico in termini morali riesce a dare perlomeno un po' di spinta.
Perché il movimento ambientalista non ha avuto pieno successo? Alcuni teorici che ora si definiscono “verde chiaro” o “eco modernisti” hanno abbandonato la battaglia morale completamente. La loro giustificazione per averlo fatto è che le persone vogliono una visione del futuro che sia allegra e che non richieda sacrifici. Ora, dicono, solo una soluzione tecnologica offre tutte le speranze. Il punto essenziale di questo saggio (e del mio manifesto) è semplicemente che, anche se le questioni morali falliscono, una soluzione tecnica a sua volta non funzionerà. Un gigantesco investimento in tecnologia (che sia la prossima generazione di reattori nucleari o la geoingegneria delle radiazioni solari) viene annunciato come l'ultima speranza Ma in realtà non è affatto una speranza.

La ragione del fallimento ad oggi del movimento ambientalista non è stata l'aver fatto appello ai sentimenti morali dell'umanità – che di fatto è stata la più grande forza del movimento. Il tentativo è fallito perché non è stato capace di cambiare il principio organizzativo centrale della società industriale, che è anche il suo errore fatale: la sua ricerca accanita di crescita a tutti i costi. Ora ci troviamo al punto in cui dobbiamo finalmente o riuscire a superare il “crescismo” o affrontare il fallimento, non solo del movimento ambientalista, ma della stessa civiltà.

La buona notizia è che il cambiamento sistemico è frattale in natura: comporta, di fatto richiede, azione ad ogni livello della società. Possiamo cominciare dalle nostre scelte e comportamento individuali; possiamo lavorare all'interno delle nostre comunità. Non dobbiamo aspettare un cambiamento catartico globale o nazionale. Ed anche se in nostri sforzi non possono “salvare” la civiltà industriale consumista, possono ancora riuscire a piantare i semi di una cultura umana rigenerativa che vale la sopravvivenza.

C'è un'altra buona notizia: una volta che noi esseri umani scegliamo di ridurre il nostro numero e i nostri tassi di consumo, la tecnologia può assistere i nostri sforzi. Le macchine possono aiutarci a monitorare il nostro progresso e ci sono tecnologie relativamente semplici che possono aiutare a fornire i servizi necessari con minor uso di energia e minor danno ambientale. Alcuni modi di sviluppare la tecnologia potrebbero aiutarci a pulire l'atmosfera e ripristinare gli ecosistemi.

Ma le macchine non possono fare le scelte cruciali che ci porranno su un sentiero sostenibile. Il cambiamento sistemico guidato dal risveglio morale: non è solo l'ultima speranza, è la sola vera speranza che abbiamo mai avuto.

venerdì 22 settembre 2017

Cambiamento Climatico: To believe or not to believe?





Una riflessione di Marco Sclarandis sulla realtà del cambiamento climatico: un dibattito che è un "non dibattito" perché pochissimi di quelli che dibattono sanno di cosa stanno parlando. E così andiamo avanti



Il cambiamento climatico antropogenico è una questione di fede. O ci si crede o non ci si crede. A leggere i commenti sui blog che ne parlano si evince che la scienza, la climatologia nella fattispecie non c'entri, ma la fede sì, e sovente anche cieca, oltre che slovacca.(l'ultima frase è un non-sense, per chi non l'avesse capito).

Eppure siamo immersi ed anche sommersi da cose e da abitudini che non esisterebbero senza la scienza cosidetta moderna. Per esempio, l'esistenza degli smartphone deriva dall'impiego diretto o derivato di quasi tutti gli elementi chimici scoperti fino ad oggi. Un Democrito un Lavoisier un Mendelejev rimarrebbero attoniti di fronte alle conseguenze delle loro teorie.E forse esiterebbero a credere, fede quindi, che quella piastrella permette di conversare con l'intera umanità addirittura sfiorandola con un dito o parlandogli come si farebbe ad un cane.

Un Maxwell li rassicurerebbe che non ci dovrebbero essere né trucchi, magie od inganni. Un Sagan confermerebbe che una tecnologia sufficientemente sofisticata è (però) indistinguibile dalla magia, ma non aggiunse se da quella bianca nera o della fisica quantistica.Allora perché il cambiamento climatico antropogenico è una questione di fede?

Perchè nessuno di noi è onnisciente. Forse nemmeno il Padreterno. O almeno se lo è si comporta come se si dimenticasse di saperlo. Ma tra l'onniscienza umana, Divina, e la conoscenza scientifica che prima o poi si traduce in tecnologia applicata, ci sono tanti percorsi del bravo commesso viaggiatore, che possono essere seguiti, senza pretendere di trovare quello migliore in assoluto. (https://it.wikipedia.org/wiki/Problema_del_commesso_viaggiatore)

Ora, quello che una percentuale di climatologi vicina al novantasette per cento, afferma, è che siamo riusciti a cambiare il clima terrestre. Una percentuale vicina al tre per cento afferma che non è vero. A chi può credere una persona che non immagina nemmeno quale sia la ragione per cui alcuni gas hanno un effetto cosidetto “serra” come il CO2, ovvero biossido di carbonio, ovvero aria viziata, CH4 ovvero metano, ovvero quello che una volta ci promise di darci una mano, H20 ovvero acqua in forma di vapore, ( ma non N l'Azoto, il senza vita ovvero il morto)? Per Ar (Argon detto anche il pigro) Ne (Neon, il nuovo) Xe (Xenon detto lo straniero, ma nobile di creazione), sto indagando, e nell'attesa non mi preoccupo perché non mi risulta che esistano al riguardo complotti ai quali credere od infischiarsene. Dimenticavo i clorofluorocarburi.Ma non voglio annoiare il lettore, esperto, sopratutto.

Certamente, si può riempire man mano una serra di CO2, stando attenti che non s'intrufoli il CO, monossido di carbonio, questo sì che procura il morto, e vedere cosa succede, sempre man mano, al sorgere e splendere del Sole. Ma fatto questo esperimento e il desumerne che abbiamo veramente cambiato il clima della Terra, ce ne corre, e infatti migliaia di oneste persone hanno corso per decenni in lungo e in largo per accertarsi di come stiano veramente le cose riguardo il clima. Affrontando il meteo di luoghi diversissimi in ogni stagione.

La cosa strana, si fa per dire, è che i climatologi nella percentuale grande del novantasette per cento hanno capito che è bastata una piccola percentuale di CO2 in aggiunta a quella esistente da migliaia di anni per cambiare il clima terrestre. Il restante tre per cento dice di no, ma essendo scienziati pure loro, dovrebbero poter fare degli esperimenti migliori di quelli della controparte, per smentirla. Li fanno, non li fanno, qualcuno glielo impedisce Sono vittime di scherzi preteschi o del Padreterno?

Resterebbe sempre il fatto che chi non sa neanche come inventarsi un esperimento e siamo in tanti, azzardo un novemilanovecentonovantanove per cento dell'umanità intera, deve accontentarsi di credere ad una delle due fazioni, per adoperare un eufemismo. Eppure è altrettanto strano che dovunque si vada, che sia sul Kilimangiaro o sul Gran Sasso o sopra il polo Nord, e ci si ricordi come erano decenni fa, la vista sia molto più arida e molto meno imbiancata.Anche la superficie della Groenlandia s'è rammollita. E mica perché hanno sparso solvente con gli aerei.Anche nell'Antartide succedono cose bizzarre, a detta di chi ci vive e lo studia da decenni. Non tanto che se ne sia staccata una parte grande come la Liguria, ma che lo abbia fatto prima che si pensasse potesse farlo.Forse bisogna aspettare che se ne stacchi un pezzo grande come la Padania, monti compresi, o la Gran Bretagna Scozia esclusa, per arguire che le arie polari si son fatte troppo tiepide. O invece la stranezza svanisce considerando che in tre secoli abbiamo aumentato la percentuale di CO2 nell'atmosfera del cinquanta per cento?

Naturalmente anche qui occorre fede, che le misure di questa variazione gassosa non siano contraffatte, sbagliate, inventate, anche solo per il banale scopo di arraffare denaro, dovunque stia. E ancora fede per credere che siano state proprio quelle montagne di C, Carbonio il sesto elemento,volgarmente detto carbone a produrre quel sovrappiù di CO2, insieme al carbonio contenuto nel metano e nel petrolio bruciati in innumerevoli fuochi, molti dei quali fatui.

Io preferisco credere alla realtà del cambiamento climatico antropogenico recente e rapido. Sebbene questa fede comporti come conseguenza l'adattamento ad un mondo che si prospetta diventerà sempre più infernale, almeno per quanto riguarda il meteo di molte settimane all'anno e in tanti luoghi che ancora si definiscono temperati.

A proposito di To be or not to be, non credo che assisterò ai meteo del clima che s'insaurerà a partire dal prossimo mezzo secolo perchè ritengo molto improbabile che ci sarò ancora. Ma un pensiero a quelli che ci saranno, lo dedico quotidianamente. E sovente non mi fa dormire, anche più della calura di questi giorni d'Agosto del 2017 in Italia.


Marco Sclarandis