mercoledì 7 maggio 2014

Rassegna stampa di Luis de Souza su energia e esaurimento delle risorse

Da “Resource crisis”. Traduzione di MR

Una panoramica che parte della recente pubblicazione di “Extracted” di uno dei coautori del libro, Luis de Souza, dal suo blog “At the edge of time”. In questo post Luis esamina principalmente i recenti sviluppi della crisi ucraina ed altre caratteristiche della situazione energetica mondiale. 

Rassegna stampa del 3 maggio 2014 - Extracted 

Di Luis de Souza


Due anni fa Ugo Bardi mi ha invitato a prendere parte alla redazione di un libro sulle materie prime. Ho passato gran parte del 2012 ricercando e scrivendo per produrre un capitolo su due metalli specifici: argento ed oro. Dopo una prima edizione del libro in tedesco dello scorso anno, è finalmente arrivata la versione in inglese, che sembra essere accolta calorosamente.

“Extracted” fornisce una panoramica sulla relazione fra la nostra società, l'economia e le riserve di materie prime che si trovano nella crosta terrestre. Queste riserve di fonti di neghentropia – entropia negativa, cioè materia organizzata e concentrata, al contrario di caos e dispersione – che alimentano le nostre industrie con con input a basso costo. Le difficoltà economiche che viviamo oggi sono strettamente collegate a un declino della qualità delle risorse necessarie per alimentare le nostre economie – cioè un aumento di entropia – che a un certo punto potrebbe anche tradursi in un declino dei tassi di estrazione.

Crisi delle risorse

Pubblicato “Extracted”

Ugo Bardi, 29-04-2014

“Il mio nuovo libro, “Extracted” ora è in vendita. E' una versione aggiornata in inglese dell'originale in tedesco che è stata pubblicata lo scorso anno. Potete averlo direttamente dall'editore, Chelsea Green o dalle fonti solite.

Questo libro è stato un grande lavoro, ma devo dire che sono molto contento del risultato finale e vorrei ringraziare i miei coautori, che hanno fornito le competenze specialistiche per gli “scorci” sui beni minerali specifici, lo staff di Chelsea Green per il loro aiuto altamente professionale e lo staff del Club di Roma per aver reso possibile l'impresa.

Le prime reazioni al libro sembrano molto favorevoli, il che è, credo, un po' preoccupante. Per fortuna, c'è stata almeno una recensione negativa su Amazon.com da parte di qualcuno che si definisce un creazionista. Dice che si sente “insultato” dal libro, ciononostante da una valutazione di tre stelle su cinque!”

Ma a breve termine le preoccupazioni sono più rivolte alla geo-politica delle materie prime. Mosca ha appena dato un ultimatum all'Ucraina riguardo ai suoi debiti per il gas, minacciando di tagliare le forniture dopo il 7 maggio. Qualche giorno dopo il FMI ha approvato un pacchetto di aiuto per i paesi in difficoltà, provando che il controllo è accompagnato da un conto.

The Telegraph

Ucraina: la Gazprom russa da un ultimatum per il 7 maggio sulle forniture di gas

Emily Gosden, 25-04-2014

Il gigante energetico controllato dallo stato russo Gazprom ha drasticamente aumentato la pressione sull'Ucraina, dando un ultimatum per il 7 maggio per saldare il debito non pagato di 3,5 miliardi di dollari o cominciare a pagare in anticipo il gas. Alexander Medvedev, vice amministratore delegato, ha avvertito che l'Europa deve aiutare l'Ucraina a pagare il conto – ed ulteriori 5 miliardi di dollari necessari per riempire gli impianti di immagazzinamento quest'estate – o affrontare “gravi problemi” con la fornitura di gas il prossimo inverno. Il 7 maggio, l'Ucraina dovrebbe pagare circa 3,5 miliardi di dollari per il gas che ha usato nei mesi scorsi, ha detto il signor Medvedev. Se non venissero pagati, la Gazprom smetterebbe di fornire gas all'Ucraina per l'uso domestico da giugno, a meno che non venga pagato in anticipo. 

Ecco una delle ragioni per cui la Russia non può lasciare semplicemente che l'Ucraina passi nella sfera di influenza degli Stati Uniti. E perché estendere la NATO così lontano sia un'idea così terribile.

Il Contra Corner di David Stockman

Perché il partito della guerra sta giocando col fuoco: gran parte del complesso industriale-militare di Putin si trova nell'Ucraina orientale!

Pater Tenebrarum, 30-04-2014

Tuttavia, risulta che ci sia qualcos'altro che rende l'est dell'Ucraina particolarmente importante – per la Russia. Quando l'Ucraina si è separata dall'Unione Sovietica, si è portata via con sé il 30% dell'industria del paese – in particolare un bel pezzo della sua industria della difesa. Come evidenziato in un articolo del Financial Times di Jan Cienski, il complesso militare-industriale della Russia rimane fortemente dipendente dai ricambi prodotti nelle fabbriche ucraine – e non a caso le loro consegne di recente sono state fermate. Questo getta una nuova luce sul passo indietro rispetto ai precedenti sconti sul gas e sulla decisione di minacciare uno stop delle consegne a meno che il governo ucraino non paghi il suo debito con la Gazprom. Occhio per occhio. Tuttavia, ci sono implicazioni aggiuntive. [...]

L'articolo evidenzia ulteriormente che 'invadere l'Ucraina per prendere possesso di questi impianti sarebbe un modo in stile 19° secolo di guardare ad una relazione da 21° secolo', una valutazione con la quale si dovrebbe essere d'accordo. In assenza delle attuali tensioni, le fabbriche ucraine venderebbero ancora questi ricambi, dopo tutto – è il loro business e non possono mangiarseli. Siccome molti dei ricambi sono altamente specifici, non sarà facile riadattare le fabbriche, in special modo per un paese che è essenzialmente in bancarotta come l'Ucraina. La Russia del presidente Putin invaderebbe l'Ucraina per questo? Ne dubitiamo veramente. Tuttavia, la Russia non è un paese monolitico governato da un dittatore onnipotente. Putin ha un grande vantaggio al momento perché sta godendo di tassi di popolarità incredibili in Russia (a metà marzo, erano al nuovo massimo del 76%). Dodici volte più persone hanno detto che loro “piace e che provano anche ammirazione per lui”, rispetto a quelli che esprimono disapprovazione. Alcuni risultati recenti di questionari dettagliati si trovano qui.

In Iraq hanno avuto luogo delle elezioni-farsa in cui hanno partecipato 270 partiti per 320 seggi in parlamento. I vincitori prenderanno di fatto il potere su Baghdad e una piccola altra parte del paese. Il fronte della guerra continua ad approssimarsi alla capitale, sia da est sia da nord.

New York Times

I militanti costituiscono una minaccia alla vigilia delle elezioni nazionali in Iraq

Tim Arango e Duraid Adnan, 28-04-2014

La realtà, cui il governo sembra impotente a porre rimedio, offre un post scriptum che fa pensare alla guerra americana e a un contesto volatile per le elezioni programmate per mercoledì. Il voto rappresenterà le prime elezioni nazionali dell'Iraq dal ritiro delle forze statunitensi alla fine del 2011 ed è chiaro che si terranno in mezzo a violenze che crescono rapidamente e a un bagno di sangue settario. Lunedì, sei attentatori suicidi hanno colpito sedi elettorali in tutto il paese mentre le forze di sicurezza hanno votato in anticipo, uccidendo almeno 27 persone, dicono i funzionari. La più grande paura, comunque, è che stavolta non si torna indietro, che la divisione settaria della nazione diventerà radicata mentre il governo concentra le sue forze per proteggere il suo seggio di potere a Baghdad. Con una battaglia ad Abu Ghraib, sul margine occidentale di Baghdad e a meno di 20 miglia dal centro della città, di recente il governo ha chiuso la prigione locale. Gli insorti hanno guadagnato forza nella provincia di Salahuddin Province, a nord di Baghdad, e in quella di Diyala Province, a nordest della capitale. “Tutte le frecce sono puntate su Baghdad ora”, ha detto Jessica D. Lewis, direttore di ricerca all'Istituto per lo Studio della Guerra, che ha seguito da vicino il combattimento ad Anbar.

In siti Web come PeakOilBarrel.com la precisione delle cifre pubblicate dalla EIA sulla produzione del gas negli Stati Uniti sono state messe in discussione in un modo o nell'altro per un po' di tempo. Questa settimana mi sono imbattuto nell'articolo sotto, che espone quello che appare essere una manipolazione deliberata dei dati.

Post Carbon Institute 

La EIA sta gravemente esagerando la produzione di gas di scisto nel suo rapporto di produttività delle trivellazioni

David Hughes, 21-04-2014

“La produzione di gas naturale dai margini del campo di Marcellus negli Stati Uniti più vicina ai 15 miliardi di piedi cubici al giorno: dice la EIA”, dichiarava il titolo di Platts che ha attratto la mia attenzione, visto che gli ultimi dati sul gas di scisto del campo di Marcellus di Pennsylvania e Virginia Occidentale indicavano che la produzione era inferiore ai 12 miliardi di piedi cubici al giorno. Questo titolo era basato sull'ultimo numero del nuovo Rapporto di Produttività delle Trivellazioni mensile della EIA pubblicato il 14 aprile. Leggendo ulteriormente, l'articolo ha dichiarato che il campo di scisto di Haynesville “ha raggiunto il picco a circa 10 miliardi di piedi cubici al giorno nel 2011. Questi errori sono gravi esagerazioni della realtà e necessitano di ulteriore investigazione, visto che il Rapporto di Produttività delle Trivellazioni della EIA è molto letto e citato nei media. Per fortuna la EIA pubblica anche dati di produzione indipendente per campo singoli campi di scisto nel suo Aggiornamento Settimanale sul Gas Naturale. Un controllo dei dati di produzione di Marcellus ha rivelato che era ad 11,8 miliardi di piedi cubici al giorno in febbraio e che Haynesville aveva in effetti raggiunto il picco a 7,2 miliardi di piedi cubici al giorno nel novembre 2011. Queste cifre sono corroborate anche da Drillinginfo, un database commerciale che viene utilizzato dalla EIA.

Il punto di vista erroneo che la EIA (e più ampiamente dell'amministrazione Obama) ha cercato di trasmettere  riguardo alle riserve a alla produzione di gas nel loro paese è un chiaro tentativo di adescare gli investitori verso un'industria dubbia. Finora sta funzionando, dei soldi a basso costo sono stati prontamente disponibili per aziende che spendono di gran lunga di più di quanto guadagnano. Finché un giorno non li chiameremo “subprime delle scisto”.

Bloomberg 

La sagra dei trivellatori dello scisto sul debito-spazzatura per restare nel giro

Asjylyn Loder, 30-04-2014

La Rice Energy Inc. (RICE), un produttore di gas naturale con credito a rischio, ha raccolto 900 milioni di dollari in tre giorni questo mese, 150 milioni in più di quelli di cui aveva originariamente bisogno. Non male come prima emissione dopo essere entrata in borsa in gennaio per l'azienda con base a Canonsburg, in Pennsylvania. Specialmente a causa del fatto che ha perso soldi per tre anni consecutivi, ha trivellato meno di 50 pozzi – la maggior parte chiamati come supereroi o monster trucks – è ha detto che spenderà 4,09 dollari per ogni dollaro che guadagnerà nel 2014. La spinta degli Stati Uniti per l'indipendenza energetica è sostenuta da un'ondata di indebitamento a tassi-spazzatura che è stata tanto vitale quanto le innovazioni tecnologiche che hanno permesso la baldoria delle trivellazioni. Mentre il mercato del debito ad alto rendimento è raddoppiato in dimensione dalla fine del 2004, la quantità emessa dalle aziende di esplorazione e produzione è cresciuto di nove volte, secondo Barclays Plc. E' questo che mantiene in vita la rivoluzione dello scisto anche se le aziende spendono soldi più rapidamente di quanto non ne guadagnino. “C'è molto aiuto finanziario ora che viene bevuto dagli investitori”, dice Tim Gramatovich, che aiuta a gestire più di 800 milioni di dollari come responsabile degli investimenti della Peritus Asset Management LLC di Santa Barbara, California. “Le persone perdono la propria disciplina, Smettono di fare i calcoli. Smettono di fare i conti. Stanno semplicemente sognando il sogno e è questo che sta accadendo col boom dello scisto”. 

Un'altra cattiva notizia per il settore del petrolio e del gas negli Stati Uniti è la possibilità crescente di un regolamento ambientale che sta per essere attuato. Prima era una protezione dell'approvvigionamento di acqua potabile, più di recente per i terremoto, ma ora sembra che la minaccia maggiore sia l'esplosione.

OilPrice.com

Questo problema sta per esplodere per Big Oil?

Dave Forest, 28-04-2014

Non è un segreto che la produzione di petrolio è aumentata in molte parti del Nord America di recente. Spesso in aree che hanno infrastrutture limitate in termini di linee di distribuzione – specialmente per il gas naturale. Ciò significa che i produttori devono bruciare tutto il gas prodotto durante la produzione di petrolio. Lo bruciano semplicemente perché non c'è un modo di farlo arrivare sul mercato. Ma questo mese due governi regionali hanno detto che il flaring del gas deve finire. Il più critico è il Nord Dakota, dove il Dipartimento delle Risorse Minerali dello stato sta approntando nuove regole per limitare il flaring.

L'ipotesi della Cina che approfitta dei prezzi dell'oro relativamente bassi per costruire una riserva strategica rilevante del suo metallo monetario è girata per circa un anno. Ora anche i media mainstraem contemplano questa ipotesi. Questa storia è parte di un piano più ampio che ci riporta a “Extracted”, la difficoltà di trovare accesso a risorse di alta qualità sta portando via il potere alle vecchie strutture di potere.

Reuters 

La Cina permette le importazioni di oro via Pechino, dicono alcune fonti, fra voci di acquisto di riserve

20-04-2014

La Cina non rilascia alcun dato di mercato sull'oro. Il solo modo in cui i mercati dell'oro possono avere un'idea degli acquisti cinesi è dalla pubblicazione mensile dei dati sull'esportazione da parte di Hong Kong, che lo scorso anno ha fornito 53 miliardi in controvalore di oro alla terraferma. “Abbiamo già cominciato a spedire materiali direttamente a Pechino”, ha detto una fonte dell'industria, che non ha voluto essere nominata perché non autorizzato a parlare ai media. Le quantità portate dentro finora sono piccole, in quanto le importazioni via Pechino sono state permesse soltanto dal primo quarto di quest'anno, ha detto la fonte. Si pensa che la Banca Popolare Cinese (BPC) lo aggiunga alle sue riserve auree, secondo il Consiglio Mondiale per l'Oro (CMO), in quanto sembra diversificarsi dal Tesoro statunitense. La banca centrale raramente rivela i numeri. La caduta dell'oro del 28% dello scorso anno e il record cinese delle importazioni nel 2013 hanno innescato delle speculazioni secondo le quali la BPC abbia aggiunto quantità significative di oro alle proprie riserve e potrebbe probabilmente fare un annuncio entro quest'anno. 

Un editore del Financial Times che propone la nazionalizzazione delle banche? Sì, la crisi sta forzando il ripensamento delle strutture e dei sistemi tradizionali. Mentre ci si possono attendere conseguenze positive da un tale cambiamento, il nostro non è esattamente un problema di soldi, a prescindere da quanto possano essere delusi i monetaristi.

Financial Times

Togliere alle banche private il loro potere di creare soldi

Martin Wolf, 24-04-2014

L'attività bancaria pertanto non è una normale attività di mercato, perché fornisce due beni pubblici collegati: i soldi e la rete dei pagamenti. Da un lato dei bilanci bancari si trovano i beni a rischio, dall'altra parte si trovano le passività che il pubblico crede siano sicure. E' per questo che le banche centrali agiscono come prestatrici di ultima istanza e i governi forniscono l'assicurazione sui depositi e le iniezioni di capitale. E' anche il motivo per cui l'attività bancaria è fortemente regolata. Eppure i cicli del credito sono ancora enormemente destabilizzanti. Cosa si deve fare? Una risposta minima lascerebbe questa industria in gran parte com'è, a parte irrigidire il regolamento e insistere sul fatto che una percentuale maggiore del bilancio sia finanziata da capitale o da un assorbimento credibile delle perdite. Un capitale più alto è la raccomandazione fatta da Anat Admati di Stanford and Martin Hellwig del Max Planck Institute su “I nuovi abiti dei banchieri”. Una risposta massima sarebbe dare allo stato il monopolio della creazione di soldi. 

Ora un po' di spazio alle energie rinnovabili. Ho seguito particolarmente da vicino lo sviluppo e il dislocamento dei sistemi energetici delle onde Palami in Portogallo qualche anno fa. Sono stati in acqua solo un paio di mesi, per poi svanire nell'oblio in seguito. L'energia delle onde è in effetti una risorsa promettente ma la tecnologia è lontana dall'essere pronta, come dice in dettaglio l'articolo sotto.

Environment360

Perché l'energia delle onde è rimasta tanto indietro come fonte energetica

Dave Levitan, 28-04-2014

Non è difficile immaginare cosa sia l'energia eolica – a questo punto tutti quanti abbiamo visto le turbine imponenti che punteggiano il panorama. La stessa cosa è per l'energia solare e i pannelli che si stanno diffondendo sui tetti di tutto il mondo. Ma c'è un'altra forma di energia rinnovabile, disponibile in enormi quantità, che non riporta nulla alla mente: com'è fatta la tecnologia dell'energia dalle onde? Eolico e solare sono decollati negli ultimi due decenni, in quanto i costi sono scesi rapidamente e le minacce del cambiamento climatico hanno reso chiara la necessità di transitare via dai combustibili fossili. Nel frattempo, numerosi studi hanno concluso che l'energie delle onde – e in misura minore quella delle maree – potrebbe contribuire con quantità massicce al quadro energetico generale. Ma mentre l'industria ha fatto progressi incerti, gli esperti sono d'accordo sul fatto che essa rimane di decenni indietro rispetto ad altre forme di rinnovabili, con grandi quantità di soldi e ricerca necessari perché possa almeno recuperare. 

La maturità è una cosa di cui il FV non manca. Sotto, un esempio notevole di penetrazione di questo mercato che fornisce energia alle comunità povere che probabilmente non possono permettersi di prendere elettricità dalla rete.

Deutsche Wella 

L'energia solare illumina le vite in Kenya

Victoria Averill, 29-04-2014

Daniel Tempes Olonapa, di 52 anni, si trova fuori dalla sua serra arroccata sulla cima di una collina prospiciente gli edifici imponenti della capitale del Kenya, Nairobi. Indica due pannelli neri della dimensione di un foglio di carta sopra il suo tetto. “Li può vedere?” chiede Daniel, indicando concitatamente i pannelli. “Sono piccoli, ma sono molto potenti. Li ho installati io stesso lassù e messo le batterie. Poi quando arriva il sole abbiamo luce, possiamo caricare i nostri cellulari. I miei sei figli [sic, ndt] possono fare i loro compiti di notte”. L'azienda è impegnata nella missione di fornire energia solare economica, pulita e sotenibile alle migliaia di kenioti esclusi dalla rete come Daniel, che fino ad ora hanno solo sognato di essere attaccati alla rete elettrica. M-Kopa ha messo insieme le ultime tecnologie solari con pannelli solari di alta qualità, batterie e luci e le sta vendendo nei chioschi e nei negozi in tutto il Kenya.


I seguaci europei potrebbero voler leggere il commento di metà settimana sul primo dibattito presidenziale. Buon fine settimana.

lunedì 5 maggio 2014

La crescita anti-economica

Da "Uneconomic growth in theory and in fact"  (traduzione d Jacopo Simonetta)

Prolusione di  Herman E. Daly. tenutasi al Trinity College, Dublino, 26/04/1999

     
   Ciò di cui voglio parlarvi oggi è un concetto che ritengo importante, anche se non se ne sente parlare molto.   Si tratta dell’idea della crescita anti-economica.   Sentiamo anche troppo parlare di crescita economica, ma la crescita anti-economica è possibile?   Io ritengo di si.

Questo pomeriggio, il testo per la mia presentazione è preso da John Ruskin: “Ciò che sembra essere ricchezza in verità potrebbe essere soltanto una dorata indicazione verso la sopravveniente rovina”.   Questo è il mio tema e voglio svilupparlo nel modo seguente:  Prima discuterò la crescita anti-economica in teoria.    Ha teoricamente senso?   Si può ricavare dalla teoria economica corrente?   Io ritengo che ciò è molto coerente con la teoria micro-economica, ma che confligge con la teoria macro-economica così come viene correntemente considerata.

In seguito discuterò quello che potrei definire “il problema del paradigma”, anche se utilizzerò un termine economico.    Josef Schumpeter, un grande economista della prima parte di questo secolo (XX° secolo ndt) parlava di una visione pre-analitica.   Ogni volta che ci impegniamo nell'analisi di qualcosa non partiamo dal nulla  – partiamo da una qualche percezione della natura dell’oggetto che andiamo ad analizzare.   Questa visione pre-analitica determina in gran parte quelle che saranno le nostre conclusioni.    Questo non è un atto di analisi, non potete arrivare ad una visione pre-analitica attraverso un’analisi.
Quindi, se vi avrò convinti della possibilità che la crescita anti-economica abbia forse un senso in teoria, esiste la crescita anti-economica nei fatti?   Magari è solo una scatola teorica vuota, senza niente di reale dentro.   Voglio quindi presentare qualche prova che negli Stati Uniti ed in alcuni altri paesi la crescita aggregata ci sta di fatto costando più di quanto rende e, di conseguenza, erode il benessere.
Parlerò degli Stati Uniti e non dell’Irlanda per la semplice ragione che non so niente dell’Irlanda, malgrado i miei antenati vengano da qui.    Così io vi ringrazio per avermi spedito dagli antenati e per condividere i vostri geni con me:   Ma poiché nessuna informazione sull’Irlanda viene trasmessa geneticamente, ho qualcosa da imparare.
In terzo luogo, dal momento che ho ipotizzato che l’ideologia della crescita infinita non deriva veramente dalla teoria economica, perché dobbiamo enfatizzare la crescita economica per nascondere la crescita anti-economica?   Io suggerisco che questo abbia a che fare con fondamentali problemi associati con i nomi di Malthus,  Marx, Keynes e, più di recente, con la Banca Mondiale.
Se ne avrò il tempo, vorrei poi dire anche qualcosa sulla globalizzazione come il maggior ostacolo al riconoscimento dell’esistenza di una crescita anti-economica e particolarmente al fermarla od evitarla.   Infine ci sarà uno spazio per la discussione.

Permettetemi di cominciare con la domanda: può la crescita del PIL (è questo che di solito chiamiamo crescita economica, la crescita del PIL). Può la crescita del PIL diventare di fatto anti-economica?  

Bene, prima di rispondere, penso che sia bene porsi una domanda simile in micro-economia.   Può la crescita di attività micro-economiche (cioè quelle di imprese e famiglie), possono queste attività diventare anti-economiche?   Certo che si.   Lo scopo stesso della micro-economia è trovare il livello ottimale di ogni attività.   Man mano che un’attività cresce, ne crescono i costi marginali che possono incrociare i guadagni marginali che decrescono.   Se si cresce oltre questo punto, diviene anti-economico.   L’essenza della micro-economia è l’ottimizzazione e questo implica fermarsi.   Così la regola dei costi marginali uguali ai benefici marginali, che vi è familiare se avete fatto il primo corso di economia, è efficacemente chiamata in alcuni testi “la regola del quando fermarsi”.    Mi piace questo ter mine: “la regola del quando fermarsi”.
Bene, avete avuto il vostro corso di micro-economia.   Ora viene il corso di macro-economia.  Niente più equiparazione dei costi e dei benefici marginali, niente più regola del quando fermarsi.   Semplicemente aggregate tutto nel PIL che si suppone poter crescere per sempre.    Questa trovo che sia una cosa curiosa.  Alla base della teoria economica, nella micro-economia,  l’idea della crescita anti-economica è fondamentale e  nient’affatto controversa, ma quando si passa alla macro-economia semplicemente si aggrega tutto.   Oops!   Di colpo non c’è più la regola del quando fermarsi e neppure una qualsiasi domanda circa un livello ottimale di attività.   Così, permettetemi di ragionare un po’ sul perché accada questo e, per farlo, consentitemi di tornare all'idea della visione pre-analitica, o paradigma che ho menzionato.

Vorrei prima presentare la visione pre-analitica dell’”Economia Ecologica”.

Questo è condiviso da molti altri economisti anche se ci sono varie discussioni.   Ho chiamato questo la macro-visione della macro-economia.   La cosa importante in questa visione è che l’economia viene considerata un sottosistema di un più grande ecosistema.   E l’ecosistema è delimitato, non cresce ed è chiuso dal punto di vista della materia.   Vi è un flusso in entrata di energia solare nel sistema maggiore ed un flusso in uscita di calore.   Degradandosi, l’energia solare fa girare i cicli bio-geo-chimici che sostengono la vita; è tutta quella roba verde che fa muove ogni cosa.   L’economia è quindi vista come un sotto-sistema aperto.   E’ aperto sia nei confronti della materia che dell’energia.   Preleva materia/energia a bassa entropia dall'ecosistema dove scarica materia/energia ad alta entropia e vive di questo gradiente.   Vive degradando materia ed energia.  

Quindi cominciamo esaurendo e terminiamo inquinando.   Non c’è modo di evitare questo salvo smettere di mangiare ed eliminare i rifiuti.   E’ una parte naturale dell’economia.   E’ il suo apparato digerente e deve stare dov'è.  

La materia può essere riciclata.   Possiamo prendere qualcosa dalla spazzatura ed usarlo di nuovo.   Qualcuno potrebbe pensare: “Bene, allora ricicliamo anche l’energia”, ma i fisici ci dicono che invece non possiamo.   Più esattamente, ci dicono che possiamo, ma che per raccogliere l’energia scartata, riportarla indietro ed usala di nuovo ci vorrà sempre più energia di quanta se ne possa recuperare.   Il costo energetico del riciclo di energia è sempre maggiore della quantità di energia riciclata.   Quindi è una proposta perdente e gli economisti devono capirlo.   Non è questione di quanto costa l’energia, non sarà mai possibile riciclare l’energia perché c’è una costrizione fisica sotto cui dobbiamo vivere: la seconda legge della termodinamica o legge dell’entropia.  Un’altra cosa.   Tutto ciò che si trova all'interno del cerchio che rappresenta l’ecosistema è misurato in unità fisiche.   Ma non possiamo analizzare l’economia in unità fisiche perché, se lo facciamo, raggiungiamo la conclusione che il prodotto fisico finale dei processi economici sono energia e materia di scarto e non ha molto senso avere un’economia il cui prodotto finale sono i rifiuti.   E’ una sorta di macchina idiota, ma questo è il prodotto fisico finale.  

Così, se volete ridare senso all'economia, dovete evitare le dimensioni fisiche e procedere verso qualcosa che imponga valore o benessere, soddisfazione psicologica dei desideri.   Ho messo questo fuori del cerchio e lo ho chiamato “Benessere”  (soddisfazione dei desideri) ed ho indicato due fonti di servizi.   La prima è la linea di sopra , servizi economici, che rappresenta il soddisfacimento di desideri tramite quello che ho chiamato “capitale antropico;” la roba marrone dell’economia, i manufatti.   La linea di sotto rappresenta invece  i servizi ecosistemici (la soddisfazione dei nostri desideri da parte degli ecosistemi, la roba verde).   In quanto economisti, quello che ci preme è massimizzare il benessere totale, cioè massimizzare la somma dei due flussi di benessere.   Non vogliamo massimizzarne uno solo, vogliamo che la somma fra i due sia più grande possibile.

Ora, quello che accade con la crescita economica è che la dimensione fisica dell’economia cresce trasformando quello che era roba verde (capitale naturale) in roba marrone (capitale antropico).   Un albero viene tagliato e trasformato in un tavolo; un albero in meno nella foresta, un tavolo in più in casa vostra e così via.   Ma via via che l’economia cresce, c’è un’occupazione nei confronti del rimanente ecosistema che si traduce in costo dipendente dalla perdita di opportunità (con un albero si possono fare sia tavole che sedie od armadi, mentre un tavolo resta tavolo finché lo si butta via. ndt).

Man mano che si espande il flusso marrone si riduce quello verde.   E magari continueremo finché l’incremento del flusso marrone sarà superiore alla riduzione di quello verde in termini di utilità per noi.   Ma ad un certo punto, molto prima di occupare tutto lo spazio verde trasformandolo in roba marrone, arriveremo ad un optimum: un punto oltre il quale ogni ulteriore crescita diventa anti-economica in quanto riduce i servizi eco sistemici più di quanto non incrementi quelli economici.

A quel punto l‘economia avrà raggiunto la sua dimensione ottimale in rapporto  all'ecosistema.
Notate qui che sto considerando esclusivamente il benessere umano.   Ho scelto di proposito un approccio estremamente antropocentrico.   Solamente gli esseri umani vengono qui presi in considerazione per il benessere.   Se volessimo valutare anche il senziente di godimento della vita da parte delle altre specie come parte del benessere, avremmo una ragione in più per mantenere parte della roba verde che è l’habitat delle altre specie.   Questo riduce ulteriormente le possibilità di espansione dell’uomo, nella misura in cui nell'equazione contiamo la riduzione del godimento della vita da parte delle altre creature senzienti.

Kenneth Boulding una volta presentò un teorema molto profondo: disse che quando qualcosa cresce diviene più grande.   Io chiamo le schema in alto lo scenario “mondo vuoto” e quello in basso “mondo pieno”.   Questo è un poco ingannevole perché il mondo non è mai vuoto.   Prima era vuoto di noi e dei nostri oggetti mentre era pieno di altre cose.   Ora è pieno di noi con la nostra roba e relativamente vuoto di quello che c’era prima; così è leggermente ingannevole, ma voi capite quel che voglio dire.

Le due figure sono fondamentalmente le stesse: entrambe mostrano l’economia come un sotto-sistema di un più grande sistema che è delimitato, progressivo e chiuso dalla materia.   In entrambi i casi l’economia dipende per il suo mantenimento dall'ecosistema che la contiene.   Possiamo essere in disaccordo su quale dei due schemi rappresenti meglio il mondo in cui viviamo.   Io tendo a dire che lo rappresenta meglio il mondo pieno.   Qualcun altro potrebbe dire: “No, il mondo vuoto, abbiamo ancora un sacco di spazio”.   Siamo entrambi nella medesima visione analitica e possiamo argomentare pro e contro, e possiamo mostrarci l’un l’altro delle prove per convincerci.

C’è un altro tipo di dibattito.   Magari non è un dibattito perché comincia con una visione pre-analitica molto diversa.   Dice: “No, questo non è il modo giusto di guardare la realtà.   State osservando il problema sbagliato.   L’economia non è un sotto-sistema di un più grande ecosistema delimitato eccetera; è tutto il contrario.    L’economia è il sistema globale di cui l’ecosistema è un settore ed a causa di questo errore che lo avete disegnato in questo modo”.

Che cos’è l’ecosistema?   Beh sono le cave e le discariche; cose di questo tipo e noi possiamo riciclare questi materiali sempre più in fretta man mano che l’economia cresce.   In questa rappresentazione l’economia cresce nel vuoto.   In questa visione, la crescita non occupa spazi a nient’altro.   Non c’è perdita di opportunità, niente viene sacrificato all'espansione dell’economia così che chi potrebbe essere contro la crescita?   Non provoca scarsità di nessun tipo, non usurpa niente a nessuno, non richiede alcuna rinuncia.   In effetti, la crescita semplicemente allenta le scarsità fra le varie parti interne al sistema economico cosicché solo l’idea che ci possano essere dei problemi con la crescita è un totale nonsenso ed è così che funziona il mondo.

Ora io penso che sia molto difficile argomentare fra questi due paradigmi.   E’ come fra Tolomeo e Copernico.   Si possono presentare delle prove, ma fondamentalmente è questione di come volete guardare la cosa.   Ciò non significa che una visione sia migliore dell’altra, significa che è difficile dirimere la questione.

Nello sforzo di essere più equo possibile, permettetemi di qualificare l’interpretazione che sto dando.   La roba marrone in questa figura… Nell'altra ricordo che faccio una netta separazione fra unità fisiche ed unità di benessere – le unità fisiche sono dentro il cerchio ed il benessere fuori.  La roba marrone è totalmente fisica.   Questo per essere chiari con gli economisti che stanno pensando a questo marrone come al PIL piuttosto che come  a tonnellate o barili eccetera.   Così, pensando ad un valore piuttosto che una dimensione fisica, gli economisti non sono corretti a dire che pensano di poter far crescere all'infinito degli oggetti fisici.   Quello che stanno pensando davvero è che è il valore che può crescere per sempre.  Ma il valore, vorrei dire, anche se non è riducibile a dimensioni fisiche, non è comunque indipendente dalle dimensioni fisiche.   Deve necessariamente avere una dimensione fisica.   Per adesso la dico come un’asserzione.   Qui nel mondo fisico, il valore deve essere in qualche modo incorporato in un corpo fisico.   Si, la conoscenza ha un valore, ma entra in funzione nell'economia quando viene incorporata in energia/materia a bassa entropia e svolge qualche funzione utile.

Bene, questa è a parer mio la differenza di paradigma.   La mia risposta agli economisti che dicono: “Tutto quel che vogliamo è far crescere all'infinito il valore, non l’energia e la materia!”  è dire: “Bello.   In questo caso restringete e rallentate il flusso di materia ed energia, occupatevi di tecnologia e lasciate che il valore supportato da questo flusso prestabilito cresca per sempre ed io vi applaudirò.  Io sarò contento ed anche voi lo sarete”.   Questa sarebbe una soluzione facile per quelli che davvero possono far crescere e crescere per sempre il PIL con un flusso materiale fisso.   Io penso che ci sia spazio per il progresso in questa direzione, ma penso anche che ci siano dei limiti. 

Riguardo alla questione della crescita anti-economica in teoria, cominciamo con una visione pre-analitica.   Facciamo un primo passo nell'analisi di questa visione.   La curva continua rappresenta il benessere o il vantaggio marginale o il beneficio della crescita.   Q sull'asse orizzontale rappresenta il PIL.  Come usciamo dall'asse orizzontale abbiamo una riduzione del margine utile.   I penso che questa sia una legge dell’economia, fondamentale e ben stabilita (legge dei “rendimenti - o ritorni -  decrescenti”, ndt).
La curva tratteggiata qui sotto è il costo della crescita del PIL – in altre parole, i sacrifici sociali ed ambientali resi necessari dal fatto che la crescita occupa spazio all’ecosistema.   Ho chiamato questa “visione jevoniana” in onore a William Stanley Jevons, un grande economista intorno al 1870, che usava questo tipo di diagrammi per altro tipo di problemi, ma la logica è assolutamente la stessa.   In questo diagramma cos’è la crescita anti-economica?   Beh, la crescita economica è fino al punto B sull’asse orizzontale.   In corrispondenza di B il segmento AB è uguale a quello BC:   Il vantaggio marginale è uguale all’aumento dei costi.   Crescere oltre il punto B è anti-economico.   Poiché la distanza fra l’asse orizzontale e la linea tratteggiata è maggiore della distanza fra l’asse e la linea continua, la crescita vi rende più poveri anziché più ricchi.   E così abbiamo la definizione di crescita anti-economica: la crescita oltre il punto “B”.

Ho distinto diversi limiti alla crescita.   Uno è il punto B, il limite economico in cui il vantaggio marginale equivale al costo marginale.   Un altro è il punto E dove l’utilità marginale arriva a zero.   Ho chiamato questo il limite della futilità perché quando siete qui avete così tanti beni da godere che non avete tempo di godervene nemmeno uno.   Conseguentemente, aggiungerne ancora non vi da niente perché già non potete usare tutta la roba che avete.   E’ comunque futile, indipendentemente da quanto poco costa.   Il terzo punto è D dove la curva tratteggiata gira in picchiata verso l’infinito.   Chiamo questo il limite della catastrofe, il limite della catastrofe ecologica.    C’è un grazioso scenario dove voi inventate un qualche meraviglioso nuovo prodotto che ha un imprevedibile effetto collaterale che distrugge la capacità delle piante di fotosintetizzare ed improvvisamente zap!   Beh, la cosa piacevole del limite economico è che è il primo che incontriamo.

Gli altri due limiti non necessariamente devono apparire nell'ordine in cui li ho mostrati.   Il limite catastrofico potrebbe arrivare prima del limite della futilità.    Comunque, i penso che il limite economico arrivi prima, anche se nello scenario peggiore potrebbe coincidere con quello catastrofico.
Mi pare che sarebbe molto carino se nella nostra contabilità nazionale avessimo due serie di dati invece di una.   Se ho un set di dati che misurano i benefici (la linea continua) ed un’altra che misura i costi (la linea tratteggiata) e potessimo sommarli in modo da accorpare costi e benefici, potremmo confrontarli nello sforzo di cercare un livello ottimale di attività piuttosto che semplicemente presumere che l’attività economica debba crescere per sempre.

OK, penso che questo sia tutto quello che vi dirò sulla teoria.   Per quanto riguarda la realtà, ci sono degli indizi che qualche paese sia forse oltre il punto B, in una zona di crescita anti-economica?   Vi offro due elementi di prova.
Uno.   Ci sono due importanti economisti americani, William Nordhaus and James Tobin.  Tobin ha vinto il premio Nobel per un altro lavoro.   Circa trenta anni fa si posero la domanda: “La crescita è obsoleta?”   Penso che con obsoleto intendessero anti-economico.   Per rispondere a questa domanda dissero: “Tutti noi sappiamo che il PIL non è mai stato una misura di benessere.   E’ una misura di attività.   Giusto, quindi cerchiamo di testarla.   Costruiamo un indice che misuri il benessere o quello che pensiamo sia una misura del benessere e quindi correliamolo con il PIL “   Chiamarono il loro indice “Benessere Economico Misurato”, MEW, e scoprirono che, certo, c’era una correlazione.  

Nell'insieme del periodo 1929-1965 per ogni incremento di 6 unità di PIL c’era in media un aumento di 4 unità di MEW.   Non uno ad uno, ma 6 a 4.   Non male.   Un sospiro di sollievo.   La conclusione che raggiunsero fu che, anche se il PIL non era mai stato inteso come misura di benessere, comunque era sufficientemente ben correlato con il benessere da poter continuare ad essere usato considerando che sia una ragionevole misura del benessere. 

Bene, circa 20 anni dopo John Cobb, Clifford Cobb ed io decidemmo di dare un’altra occhiata a questa faccenda.   Stavamo sviluppando il nostro indice di benessere economico sostenibile e pensammo che il lavoro di Tobin e Nordhaus fosse la migliore base che potessimo trovare.   Spezzammo la loro serie temporale in due segmenti e scoprimmo che nel secondo periodo, i 18 anni fra il 1947 ed il 1965, la correlazione non era 6:4, bensì l’incremento di 6 unità di PIL davano un incremento di una sola unità del loro indice di benessere economico.   Così, come minimo, sembrava che l’aumento del PIL diventasse un modo sempre meno efficiente di incrementare il benessere sulla base dei loro stessi dati, delle loro stesse definizioni eccetera.   Avremmo voluto estendere il loro lavoro e vedere cosa succedeva dopo il 1965, ma non potemmo perché la serie statistica era cambiata.

Il loro indice non ci piace comunque perché non prevede nessuna correzione per i cambiamenti nella distribuzione dei redditi, per il depauperamento del capitale naturale ecc.   Così sviluppammo un altro indice che chiamammo “Indice di Benessere Economico Sostenibile” (ISEW).   E facemmo la stessa cosa che avevano fatto Nordhaus e Tobin.   Correlammo il nostro indice con il PIL e c’era una correlazione positiva all'incirca fino alla seconda metà degli anni settanta, quindi il nostro indice stagnava mentre il PIL continuava a crescere.   Addirittura il nostro indice declinava lievemente, mentre il PIL cresceva.

Non facemmo grandi cambiamenti rispetto al MEW.   Giusto applicammo una sottrazione per il depauperamento  del capitale naturale ed introducemmo una correzione relativa alla ripartizione dei redditi perché pensammo che fosse contrario alla teoria economica valutare un dollaro in più di reddito per una persona molto ricca alla stessa stregua di un dollaro in più per un povero.   Non applicammo nessuna deduzione per la riduzione del vantaggio marginale del reddito complessivo delle nazioni che diventano più ricche.   Neppure deducemmo qualcosa per il consumo di beni pericolosi come tabacco, alcol, eccetera.   Quindi giocammo in modo molto conservatore e, ciò nondimeno, trovammo che il benessere misurato da questo numero negli USA diminuiva, mentre il PIL cresceva.

Ora, sappiamo che misurare il benessere è un affare molto difficile ed insidioso.   Non voglio dire che la nostra misura è una grande misura del benessere, ma dimostra il fatto che quando progettarono il PIL non tentarono nemmeno di misurare  il benessere.   Noi ci abbiamo provato e probabilmente abbiamo trovato una misura un poco migliore del PIL.   E la correlazione fra i due è molto scarsa.

Ok, questo è solo un assaggino di crescita anti-economica.   Io penso che la crescita degli Stati Uniti, la crescita aggregata, sia anti-economica perché i costi aumentano più rapidamente di quanto facciano i benefici.   Con questo voglio dire che non c’è modo di migliorare il benessere degli Stati Uniti?   No, certamente no.    Ci sono un sacco di cose che devono crescere ed altre che devono declinare.   Il problema è l’aggregazione del PIL.   Se volete parlare delle cose che devono crescere dovete lasciar perdere gli aggregati ed occuparvi delle parti.   Dovete allontanarvi dalla macroeconomia, occuparvi di microeconomia ed identificare quegli elementi per i quali i benefici marginali sono ancora maggiori dei costi marginali.   Questo vi allontanerà dalla grossolana politica di stimolare genericamente la crescita economica aggregata che rappresenta il problema maggiore.


Ora permettetemi di occuparmi di qualche ragione di storia politica per controllare la crescita.   Ho detto che la spinta per la crescita in effetti non deriva dalla teoria economica standard che dice che esiste qualcosa come un optimum dove vi dovete fermare.   In macroeconomia invece non lo facciamo, andiamo avanti a crescere.   Da dove viene questo mandato?   Voglio suggerire diverse origini.    Penso che scaturisca dai problemi politici pratici di cui si occupano gli economisti.   Per esempio, il problema pratico della sovrappopolazione associato con il nome di Malthus.   La cura standard per la sovrappopolazione nel modo di oggi è la transizione demografica.   Se semplicemente andiamo avanti con la crescita economica, arriveremo ad un punto oltre il quale le persone cominceranno ad essere sempre più ricche e cominceranno ad avere automobili e frigoriferi invece di bambini.   L’economia cresce, la popolazione tende a diminuire e la transizione demografica avviene automaticamente.   Quindi se siete preoccupati per la popolazione, si è legittimo esserlo, ma non vi preoccupate, semplicemente dedicate ogni vostro sforzo alla crescita economica ed il problema demografico si risolverà da solo.

Ora consideriamo un altro grosso problema, l’iniqua distribuzione dei redditi fra classi sociali, largamente associata con il nome di Karl Marx fra i molti altri.   Quale è la soluzione?   Ridistribuire?

Oh no, questo causerebbe dei problemi.   Cresceremo in modo che l’iniqua distribuzione fra classi divenga perlomeno tollerabile.   Voglio dire che anche se il ricco arricchisce più rapidamente del povero, il povero non può protestare perché anche lui si sta arricchendo.   Quindi il modo per far stare tutti meglio è la crescita aggregata.   “La marea montante alza tutte le barche” si dice, ma naturalmente non è vero dal momento che una marea che sale in una parte del mondo significa una marea calante altrove, ma forse per una parte del mondo può essere vero.

Che dire della disoccupazione involontaria, il grande problema riconosciuto da John Maynard Keynes e, naturalmente, molti altri.   La cura è stimolare la crescita aggregata..   E come stimolare la crescita aggregata?   Beh, ci sono molti modi, ma il principale è l’investimento.   Devi stimolare gli investimenti e la crescita e questo curerà la disoccupazione.

Dobbiamo crescere oltre il livello ottimale per perseguire il pieno impiego?  Pare che questa sia un’importante domanda che non viene posta.  

Continuando in quest’epoca l’onorata tradizione di Malthus, Marx, e Keynes, durante il 1992 apparve il Rapporto della Banca Mondiale sullo Sviluppo Economico che quell'anno era dedicato allo sviluppo ed all'ambiente.  “Si”, diceva, “c’è un problema di degrado ambientale, ma hey, guarda!   Basta mantenere la crescita.   Crescendo abbastanza, magari diventiamo abbastanza ricchi da pagare i costi di ripulire e migliorare l’ambiente.”   Così, nella onorata tradizione, hanno trovato qualcosa che hanno battezzato “Curva ambientale di Kuznets” da Simon Kuznets che fu un grande statistico ed economista.   L’idea è una curva a forma di U rovesciata.   Man mano che la crescita economica prosegue lungo l’asse orizzontale, nel caso di Kuznets, la disuguaglianza cresce fino ad un massimo e poi diminuisce fino ad un qualche punto.   Bene, hanno adattato questo dicendo che l’asse orizzontale mostra la crescita del PIL.   Poi hanno preso un certo numero di misure di cose diverse, accuratamente scelte e, sicuramente, hanno trovato che alcuni tipi di inquinamento crescevano con il PIL fino ad un massimo per poi declinare.   Hurrà!   La cura per un problema ambientale è semplicemente persistere nella crescita anti-economica.    Una volta superato il picco la curva ridiscende e si entra in un campo di soluzioni sempre vincenti, tutto va contemporaneamente meglio eccetera.

Allora, quale è il punto dove voglio arrivare?   Il punto è che tutti questi problemi hanno la stessa soluzione: più crescita economica presupponendo che la crescita sia effettivamente economica in ogni caso, che questa crescita ci stia davvero rendendo più ricchi anziché più poveri.   Ma se entriamo in un’era di crescita anti-economica, la crescita ci renderà più poveri.   Questo non sosterrà la transizione demografica per curare la sovrappopolazione, non aiuterà a riparare l’ingiusta distribuzione e neppure a ripulire l’ambiente.

Quindi abbiamo bisogno di soluzioni più radicali ai problemi di Malthus, Marx e Keynes .   Controllo della popolazione per contrastare la sovrappopolazione.   Ridistribuzione per contrastare le ineguaglianze eccessive.   Per la disoccupazione non sono sicuro di conoscere la risposta: forse il settore pubblico come datore di lavoro di ultima istanza, una riforma ecologica della tassazione, alzare il prezzo delle risorse, condivisione del lavoro, soluzioni diverse.

Questa per me è una conclusione su cui riflettere.   Mi pare che la ragione per cui abbiamo enfatizzato politicamente la crescita, ponendola al primo posto, è che senza essere radicale dovrebbe risolvere tutti questi devastanti problemi: sovrappopolazione, disoccupazione, iniqua distribuzione, ecc.   Offre una soluzione sempre vantaggiosa a tutti questi problemi che ci schiacciano le ossa.   Togliete la crescita e dovrete trovare delle soluzioni davvero radicali, cosicché i politici non vogliono farlo ed il pubblico non è pronto per sopportarlo.   Ma se la crescita attuale è davvero anti-economica, allora dobbiamo fronteggiare soluzioni di tipo veramente radicale ai problemi fondamentali.   Niente di più tentante di pensare: “Beh, di sicuro la crescita deve essere economica.”   E tirare avanti.
In chiusura, lasciatemi puntualizzare che ritengo che il tipo di politiche radicali cui ho fatto cenno senza definirle veramente (politiche per contrastare la sovrappopolazione, l’ingiusta distribuzione ed il degrado ambientale) devono essere portate avanti dagli stati nazionali a livello nazionale.   Questo è l’ambito comunitario nel mondo di oggi; questo è l’ambito in cui le autorità attuano la politica.   So che le cose stanno cambiando, che si stanno spostando, ma è quello che esiste adesso e se avremo globalizzazione temo che questo ridurrà la capacità delle nazioni e delle comunità di sviluppare il tipo di politiche molto radicali di cui abbiamo bisogno per fronteggiare queste difficoltà.

Concludendo, giusto per chiarezza, vorrei distinguere l’internazionalizzazione dalla globalizzazione.   Per me l’internazionalizzazione si riferisce alla crescente importanza del mercato internazionale, dei trattati, delle alleanze eccetera.   Internazionale, naturalmente , significa fra nazioni.   L’unità di base rimane la nazione, anche se le relazioni fra nazioni diventano sempre più importanti, cruciali e necessarie.   Questa è l’internazionalizzazione. 

Globalizzazione si riferisce invece all’integrazione economica di molte economie precedentemente separate.   La globalizzazione, perlopiù tramite il libero commercio e la libera mobilità dei capitali, ma anche in misura minore favorendo le migrazioni, è un’effettiva erosione delle frontiere economiche nazionali.    Quello che prima era internazionale adesso diventa inter-regionale, quello che era governato dal vantaggio relativo e dal reciproco guadagno adesso diviene governato dal vantaggio assoluto senza alcuna garanzia di reciproco guadagno.   Ciò che era molti diventa uno.   La stessa parola integrazione deriva da “integer”, sicuro, ed integer significa uno, completo ed unico.   L’integrazione è l’atto di amalgamare in un tutto unico. E Siccome c’è un solo tutto unico, una sola unità di riferimento in cui le parti sono integrate, ne consegue logicamente che l’integrazione economica globale implica la disintegrazione delle economie nazionali.    

Con disintegrazione non intendo che scompaiono le unità produttive, solo che sono estratte dal contesto nazionale e riarrangiate su base internazionale.   Come dice il proverbio: “Per fare una frittata bisogna rompere le uova”.   Per integrare la frittata globale bisogna rompere un po’ di uova nazionali.   Mentre suona simpatico parlare di “comunità mondiale”, dobbiamo confrontarci con i costi a livello nazionale dove le istituzioni e le comunità esistono veramente.   Disintegrare le comunità dove esistono, al livello nazionale, nel nome di un ideale e speranzosa nozione di comunità attenuata dove questa ancora non esiste, a me sembra molto problematico (l’autore è statunitense e ritengo che per livello nazionale si riferisca quindi ad un livello federale analogo a quello degli USA, non a quello dei suoi singoli stati della federazione ndt.).   

Globalizzando, togliamo agli stati la capacità di imporre ed attuare le politiche necessarie per internalizzare i costi esterni, controllare la popolazione, fare le cose necessarie.   Entriamo in un regime di competizione al ribasso in cui le compagnie transnazionali possono giocare un governo contro un altro allo scopo di ottenere la minore intenalizzazione possibile dei costi sociali ed ambientali delle loro produzioni.   In questo processo, secondo me, i principali sconfitti saranno le classi lavoratrici dei paesi che, per qualsiasi ragione, avevano fatto in modo di mantenere alti salari, bassa crescita demografica, alti standard di internalizzazione dei costi ambientali.   Tutti questi standard saranno schiacciati a livello della media mondiale che sarà relativamente bassa.   Perciò io vedo la globalizzazione come l’ostacolo maggiore all'attuazione del tipo di politiche radicali che sono necessarie per evitare la spirale decrescente della crescita anti-economica.

In effetti, a me sembra che la globalizzazione sia solo un modo per ridimensionare la capacità delle nazioni di contrastare i propri problemi di sovrappopolazione, iniqua distribuzione, disoccupazione e costi esterni.   Tende a convertire molti problemi difficili, ma relativamente trattabili, in un grande ed intrattabile problema globale.   Per questa ragione penso che dovremmo essere molto accorti a celebrare e promuovere la globalizzazione ed invece tornare al modello dell’internazionalizzazione.  

Questo non significa rinunciare ad una comunità economica globale, una comunità mondiale: è un differente modello di comunità.   Significa che il mondo può essere una comunità di comunità, di nazioni federate in una comunità, piuttosto che membri diretti di una comunità in cui non c’è intermediazione da parte delle nazione che fondamentalmente spariscono.   
Bene, dopo questa provocazione io penso che forse sia meglio fermarmi.





domenica 4 maggio 2014

Qual è la tua impronta di carbonio e da dove viene?

Da “Skeptikal Science”. Traduzione di MR

Di Marcin Popkiewicz

Quando ho appreso per la prima volta che un europeo medio è responsabile di emissioni di quasi 10 tonnellate di biossido di carbonio all'anno (e un americano del doppio di quella quantità) sono rimasto molto scioccato.

Volevo sapere quanta di questa impronta di carbonio è collegata ad attività particolari: riscaldamento, guidare la macchina, viaggiare in aereo, produzione di cibo e beni, consumo casalingo di elettricità, ecc. Volevo sapere come è collegata la mia impronta di carbonio alla media del mio paese, degli stati Uniti, della Cina o dell'India. Il mio livello di emissioni era sicuro per la Terra o sembravano piuttosto le tracce di Godzilla? E più di tutto, volevo sapere quali cambiamenti nella mia vita avranno un reale impatto, non solo un miglioramento del mio stato d'animo. Ho lottato per ridurre la mia impronta di carbonio, quindi queste informazioni erano cruciali per prendere decisioni informate.

Se avete pensieri simili, il modo migliore per risponder loro è quello di usare un Calcolatore personale di impronta di carbonio, attrezzo ufficiale del Ministro dell'Ambiente polacco per la conferenza dell'ONU COP14 sul clima (c'è anche una versione locale del calcolatore, potete scaricarla qui, installando prima Adobe AIR). Il calcolatore tradurrà il vostro stile di vita in impronta di carbonio totale, divisa in diverse categorie e mostrata in una forma grafica chiara.


Illustrazione 1. Stile di vita americano: reddito medio statunitense doppio, casa in periferia, SUV, dieta carnivora e viaggi aerei frequenti danno 37 tonnellate di emissioni di CO2 all'anno. 

Il calcolatore mostra anche come cambierebbe la vostra impronta di carbonio dopo alcuni cambiamenti nel vostro stile di vita. 


Illustrazione 2. Stile di vita americano riconsiderato:metà dello stipendio medio statunitensem appartamento in città, bicicletta e trasporto pubblico, dieta vegetariana locale e nessun volo riducono l'impronta a 9 tonnellate di CO2 all'anno. Escludendo le emissioni che non si possono controllare (barra gialla in basso, che rappresenta le emissioni legate alla costruzione e alla manutenzione di strade, gallerie e ponti, illuminazione delle città, amministrazione, esercito e polizia, servizi di soccorso, cliniche ed ospedali, chiese, musei, approvvigionamento d'acqua e sistemi fognari, scuole, ecc.) le emissioni personali si riducono a poco più di 5 tonnellate di CO2/anno. 

Controllate le vostre emissioni e vedete cosa potete fare per ridurre la vostra impronta di carbonio. Fate un esperimento: guardate quali cambiamenti del vostro stile di vita sarebbero necessari per ridurre la vostra impronta fino alla media mondiale (5 tonnellate di CO2/anno). Per me è stata un'esperienza davvero illuminante.

Mi sono reso conto di quante fonti di emissione ci sono e che vivendo in un paese sviluppato è molto difficile ridurre le emissioni – non c'è nessuna bacchetta magica. Mi sono anche reso conto che nel mio tentativo di ridurre la mia impronta di carbonio, spesso mi stavo prendendo in giro, facendo le cose facili, non quelle efficaci.

Uso spesso il calcolatore durante le mie lezioni e laboratori. Di solito simulo una persona che vive uno “stile di vita americano” (diciamo, il signor Jones) e chiedo quindi ai partecipanti al laboratorio di consigliare al signor Jones cosa dovrebbe fare per ridurre la sua impronta in modo significativo. Il primo consiglio di solito è una casa energeticamente efficiente. Ma poi le cose diventano difficili, perché le persone sentono che al signor Jones non necessariamente piacciano i loro consigli: smettere di volare, non usare la macchina (o vendere il SUV e comprare qualcosa di più piccolo molto più efficiente energeticamente – e guidare di meno!), frenare i consumi, smettere di mangiare carne, fare docce anziché bagni e non usare l'aria condizionata.

Il signor Jones, disposto a conservare sia il suo stile di vita ad alto consumo ed un'immagine di buon cittadino responsabile, potrebbe essere tentato l'intero problema passando ad un altro argomento, negare il problema stesso o dire che le sue emissioni sono solo una piccola parte insignificante del problema (o usare numerose altre scuse ben conosciute per non cambiare niente).

Mi sono interrogato molto su questo ed ho deciso che fare del mio meglio per limitare “l'altezza della barra dell'impronta di carbonio” sia la cosa giusta da fare (ora è intorno alle 5,8 tonnellate/anni). Ci sono alcune ragioni per questo:

  • Ci sono punti di non ritorno nel sistema climatico. Potrebbe esserci una tonnellata che sarà “una tonnellata di troppo”. 
  • Una minore impronta di carbonio significa spendere meno, portando così al risparmio anziché al debito, a meno pressione alla rincorsa ai soldi e più tempo per le cose realmente importanti della vita. Sono molto felice di questo atteggiamento. 
  • Perseguire un consumo felicemente egoistico ora, a costo dell'estinzione di innumerevoli specie e di un futuro catastrofico per i nostri figli è un atteggiamento basato su un'etica che non condivido (be', è la mia opinione, alcuni potrebbero pensarla diversamente). 
  • Credibilità: se dici agli altri che dobbiamo ridurre le emissioni mentre guidi un SUV, voli in lungo e in largo e compri un sacco di cose, sarai percepito come un ipocrita. Questo farà più danni che guadagni. Dobbiamo passare dalle parole ai fatti (l'espressione inglese è molto più bella: “we have to walk the talk”, ndt). 
  • Abbiamo una tendenza naturale a dimenticare le cose sconvenienti. Ponendo costantemente in alto nella lista della nostra agenda il “problema dell'impronta di carbonio” lo incorporiamo e lo solidifichiamo, ci educhiamo e cambiamo il modo di vedere il mondo e le nostre priorità. Ciò influenza anche le nostre decisioni non solo nelle nostre vite personali, ma anche nei luoghi di lavoro.  
  • Cambiare l'atteggiamento personale aiuta a cambiare l'atteggiamento generale. Se ci sforziamo noi stessi per un mondo a basse emissioni di carbonio, influenziamo le nostre famiglie, gli amici ed altre persone che incontriamo. In questo modo non spingiamo il clima verso il punto di non ritorno ma la risposta della società alla crisi. 
  • Spendendo i nostri soldi influenziamo ciò che si espanderà e ciò che si contrarrà: sosteniamo il trasporto pubblico, la produzione di apparecchiature energeticamente efficienti e soluzioni a bassa intensità di carbonio, non le aziende che sfornano prodotti business-as-usual.
  • Il cambiamento degli atteggiamenti significa un passaggio culturale che porta al cambiamento delle politiche pubbliche. Come esempio, chi guida un SUV avrà la tendenza a richiedere combustibile a buon mercato e la costruzione di altre strade. Una persona che va in bici ed usa i trasporti pubblici si aspetterà cambiamenti in un'altra direzione. Più persone che richiedono di rivolgersi ad un'economia a minore intensità di carbonio ci daranno una migliore possibilità che alla fine questa verrà adottata. 

Quindi, dal mio punto di vista, dovremmo ridurre la nostra impronta principalmente non perché questa riduca il consumo di combustibili fossili, ma perché questo ci aiuta ad abbracciare il problema, incoraggia l'auto-educazione, cambia la nostra visione del mondo, stimola i cambiamenti culturali intorno a noi ed influenza la prospettiva e le politiche pubbliche.

Vivere una vita a bassa intensità di carbonio in un paese industrializzato non è facile. Inoltre, ridurre le emissioni al di sotto di 1 tonnellata/anno (raccomandato fino al 2050 con l'infrastruttura attuale è quasi impossibile. Dobbiamo ri-svilupparla. Il calcolatore ci permette di verificare il nostro impatto sul pianeta date le altre fonti di energia, i cambiamenti nell'industria e i trasporti.

Ma non aspettate che accada da sé. Riducendo la nostra impronta stimoleremo la transizione. Rimanendo attaccati alle vecchie modalità manteniamo lo status quo.

sabato 3 maggio 2014

L'era glaciale che non fu

Da “Real Climate”. Traduzione di MR (h/t Dario Faccini/ASPO-Italia)

 
William Ruddiman è ben noto per la sua interpretazione del clima dell'Olocene. Secondo questa interpretazione, l'effetto serra causato dalle emissioni di metano da parte dell'agricoltura umana abbiano evitato una nuova era glaciale, una nuova manifestazione dei cicli glaciali/interglaciali particolarmente intensi dell'ultimo milione di anni l circa. L'idea di Ruddiman è stata variamente contestata e sembra oggi che non saremmo comunque ripiombati in un'era glaciale a breve scadenza (intesa come nell'arco di un migliaio di anni circa). Tuttavia, l'interpretazione di Ruddiman rimane interessante: è possibile che l'influenza umana sul clima sia stata intensa fin da epoche molto precedenti a quella dei combustibili fossili. L'articolo che segue è del 2011, ma è sempre valido per capire i concetti fondamentali delle idee di Ruddiman


Di William  Ruddiman

Più di 20 anni fa, le analisi delle concentrazioni di gas serra nelle carote di ghiaccio hanno mostrato che la tendenza al ribasso di CO2 e CH4 che è cominciata circa 10.000 anni fa ha successivamente invertito la direzione ed è aumentata stabilmente durante le ultime migliaia di anni. Le diverse spiegazioni di questi aumenti hanno invocato o i cambiamenti naturali o le emissioni antropogeniche. Sono state avanzate prove ragionevolmente convincenti pro e contro entrambe le cause e il dibattito è continuato per quasi un decennio. La Figura 1 riassume questi diversi punti di vista.



Un'edizione speciale di agosto della rivista The Holocene aiuterà a far fare un passo avanti a questa discussione. Tutti gli scienziati che hanno partecipato a questo dibattito durante l'ultimi decennio sono stati invitati a contribuire al volume. L'elenco degli invitati era ben equilibrato fra i due punti di vista, entrambi i quali sono ben rappresentati nell'edizione. I saggi hanno recentemente iniziato ad essere disponibili online, sfortunatamente a pagamento. Probabilmente, la nuova visione più significativa che emerge da questa pubblicazione proviene da diversi saggi che convergono su una visione dell'uso preindustriale del suolo che è molto diversa da quella che ha prevalso fino a poco tempo fa. Gran parte delle simulazioni dei modelli precedenti si affidavano sull'assunto semplificante che la deforestazione e la coltivazione fossero rimasti minimi e quasi costanti durante il tardo Olocene, ma i dati storici ed archeologici ora rivelano un uso del suolo precedente pro capite molto maggiore di quello usato in questi modelli. L'emergenza di questo punto di vista è stato riportato in diverse presentazioni alla Conferenza di Chapman nel marzo 2011 e ed ha attratto l'attenzione si di Nature sia di Science News. L'articolo che segue riassume questa nuova prova.

I dati storici sull'uso del suolo che risalgono circa fino a 2000 anni fa esistono per due regioni – Europa e Cina. In un saggio del 2009, Jed Kaplan e i suoi colleghi hanno riportato prove che mostrano una deforestazione quasi completa in Europa ad una gamma media di densità di popolazione, ma una deforestazione aggiuntiva molto limitata a densità di popolazione maggiori. Incorporato in questo rapporto storico c'era una tendenza da una deforestazione pro capite molto maggiore 2000 anni fa a valori molto minori nei secoli recenti. Analogamente, un'edizione speciale di Holocene di Ruddiman e colleghi ha indicato uno studio pionieristico dell'agricoltura delle origini in Cina pubblicato nel 1937 J. L. Buck. Accoppiato a stime di popolazione ragionevolmente ben limitate che risalgono alla dinastia Han di 200 anni fa, questi dati mostrano una diminuzione di quattro volte dell'area di suolo coltivata pro capite in Cina da quel tempo al 1800.

Queste due rivalutazioni dell'uso pro capite di suolo hanno implicazioni importanti per le emissioni globali di carbonio preindustriali. Un saggio in edizione speciale di Kaplan e colleghi ha usato i rapporti storici dall'Europa per stimare la deforestazione mondiale, con necessità pro capite di suolo inferiori nelle regioni tropicali a causa della più lunga stagione agricola che permette raccolti multipli su base annuale. Il loro modello ha simulato grandi abbattimenti di foresta migliaia di anni fa non solo in Europa e Cina, ma anche in India, Mezzaluna Fertile, Africa saheliana, Messico e Perù. Lo schema di deforestazione è mostrato bene in una sequenza temporale disponibile nell'articolo di Science News citato sopra. Kaplan e colleghi hanno stimato emissioni cumulative di carbonio di ~340 GtC (1 Gt = miliardi di tonnellate) prima che l'aumento del CO2 dell'era industriale iniziasse nel 1850. Questa stima è da 5 a 7 volte maggiore di quelle basate sull'assunto che i primi agricoltori abbattevano foreste e coltivavano il suolo in piccole quantità pro capite tipiche dei secoli recenti.

Su scale temporali di millenni, circa l'85% delle emissioni di CO2 in atmosfera sono finite nella profondità degli oceani. Di conseguenza, le 340 Gt stimate da Kaplan delle antiche emissioni di carbonio antropogenico in atmosfera sarebbero risultate in un aumento totale di CO2 preindustriale di ~24 ppm (340 Gt diviso per 14.2 Gt per ppm). Riamane tuttavia un disallineamento nella tempistica fra il primo aumento della tendenza delle carote di ghiaccio e l'aumento successivo della stima delle emissioni di carbonio di Kaplan. Una possibilità che viene attualmente investigata da Kaplan e colleghi è una maggiore pratica pro capite dell'incendio di foreste da parte di primi agricoltori (e di quelle culture che erano ancora cacciatori-raccoglitori).


Una storia analoga di diminuzione dell'uso pro capite di suolo vale anche per la pratiche agricole che generano metano. Il saggio di Ruddiman e colleghi cita uno studio del 1977 di Ellis e Wang su Agricultura, Ecosistemi e Ambiente (61: 177-193) che riporta una diminuzione quadrupla dal 1000 al 1800 DC nella dimensione delle risaie pro capite nella bassa valle del fiume Yangtze. A causa della crescita della popolazione in corso e della mancanza di suolo coltivabile addizionale, gli agricoltori sono stati costretti a produrre riso in proprietà terriere sempre più piccole, che ha portato alla tipica agricoltura cinese “a giardino”. Per scale temporali più lunghe, un articolo in via di pubblicazione di Fuller e colleghi sul “Contributo della coltura del riso e dell'allevamento ai livelli di metano preistorici: una valutazione archeologica” ha assemblato prove archeologiche da centinaia di siti ben datati che mostra la diffusione dell'irrigazione del riso nell'Asia meridionale fra 5000 e 1000 anni fa . Sulla base di relazioni regionali moderne, hanno ipotizzato che la coltura del riso in ogni regione si è successivamente riempita col logaritmo della densità di popolazione. Combinando il primo arrivo del riso e il successivo riempimento, Fuller e colleghi hanno proiettato l'aumento progressivo dell'area totale dell'Asia meridionale dedicata al riso.

La loro stima ha mostrato una tendenza esponenziale all'aumento dell'area totale che ha raggiunto più del 35% dei valori moderni di 1000 anni fa, anche se la popolazione nelle aree che coltivavano riso a quel tempo era solo il 5-6% dei livelli moderni. Questo disallineamento indica ancora una volta un uso di suolo pro capite molto più grande all'inizio dell'era storica che nell'ultimo periodo preindustriale. Secondo questa analisi, l'aumento di emissioni di CH4 dall'irrigazione del riso può contare per gran parte dell'aumento di CH4 misurato nelle carote di ghiaccio fra 5000 e 1000 anni fa. Fuller e colleghi hanno anche mappato il primo arrivo di bestiame addomesticato in Asia e in Africa e hanno scoperto che è iniziata una grande espansione della pastorizia nelle aree umide con grandi capacità di carico 5000 anni fa. Hanno osservato che questa diffusione di bestiame avrebbe anche dato un grande contributo alle emissioni ed alle concentrazioni atmosferiche di metano antropogenico, ma non hanno provato a valutarne la quantità.

Le prove in tutti questi saggi recenti convergono verso la stessa conclusione: l'ipotesi semplicistica di un uso costante di suolo pro capite da parte di gran parte dei modelli di studio precedenti ha ignorato sia i dati storici sia la vasta gamma di prove contrarie assemblate dagli scienziati in archeologia e in discipline collegate che fanno il lavoro sporco sul campo necessario per svelare la vera storia degli effetti umani sul suolo. Questo punto di vista basato sul campo è stato sintetizzato molto tempo fa dal lavoro seminale di Ester Boserup dagli anni 60 agli anni 80. La Boserup ha concluso che la grande diminuzione dell'uso di suolo pro capite dal medio al tardo Olocene è avvenuto perché la crescita della popolazione e le usurpazioni dei vicini hanno costretto gli agricoltori a trovare nuovi metodi per produrre cibo per le proprie famiglie con sempre meno terra. Questi saggi nel numero speciale rendono chiaro che i tentativi futuri di modellare l'uso di suolo del passato dovrebbero evitare l'assunto di coltivazione e deforestazione pro capite costante e ridotto.

Questo punto di vista emergente porta una discussione attuale rispetto a se designare o no in intervallo di “Antropocene” (un tempo di grande influenza umana sul sistema terrestre) e, se sì, dove porre il suo inizio. Anche se l'opinione prevalente sembra a favore dell'uso dell'era industriale (gli ultimi due secoli o meno) come inizio, queste nuove prove offrono una prospettiva diversa. L'abbattimento di foreste per la coltivazione e il pascolo sono la più grande trasformazione della superficie della Terra che sia mai avvenuta finora. Se ben oltre metà di questa trasformazione chiave è avvenuta prima dell'era industriale, allora si può discutere per piazzare l'inizio dell'antropocene in un tempo precedente. Una possibile soluzione sarebbe designare due fasi: un “primo antropocene” (un tempo si trasformazioni lente ma crescenti che è cominciato 7000 anni fa per il CO2 e 5000 anni fa per il CH4) ed un “tardo antropocene” per segnare i molti cambiamenti accelerati dell'era industriale.

Altri saggi dell'edizione speciale puntano a loro volta ad una interpretazione rivista di un tipo di prova collegato che si dirige verso una antica deforestazione – le analisi meticolose della composizione degli isotopi di carbonio del CO2 nelle bolle d'aria delle carote di ghiaccio del gruppo di Berna. Elsig et al. in un articolo del 2009 su Nature hanno concluso che la piccola (~0.05o/oo) ampiezza della diminuzione di δ13CO2  durante gli ultimi 7000 anni limita le emissioni nette di carbonio terrestre a ~50 GtC (una Gt è un miliardo di tonnellate), se pienamente bilanciate con l'oceano profondo. Come parte dell'equilibrio da loro proposto di varie sorgenti e pozzi di carbonio, hanno stimato un contributo antropogenico di ~50 GtC alla tendenza del δ13CO2, equivalente ad un aumento di CO2 di 3,5 ppm.

Ma il calcolo dell'equilibrio della massa in Elsig et al. implicava l'ipotesi discutibile che solo 40 Gt di carbonio siano state sepolte nelle torbiere boreali durante gli ultimi 7000 anni, mentre questo valore si trova ben al di sotto di una stima molto rispettata di 300 GtC di  Eville Gorham (vedi, Applicazioni Ecologiche 1: 182-195, 1991; Gajewski et al., Cicli Biogeochimici Globali 15: 297-310; 2001). Una nuova analisi di Zicheng Yu nel numero speciale prende in considerazione sia il seppellimento iniziale della torba sia, per la prima volta in uno studio, la successiva decomposizione e il rilascio della torba dopo il seppellimento. Yu giunge ad una stima di un seppellimento di ~300 Gt di carbonio in torba durante gli ultimi 7000 anni. Questo valore molto più alto (~300 GtC contro 40 GtC) richiede emissioni di compensazione molto più grandi di carbonio terrestre per soddisfare il limite complessivo di δ13CO2, ma il carbonio aggiuntivo è improbabile che sia venuto da fonti naturali. Gli studi dei modelli hanno, in media, posto l'equilibrio netto del carbonio causato da cambiamenti naturali nella vegetazione monsonica e nella fertilizzazione del carbonio vicino alla dimensione di 30 Gt stimate da Elsig e colleghi. Questi cambiamenti non valgono per le emissioni necessarie per compensare la quantità molto più grande di carbonio sepolta sotto forma di torba.

La sola fonte rimasta è l'emissione antropogenica. La stima risultante di >300 GtC di emissioni antropogeniche preindustriali è della stessa quantità della stima di simulazione di uso di suolo di Kaplan e colleghi. Se le prime (Gorham) e le più recenti (Yu) stime del grande seppellimento di carbonio nella torba boreale sono corrette, la piccola tendenza negativa del  δ13CO2 durante gli ultimi 7000 anni non è un argomento contro la prima impotesi antropogenica, ma piuttosto un argomento in suo favore. Le due stime di un aumento del CO2 antropogenico preindustriale di 24 ppm sono molto più grandi delle stime precedenti di 3-5 ppm, ma ancora inferiori ai 40 ppm proposti nella prima ipotesi antropogenica. Tuttavia, un altro fattore che avrebbe contribuito al totale antropogenico preindustriale è stata la retroazione di CO2 da parte di un oceano mantenuto caldo dalle emissioni agricole di CO2 e CH4 nell'atmosfera. Un saggio di Kutzbach e colleghi nell'edizione speciale stima un contributo di 9 ppm da parte della ridotta solubilità del CO2 in un oceano riscaldato dalle prime emissioni antropogeniche di CO2 e Ch4 nell'atmosfera. Questa ed altre possibili retroazioni da parte dell'oceano, pongono l'effetto totale del CO2 preindustriale a >30 ppm, più prossimo ai 40 ppm dell'ipotesi originaria.

Diversi saggi dell'edizione speciale continuano a favorire una spiegazione naturale per le tendenze di CO2 e CH4 del terdo Olocene, quindi il dibattito non è concluso. Tuttavia, le nuove prove indicano la strada verso tre vie di esplorazione che promettono di darci una risoluzione di questo problema: (1) investigazione più accurata delle registrazioni storiche dell'uso del suolo preindustriale; (2) lavoro archeologico supplementare per riempire i vuoti nella copertura spazio/temporale della diffusione dell'agricoltura e (3) ulteriore lavoro di modellazione per trasformare i dati storici ed archeologici in stime quantitative degli effetti della prima agricoltura sulle concentrazioni atmosferiche di CO2 e CH4.

- Altro su: http://www.realclimate.org/index.php/archives/2011/04/an-emerging-view-on-early-land-use#sthash.ZPt1mSwl.dpuf 


venerdì 2 maggio 2014

Il Culto dello Sportello - III: Miracolo alla ASL



Terzo post della serie "il culto dello sportello" (qui il primo e qui il secondo). Vi racconto di un'avventura fra lo studio del dottore e la sede della ASL. (immagine da "haisentito.com")




La mattinata comincia subito male quando mi  presento nella sala d'aspetto del dottore all'ora di apertura e trovo che ci sono già 11 vecchietti ad aspettare, chissà da quanto tempo. Provo flebilmente a descrivere il mio caso "sapete, il dottore mi ha detto che è una cosa abbastanza urgente per mio padre che ha 92 anni, devo fare una richiesta alla ASL e qui mi bastano dieci secondi per farmi dare un foglio che mi ha preparato....."

I vecchietti sono abbastanza gentili, ma mi fanno anche notare che hanno i loro problemi e molti di loro dicono che faranno alla svelta anche loro. E comunque, il dottore non c'è. Mi metto a sedere ad aspettare: sono le 10 del mattino e devo far lezione alle 12. Mah?

Il dottore arriva alle 10:45. I vecchietti non fanno cenno alla mia richiesta di priorità e si mettono subito in fila davanti alla porta. Sembra che non ci sia  proprio modo che ce la faccia per la lezione di mezzogiorno. Fortunatamente, il dottore mi ha notato quando è arrivato e esce lui stesso dal suo ambulatorio passandomi il foglietto che devo portare alla ASL. Primo miracolo della mattina. Sono le 11:10.

Mi fiondo alla ASL col motorino (anche questo un piccolo miracolo di trazione elettrica). Arrivo all'ufficio informazioni col foglino in mano e la signora allo sportello mi dice: Oggi non si può fare - il CUP ha chiuso alle 10. Si può fare per domani? No, domani non prendiamo questo tipo di richieste. Dopodomani? No, è il primo Maggio. Venerdì? No, non prendiamo questo tipo di richieste. Ritorni la prossima settimana.

Provo a insistere gentilmente, sa, dico, il dottore si è raccomandato per questo letto ortopedico. Mio padre ha 92 anni ed è bloccato nel suo letto, che non è adatto. Così, per avere un letto ortopedico ci vuole tempo.......... Mi guarda con aria annoiata e mi dice, "non si può fare questa settimana." Sono le 11:30 e la mia lezione comincia alle 12

Provo a telefonare al dottore per sentire se c'è qualche altro modo. Mi dice che, mah..., forse...., boh....  Mentre mi aggiro con aria spettrale per i corridoi vuoti della ASL col telefonino all'orecchio , mi capita di incrociare una signora che riconosco essere l'impiegata che ho visto altre volte dietro lo sportello del CUP. Provo a raccontarle il mio problema.

E qui avviene il secondo miracolo della mattinata. La signora annuisce e mi dice, "Capisco benissimo. Venga con me che le apro il terminale" Giuro che per un attimo ho sentito i cori angelici e ho visto una specie di luminosità dorata intorno alla testa di questa signora - qualcosa tipo i santi dei mosaici di Ravenna.

In cinque minuti e qualche firma la richiesta è fatta. Ringrazio profusamente la signora che mi dice, "Sa, io faccio il possibile per essere d'aiuto quando posso. Però certe volte è veramente difficile. Tempo fa ho cercato di spiegare a un signore che la cosa che mi chiedeva non la potevo proprio fare. Lo sa cosa mi ha detto? Non solo che era colpa mia perchè sono un'incompetente ma mi ha anche augurato che mi venga un tumore al seno!"

Ringrazio ulteriormente per la resistenza all'altrui maleducazione. Sono circa le 11:45 e ce la faccio (ancora un piccolo miracolo del motorino elettrico) ad arrivare in aula per la mia lezione entro il quarto d'ora accademico.


Allora, Questa storia e quelle precedenti mi hanno insegnato un paio di cose, ovvero:

1. L'immagine dell'impiegato statale fannullone e incompetente è spesso falsa e esagerata. Nelle mie vicissitudini ai vari sportelli mi sono spesso trovato di fronte a persone gentilissime che fanno tutto il possibile per aiutarti. Anche loro, però, si trovano di fronte a una burocrazia fatta apposta per renderti le cose difficili, come pure a utenti maleducati e antipatici che se la rifanno con loro a furia di insulti e accidenti. Non c'è da stupirsi se alcuni di loro poi diventano altrettanto maleducati e antipatici. Insomma, l'antipatia è come il morbillo: è contagiosa.

2. Il danno economico che fa il culto dello sportello al "sistema italia" è qualcosa che non so quantificare ma che mi sembra comunque spaventevole. Pensate che in questa vicenda il sistema sanitario mi ha chiesto di fare da fattorino per trasportare un foglio da un ufficio a un'altro. Oltre alla mattinata quasi intera che ho perso io (e mi è andata di lusso, senza i miracoli ce ne avrei perse due o tre), c'è da mettere in conto il che hanno perso altre persone (dottore, impiegata, ecc.). A questo punto, ragionate che la stessa cosa la poteva fare il dottore spedendo direttamente la richiesta all'ufficio competente. Era questione di un microsecondo e costo zero.

Arriveremo mai a una burocrazia efficiente? Chissà, forse piano piano riusciremo a eliminare questo assurdo culto dello sportello, ma sono sicuro che si inventeranno qualche altra cosa per far perdere tempo agli utenti - magari anche peggio.