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martedì 22 luglio 2014

L'ipotesi non provata dei 6 milioni di barili al giorno di petrolio iracheno per il 2020

Da “Crude Oil Peak”. Traduzione di MR

Dato il tumulto etnico in Iraq provocato dalla recente presa da parte di ISIS di alcune città a nord e a ovest dell'Iraq, non è certo in che modo questo avrà un impatto sulla produzione di petrolio nel sud controllato dalla Shia, da dove provengono la maggior parte delle esportazioni irachene. Al momento, le esportazioni di petrolio dai nuovi terminali petroliferi di Basrah non sembrano essere state condizionate dai disordini, ma questo può cambiare. Non sappiamo cosa succederà, specialmente se questo conflitto si allarga la guerra virtuale fra Arabia Saudita e Iran che è stata finora limitata alla Siria (dove la produzione di petrolio aveva già raggiunto il picco). Sarebbe prudente per i governi che stanno ancora pianificando nuove strutture dipendenti dal petrolio come strade ed aeroporti accantonare questi progetti e prepararsi piuttosto alle carenze di petrolio.

Quasi un anno fa ho scritto questo articolo: 9/8/2013 Le esportazioni di petrolio greggio dell'Iraq bloccate in mezzo agli attacchi agli oleodotti

http://crudeoilpeak.info/iraq-crude-oil-exports-stall-amid-pipeline-attacks

Questo post è un aggiornamento.


12/6/2014 I residenti di Mosul scappano dall'ISIS e cercano di attraversare il fiume Tigri verso est

Una mappa del Centro per l'Informazione sulla Politica Energetica (Washington) descrive la situazione strategica del petrolio:

L'Iraq potrebbe “rispedire chi fa le previsioni economiche al tavolo da disegno”
13/6/2014


Fig 1: Mappa che mostra i recenti avanzamenti dell'ISIS e le infrastrutture petrolifere

http://energypolicyinfo.com/2014/06/iraq-disruption-could-%E2%80%9Csend-economic-forecasters-back-to-the-drawing-board%E2%80%9D/ 

La pianificazione energetica torna al punto di partenza

E' importante capire che la IEA ipotizza in tutte le sue proiezioni che l'OPEC coprirà sempre il divario fra la produzione non OPEC e la crescita della domanda di petrolio prevista come risultato della crescita del PIL (rivolgersi all'OPEC). E l'Iraq gioca un ruolo centrale in questo concetto, come mostrato in questo grafico usando i dati dello scenario delle nuove politiche della IEA del suo ultimo WEO (novembre 2013):


Fig 2: Contributo ipotizzato dell'Iraq alla produzione di petrolio del Medio Oriente dell'OPEC

In particolare, nel periodo fino al 2020, si presume che l'Iraq contribuisca con 5,8 milioni di barili al giorno (mb/g) alla produzione globale di petrolio. Notate che nello scenario delle nuove politiche la domanda di petrolio (e – su definizione della IEA – le forniture) in quel periodo si presume che crescano ad un tasso molto modesto del 1,1% (in confronto al  1,4% dell'attuale scenario). La IEA ha anche lavorato sui propri calcoli secondo i quali la produzione del petrolio di scisto statunitense crescerà fino a 4,3 mb/g per il 2025 (p 476)

http://www.worldenergyoutlook.org/publications/weo-2013/ 

Un anno prima il WEO del 2012 della IEA (Capitolo 13 “L'Iraq oggi: energia ed economia”) aveva quest'idea della produzione e del consumo futuri dell'Iraq:


Fig 3: scenario centrale del WEO del 2012 della IEA per l'Iraq

http://www.iea.org/publications/freepublications/publication/WEO2012_free.pdf

Lo scenario centrale è lo scenario delle nuove politiche. L'ipotesi era di 6,1 mb/g per il 2020, non molto diverso dal WEO del 2013.

Produzione di petrolio greggio dell'Iraq




Fig 4: Produzione di petrolio greggio e Liquidi del Gas Naturale (LGS) fino a dicembre 2013

Quando ho scritto questo post, i dati mensili più recenti della IEA arrivavano solo al dicembre 2013. Possiamo vedere che la produzione nel 2012 ha cominciato a superare il massimo precedente ottenuto nel 2000. I LGN sono trascurabili. Dati più recenti suggeriscono che la produzione media nei primi 4-5 mesi del 2014 è stata di 3,1 mb/g (tavola 5.5 “comunicazione diretta” nel rapporto mensile del mercato del petrolio dell'OPEC) e di 3,3 mb/g (tavola 3 del rapporto mensile del mercato del petrolio della IEA).

Esportazioni di petrolio da Nord


Le esportazioni di petrolio dal Nord sono già terminate a causa dei continui attacchi agli oleodotti verso la Turchia all'inizio dell'anno.


Fig 5: Esportazioni di greggio dell'Iraq dai giacimenti del Nord e del Sud.

I dati provengono da qui: http://somooil.gov.iq/en/ 

Operatività delle raffinerie nel Nord

L'azienda delle raffinerie del Nord http://www.nrc.oil.gov.iq/ comprende:
(1) Il complesso della raffineria di Baiji (310.000 b/d)

  • Raffineria di Salahuddin 1 70.000 b/d
  • Raffineria del Nord 150.000 b/d + 20.000 b/d
  • Raffineria Salahuddin 2 70.000 b/d
  • Unità di polimerizzazione 20.000 b/d (da luglio 2011)
  • 2 treni di lubrificazione dell'impianto  125 kt pa

(2) Raffineria di Kirkuk 30.000 b/d
(3) Raffineria di Siynia 30.000 b/d
(4) Raffineria di Kisik 20.000 b/d
(5) Raffineria di Qaiyarah 34.000 b/d
(6) Raffineria di Hadithah 16.000 b/d
(7) Raffineria di Aljazirah 20.000 b/d

Il complesso della raffineria di Baiji è stato attaccato dall'ISIS ma sembra che sia tornato sotto il controllo del governo. I soldati Peshmerga curdi hanno occupato la postazione abbandonata dell'esercito a Kirkuk con la sua raffineria. La situazione potrebbe rapidamente cambiare. Baiji è già stata attaccata nel febbraio 2011. Le raffinerie devono essere mantenute in funzione altrimenti tutte le parti finiranno benzina a gasolio per spostarsi. L'Istituto per lo Studio della Guerra (Washington) segue tutti gli eventi da vicino

http://www.understandingwar.org/ e http://iswiraq.blogspot.com.au/

Notate che il giacimento di Kirkuk ha superato il proprio picco del petrolio:
21/1/2013

“I problemi coi curdi sono ulteriormente aumentati quando Baghdad ha annunciato un nuovo piano per avere il doppio della produzione dei giacimenti petroliferi di Kirkuk che si trovano nella zona contesa. La produzione dal giacimento di Kirkuk, che è stato scoperto nel 1927, è diminuita a 260.000 b/g da un massimo di 900.000 b/g di 15 anni fa ed ha fortemente bisogni di ricupero”.

http://peak-oil.org/2013/01/peak-oil-review-january-21-2013/

Gestione degli investimenti petroliferi di Baghdad

Secondo il WEO della IEA del 2012 (Capitolo 13 “L'Iraq oggi: energia ed economia”) l'industria del petrolio e del gas irachena ha bisogno di 20 miliardi di dollari americani all'anno fra il 2015 e il 2020 per aumentare la produzione di petrolio dell'Iraq fino a 6,1 mb/g per il 2020 e costruire raffinerie per soddisfare la domanda locale. Il governo locale di Baghdad sarà in grado di gestire un tale programma di investimento se è occupato a combattere l'ISIS mentre è sotto pressione dell'agitazione dei sunniti? Chi investirà in Iraq in circostanze del genere?



Fig 6: Investimenti richiesti per l'industria del petrolio e del gas irachena

http://www.iea.org/publications/freepublications/publication/WEO2012_free.pdf

Nella recente Panoramica sull'Investimento Mondiale in Energia della IEA

http://www.iea.org/publications/freepublications/publication/name,86205,en.html 

gli investimenti totali richiesti nel Medio Oriente per sviluppare e produrre petrolio fino al 2035 è di 2 trilioni di dollari (tavola 1,3). Usando i numeri del grafico sopra, quasi il 20% di questo investimento dovrebbe avvenire in Iraq.

Coinvolgimento dell'Iran 



Fig 7: Petrolio sotto-prodotto dell'Iraq

Dobbiamo confrontare la storia della produzione di petrolio dell'Iraq con quella dell'Iran. La produzione di petrolio dell'Iran ha raggiunto il picco a metà degli anni 70 (produzione eccessiva sotto lo Shah), cosa che ha innescato la seconda crisi petrolifera nel 1979. L'Iran ora si trova al suo secondo ed ultimo picco petrolifero, acuito dalle sanzioni. La produzione totale cumulativa fra il 1965 e il 2012 è stata di 63 Gb. Al contrario, la produzione petrolifera dell'Iraq durante lo stesso periodo è stata molto minore, 32 Gb. E' diminuita durante la guerra Iran/Iraq negli anni 80 e poi durante il programma 'petrolio in cambio di cibo' negli anni 90. Entrambi i paesi dichiarano di avere approssimativamente lo stesso volume di riserve. Il geologo petrolifero irlandese Colin Campbell ha avvertito che quelle riserve ufficiali sono in realtà quelle originali, non quelle che rimangono. Ciò significa che la produzione cumulativa doveva essere sottratta dalle riserve ufficiali. Dovrebbe pertanto essere chiaro che l'esaurimento del petrolio iracheno è molto minore di quello iraniano. La sotto-produzione di petrolio dell'Iraq è la ragione delle forti aspettative sulla futura produzione petrolifera dell'Iraq.

Esportazioni petrolifere dal Sud

Per ora, non sembra che l'avanzata dell'ISIS nel Nord dell'Iraq abbia avuto un impatto sulla produzione e sull'esportazione di petrolio nel Sud. Ma questo potrebbe cambiare.


Fig 8: Giacimenti petroliferi e terminal di esportazione nel Sud dell'Iraq

Per usare le parole di Dick Cheney del suo discorso “il petrolio non è uno svago” del 1999: Ecco dove si trova alla fine il premio.

http://www.resilience.org/stories/2004-06-08/full-text-dick-cheneys-speech-institute-petroleum-autumn-lunch-1999

Ignorati i primi avvisi

Nell'agosto 2007 su un programma televisivo a tarda sera sulla ABC:

Un giornalista britannico discute l'intervista con Bin Laden

TONY JONES: … lei scrive di una strategia progettata, di fatto, dallo stratega militare di Al Qaeda, lo stesso uomo che ha aiutato a progettare ciò che sta succedendo in Iraq con l'insorgenza lì a l'infiltrazione della gente di Al Qaeda in Iraq, ha messo in piedi un piano che lei ha pubblicato e che arriva fino al 2020. A che punto siamo del piano? Dove si propone di arrivare quel piano?

ABDUL BARI ATWAN: Stiamo affrontanto un problema enorme in Medio Oriente. …penso che nel 2020 vedremo un Medio Oriente del tutto diverso...

http://www.abc.net.au/lateline/content/2007/s2013661.htm

Apparentemente, ci sono nuovi attori in questo piano. La confusione viene descritta meglio da Robin Fisk, un giornalista che ha vinto molti premi sul Medio Oriente che vive a Beirut:
12/6/2014 “La storia dell'Iraq e la storia della Siria sono uguali – politicamente, militarmente e giornalisticamente: due capi, uno sciita, l'altro alawita, che combattono per l'esistenza dei loro regimi contro il potere di un crescente esercito musulmano sunnita internazionale”.

http://www.independent.co.uk/voices/iraq-crisis-sunni-caliphate-has-been-bankrolled-by-saudi-arabia-9533396.html

4 anni dopo, in un documentario televisivo sulla crisi petrolifera, il capo economista della IEA Fatih Birol ha veertito che dovremmo lasciare il petrolio prima che lui lasci noi:
28/4/2011 Avviso di crisi petrolifera della IEA: i governi dovrebbero averci lavorato 10 anni fa

http://crudeoilpeak.info/iea-oil-crunch-warning-governments-should-have-worked-on-it-10-years-ago

La panoramica di quest'anno sull'Iraq della IEA (maggio 2014)

La produzione irachena è aumentata di 140.000 b/g fino a 3,34 mb/g in aprile a seguito della partenza di nuova produzione nelle regione meridionale del paese e nonostante la sospensione continua di flussi degli oleodotti dai giacimenti del nord al porto mediterraneo di Ceyhan, in Turchia. Le esportazioni di greggio sono aumentate di 110.000 b/g, con spedizioni del greggio di Basrah dai terminali di esportazione del Golfo che hanno coperto tutte le esportazioni lo scorso mese. Ciò ha segnato un record massimo per il gigantesco giacimento di West Qurna‐2 nel sud dell'Iraq, partito a fine marzo con una produzione iniziale che si attesta sui 120.000 b/g. Tuttavia, le esportazioni del sud dell'Iraq potrebbero rimanere limitate a 2,5-2,6 mb/g per il resto dell'anno a causa di vincoli tecnici.

http://omrpublic.iea.org/omrarchive/15may2014fullpub.pdf

Conclusione

Nel decimo anno del picco della produzione di petrolio, i disordini in Medio oriente si allargano. Anche prima che si possa vedere il picco del petrolio (annuale) nello specchietto retrovisore delle statistiche petrolifere, la lotta per le riserve di petrolio rimaste e sui flussi petroliferi si sta intensificando. Ora, si sta finalmente intravedendo nei governi l'ipotesi di lasciare il petrolio prima che il Medio oriente lasci noi?


giovedì 27 febbraio 2014

Big Oil scommette; noi tutti perdiamo

Da “Recharge” (pdf non in rete). Traduzione di MR


Di Jeremy Leggett

“Stiamo scommettendo la nostra intera vita economica nazionale nella speranza – di fatto nell'aspettativa – che il boom del fracking continuerà fino agli anni 20 inoltrati del 2000 e che, a un tasso e ad un costo che desideriamo, quantità significative di petrolio “ancora da scoprire” saranno in qualche modo trovate per soddisfare la domanda. Se una qualsiasi di queste cose si dimostra sbagliata non abbiamo un piano, nessuna alternativa e non abbiamo pensato per niente a come risponderemmo in un caso simile”.

Chi parla è l'esperto di sicurezza nazionale il Tenente Colonnello Daniel Davis, il veterano di 4 turni di servizio in Iraq e Afghanistan. Non sono un militare, ma ma mi preoccupo della sicurezza energetica del mio paese allo stesso modo in cui lui lo fa del suo. Nel Regno Unito, il governo, il servizio civile e gran parte delle grandi aziende energetiche sembrano perfettamente soddisfatti di replicare il grande azzardo in corso negli Stati Uniti. Il 10 dicembre, il Tenente Comandante Davis ed io abbiamo convocato a Washington e Londra, in collegamento video, incontri di persone che condividono le nostre preoccupazioni sul rischio di una crisi petrolifera globale.

Abbiamo anche invitato persone chiave che non lo sono, ma che erano interessate a provare, al di là della propaganda, che il dibattito sulla politica energetica sembra attrarre in questi giorni. Fra coloro che si sono uniti a noi c'erano militari in pensione, ufficiali militari, esperti di sicurezza, alti dirigenti di un'ampia gamma di industrie e politici di tutti i principali partiti, compresi due ex ministri britannici. Abbiamo cominciato con una presentazione di Mark Lewis, un ex capo della ricerca energetica della Deutsche Bank. Con questo retroterra, ci si potrebbe aspettare che Lewis sia un discepolo della narrazione convenzionale dell'abbondanza di petrolio nei mercati. Molti dei suoi pari lo sono. Ma lui ha suggerito tre grandi segni di avvertimento nell'industria petrolifera che puntano ad una narrazione contraria di problemi incombenti per l'offerta: alti tassi di declino, impennata della spesa di capitale e crollo delle esportazioni. I tassi di declino di tutti i giacimenti di petrolio greggio convenzionale in produzione oggi sono spettacolari; la IEA prevede un crollo della produzione da 69 Mb/g di oggi a soli 28 Mb/g nel 2035. L'attuale produzione totale globale di tutti i tipi di petrolio è di circa 91 Mb/g.

Considerate la spesa necessaria per cercare di compensare quel divario. Gli investimenti per lo sviluppo di giacimenti petroliferi e per l'esplorazione sono quasi triplicati in termini reali dal 2000: da 250 miliardi di dollari a 700 miliardi di dollari nel 2012. L'industria sta spendendo sempre di più per sostenere la produzione e la sua redditività riflette questa tendenza, nonostante il perdurare del prezzo del petrolio alto. Nel frattempo, il consumo vola nei paesi del OPEC. Di conseguenza, le esportazioni globali di petrolio greggio sono declinate dal 2005. E' difficile confondere questi dati e non vedere una crisi petrolifera in arrivo, conclude Lewis. Che dire della recente aggiunta di 2 Mb/g di nuova produzione di petrolio, del boom che è stato lanciato come “ciò che cambia i giochi” e la strada verso“l'Arabia Saudita" da parte dei tifosi dell'industria? Il veterano di Geological Survey of Canada, David Hughes, che ha condotto l'analisi più dettagliata dello scisto Nord Americano al di fuori delle aziende di petrolio e gas, ha offerto alcuni punti di vista che fanno riflettere su questo. I suoi dati mostrano i tassi di declino prematuro spettacolarmente alti nei pozzi di gas e petrolio di scisto (più correttamente conosciuto come tight oil) significano che servono alti ritmi di trivellazione solo per mantenere la produzione. Questo problema è aggravato dal fatto che i “sweet spots” si esauriscono prima nello sviluppo dei giacimenti. Di conseguenza, la produzione di gas di scisto sta già calando in diverse regioni chiave di trivellazione e la produzione del tight oli nelle due regioni principali è probabile che raggiunga il picco fra il 2016 e il 2017. Queste due regioni, in Texas e Nord Dakota, permettono il 74% della produzione totale di tight oil statunitense.

Come Lewis, Hughes crede che l'industria del petrolio e del gas stia tirando per il naso il mondo verso una crisi energetica. Nel mio libro The Energy of Nations, descrivo come i think tank militari hanno avuto la tendenza di fiancheggiare l'industria, come Lewis e Hughes, che diffidano della narrazione cornucopiana della permanenza del petrolio. Uno studio del 2008 dell'esercito tedesco, la mette così: “Le barriere psicologiche fanno sì che fatti incontestabili vengano oscurati e portano quasi istintivamente al rifiuto di guardare in dettaglio all'interno di questo tema difficile. Il picco del petrolio, tuttavia, è inevitabile”. Questo oscuramento si estende ai media mainstream, che hanno entusiasticamente fatto eco ai mantra delle aziende petrolifere, fino al punto che le stesse parole “picco del petrolio” sono state ridotte a simbolo di un allarmismo senza fondamento. Non dovremmo mai dimenticare che nella corsa al collasso del credito, l'incombenza finanziaria ha schierato le stesse tattiche di pubbliche relazioni contro coloro che avvertivano sulla fragilità dei titoli garantiti da ipoteca.


Jeremy Leggett è il fondatore e presidente non esecutivo dell'azienda internazionale di fotovoltaico SolarcenturyIl suo nuovo libro, The Energy of Nations: Risk Blindness and the Road to Renaissanceè pubblicato da Routledge