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sabato 4 febbraio 2023

La Fine dell'Internazionalismo: e ora come la mettiamo con il cambiamento climatico?

 



L'Internazionale Comunista nasce al tempo della Comune di Parigi, verso il 1870. Una reazione contro la vittoria del nazionalismo Prussiano sopra l'internazionalismo che il secondo impero francese di Napoleone III ancora coltivava. Ma, nonostante l'internazionalismo di maniera del comunismo sovietico, il trionfo del nazionalismo è stato completo durante il ventesimo secolo. E oggi ci ritroviamo di fronte a un ritorno di fiamma del nazionalismo più esasperato sotto il nome di "sovranismo." 


Come possiamo affrontare problemi globali in una prospettiva nazionale? Sembra un'impresa persa in partenza, e probabilmente lo è. Di fronte ai problemi sempre più pressante del cambiamento climatico, del degrado dell'ecosistema, dell'esaurimento delle risorse, la società umana si sta rifugiando in un nazionalismo sempre più esasperato. Ma allora, cosa fare? 

Sono pochi che ci stanno ragionando sopra. Uno è Daniele Conversi che mette i problemi sul piatto con il suo recente libro "Cambiamenti Climatici, Antropocene e Politica", e non a caso, riparte dal Club di Roma per rivisitare la situazione attuale. Il Club era stato forse la prima entità che al tempo dello studio del 1972, "I Limiti dello sviluppo" che aveva cercato di affrontare problemi globali con un approccio globale. Era stato un fallimento, ma anche un punto di partenza che aveva generato molti tentativi paralleli di gestire le risorse globali per il bene di tutta l'umanità.

Sfortunatamente, dopo 50 anni di lavoro non abbiamo visto nessun progresso reale nel tentativo di costruire strutture globali per gestire i beni comuni del pianeta. Con i problemi globali che diventano sempre più pressanti, più il dibattito si rifugia in un nazionalismo esasperato che prende oggi il nome di "sovranismo." 

Quest'anno, abbiamo visto il crollo rapido e probabilmente irreversibile di certe entità che una volta sembravano una solida base sulla quale costruire delle azioni a livello planetario. La COP27 -- la conferenza delle parti sul cambiamento climatico -- si è svolta quest'anno a Sharm el Sheik, in Egitto, dando più che altro l'impressione di un viaggio-vacanze organizzato dal ClubMed, completo con la dimostrazione di un set di pentole in vendita a prezzi modici. Poi, l'incontro annuale del "World Economic Forum" a Davos ha visto la prudente assenza di molti dei leader mondiali, lasciando spazio a creature che sono ormai ridotte a caricature di se stessi, come Klaus Schwab che sembra sempre di più il fratello cattivo di Babbo Natale (quello che ti porta via i regali). Per non parlare dell'OMS, che sta suscitando l'ira funesta di tutti quanti cercando di imporre un trattato internazionale sulle emergenze pandemiche, senza neanche un briciolo di pudore per ammettere di aver completamente sballato la gestione di quella del Covid. E non dimentichiamoci dell'IPCC. Vi ricordate dell'IPCC? L'international panel sul cambiamento climatico. Sapete che ha tirato fuori uno dei suoi rapporti l'anno scorso? Un rapporto importantissimo. Certo... Ah... e poi l'Unione Europea.... Europea cosa?

Insomma, se ne è sciolto di ghiaccio in Groenlandia dal tempo in cui Peccei cercava di mettere insieme i leader mondiali per concordare azioni a livello internazionale che portassero a una miglior distribuzione e una miglior gestione dei beni comuni del pianeta. Non è detto che non si riesca ad arrivarci attraverso un "Nazionalismo Verde" come nota Conversi nel suo libro. Certamente, è un'impresa molto in salita, ma come dice lui a conclusione del libro "nulla dovrebbe essere escluso a priori." Parlarne non vuol dire che li si possano risolvere, ma perlomeno si può provare a parlarne in modo realistico, senza pensare che certi fantasmi del passato abbiano ancora rilevanza nel mondo attuale.


sabato 14 gennaio 2023

Qualcosa sta andando storto nella testa della gente. Sarà colpa della farina di insetti?


Non so cosa ne pensate voi, ma qui c'è qualcosa che decisamente non va. State a sentire Maurizio Gasparri che, in un discorso al senato, tira fuori che la guerra di Crimea fu nel 1861-63 (invece fu dal 1853 al 1856), che l'Italia allora non c'era (ma nel 1861, l'Italia c'era!!), e che fu combattuta dal "Regno di Piemonte" (che si chiamava, invece, "Regno di Sardegna"). Gasparri si è poi scusato parlando di un "lapsus". Certo, alle volte uno si può sbagliare, ma che un senatore della repubblica in un discorso ufficiale dica che lo stato italiano non esisteva proprio nell'anno in cui fu creato, il 1861, è leggermente preoccupante.  

Da quello che si vede nel filmato, sembra che Gasparri parlasse "a braccio", anche se aveva in mano delle note o degli appunti. Quindi, non possiamo dare la colpa a quelli che gli hanno scritto il discorso.  Gasparri ha 66 anni, non abbastanza per pensare a un inizio di demenza senile. Che cosa allora? Sarà per caso la farina di grillo (*) che ha strani effetti sulla mente umana?

E non è solo il caso di Gasparri. Leggetevi un post recente sul blog di Nicola Porro, dove Franco Battaglia si ingegna a demolire da solo un secolo di lavoro da parte di migliaia di climatologi esperti. E lo fa buttando giù qualche equazione a modo suo, sbagliando tutto (**). Fra l'altro, dimenticandosi di un esponente alla quarta potenza della temperatura che ha corretto soltanto quando un lettore glie lo ha fatto notare. E pensare che l'equazione corretta del clima l'aveva sviluppata per primo Svante Arrhenius, nel 1896, che era un chimico fisico proprio come Battaglia. Adesso, Arrhenius si starà rigirando nella tomba a pensare a cosa ha combinato un suo discendente intellettuale. Non sarà mica che anche Battaglia ha mangiato un po' di biscotti alla farina di grillo? 

Per non parlare della serie incredibile di fesserie che i televirologi e i politici ci hanno raccontato durante la pandemia. Vi ricordate di quella che diceva "distanti oggi per riabbracciarci domani"? Lo diceva Giuseppe Conte. Ci avevano detto che i lockdown dovevano durare al massimo due settimane. O quella dell'anno scorso di Enrico Letta che ci diceva che "in qualche giorno le sanzioni economiche porteranno al collasso l'economia russa"?

Non sappiamo le ragioni, ma mi sembra che la quantità di gente che parla a vanvera stia aumentando in modo preoccupante -- forse addirittura esponenziale, come si diceva del Covic. Basta solo leggere i commenti all'articolo di Franco Battaglia per rendersene conto. E la tendenza era cominciata anche prima che venisse di moda la farina di grilli. Qualunque cosa stia succedendo, speriamo bene, perché qui mi sa che stia andando sempre peggio. 


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(*) Per quelli che non sanno cos'è la farina di grillo, è una roba che va molto di moda adesso come additivo proteico agli alimentari, e c'è chi dice che ha effetti deleteri sulla salute mentale. 

(**) So che qualcuno di voi si domanda cosa ha sbagliato esattamente Franco Battaglia nel suo articoletto. Diciamo che è un tale guazzabuglio di cose sbagliate e strampalate che non sai dove cominciare a metterci le mani. Ma proviamoci, solo per divertimento. L'errore principale è quando lui tira fuori un'equazione che attribuisce all'IPCC e la scrive come ΔG = 5.67ΔT + 342Δa. Non si sa dove l'abbia tirata fuori (ah... il fastidio di linkare alle proprie sorgenti di informazione, che barba!), ma se guardate dove la faccenda viene descritta, troverete che l'equazione corretta è ΔG = 3.22ΔT. (Δa si può prendere come uguale a zero in prima approssimazione). Dato che un raddoppio della concentrazione di CO2 porta a una forzante di 3.7 W/m2, ne consegue un aumento di temperatura di circa 1.2 C. Questa stima però non tiene conto dell'effetto del vapore acqueo, un gas serra anche quello, per cui il coefficiente di ΔT è più piccolo (o, se preferite, la forzante climatica è più grande). Il risultato è un aumento di temperatura stimato di circa 3 gradi, che va abbastanza d'accordo con i risultati dei modelli climatici dettagliati e con i dati sperimentali. Ma siccome Battaglia non ha capito il ruolo del vapore acqueo, i conti non gli tornano e lui attribuisce la discrepanza all'effetto dell'albedo, che però è tutta un'altra cosa. Alla fine, Battaglia sostiene che "sembra che all’Ipcc abbiano seri problemi con la fisica elementare!" Ma non è l'IPCC che ha questi problemi, è proprio lui, Franco Battaglia, che ce li ha. Per non parlare di molte altre cose nell'articolo che non stanno né in cielo nè in terra, ma lasciamo perdere e godiamoci qualche biscottino di farina di grillo per rilassarci. 



domenica 24 febbraio 2019

Fischiettando sulla via del declino

 
Di Federico Tabellini
 

Nel 2018 è uscito un nuovo episodio di Star Wars, il principe Harry si è sposato, la Francia ha vinto i mondiali di calcio. Tutti lo sanno, tutti ne parlano. Sono senza dubbio le notizie più importanti dell’anno. 
L’IPCC ha rilasciato il suo Special Report on Global Warming, annunciando che ‘cambiamenti rapidi, profondi e senza precedenti in tutti gli aspetti della società’ sono necessari per assicurare che l’aumento della temperatura globale non superi i 1,5 gradi Celsius. Alcuni amici mi hanno riferito di averlo sentito in TV, fra l'ultimo singolo di Katy Perry e il nuovo maglione del ministro dell’interno. Non ricordano bene. La solita solfa del clima, dicono.

Comunque il matrimonio del principe Harry nella cappella di St. George in Inghilterra è stato seguito in diretta da 1,9 miliardi di persone! La mia vicina di casa ne parla ancora oggi. 

Le chiedo se è a conoscenza delle tre specie di uccelli che si sono estinte nel 2018. Mi guarda stranita. Le dispiace. “Com’è potuto succedere?”, chiede. Le ricordo che da tempo le estinzioni di specie animali procedono a una velocità migliaia di volte superiore alla norma. Non mi crede. Il giorno dopo torna a parlarmi del principe Harry. Pare sia in crisi con la sua nuova sposa. Terribile, dico. Puoi dirlo forte, risponde.

Il nuovo leader brasiliano ha deciso che la foresta amazzonica è un buon posto per tagliare legna e creare piantagioni. Gli indigeni si fottano. La crisi climatica è un’invenzione della sinistra. "Eh, gli americani...", mi sussurra il giornalaio sorridendo, alzando per un istante lo sguardo dalla Gazzetta.

I campionati mondiali di calcio in Russia sono stati seguiti da circa 3,5 miliardi di persone! Le urla eccitate si sono sentite sin da casa mia, ogni sera, per settimane. Non c’era giornale che non vi dedicasse pagine e pagine. Nelle strade festeggiamenti, e facce buie per chi ha visto la propria squadra sconfitta. (Qui a Barcellona non tengono tutti alla stessa: si chiama globalizzazione). A notte fonda le strade si svuotavano, ma non del tutto. Rimanevano a terra le lattine di birra e le bottigliette di plastica.

Stiamo vivendo la crisi più grande della storia umana. Ne siamo noi la causa. Abbiamo intrapreso una strada forse senza ritorno verso il suicidio ecologico. E la percorriamo allegramente, fischiettando una canzone. Non vediamo il declino attorno a noi perché abbiamo lo sguardo fisso sullo smartphone. Gerry Scotty non ne parla, quindi non esiste. Il declino, del resto, non è un evento ma un processo, e i processi non fanno notizia. Distruggi la foresta amazzonica un albero alla volta, e forse un trafiletto spunterà su qualche rivista. Distruggila in un giorno, e il mondo s'indigna. Almeno, è chiaro, fino all’uscita del nuovo Star Wars.


Ah, e vi ricordate l’annuncio dell’IPCC di cui vi parlavo? Nel mio libro ‘Il Secolo Decisivo’ ho provato a immaginare un itinerario possibile per giungere a un equilibrio fra sistema socio-economico ed ecosistemi. Ha richiesto anni di ricerca e molti mesi di lavoro non pagato per la stesura. Finora ha venduto un centinaio di copie. L’ultimo libro di Fabrizio Corona è in testa alle classifiche.



domenica 6 luglio 2014

Clima, dollari e buon senso – prevenire il riscaldamento globale è l'opzione più economica.

Da “The Guardian”. Traduzione di MR

Le argomentazioni secondo le quali l'adattamento climatico sia più economico sono come la macedonia – limoni, banane e confrontare mele e arance. 



Prevenire il riscaldamento globale è l'opzione più economica. Foto: Christopher Furlong/Getty Images

L'IPCC ha appena pubblicato tutti e tre i rapporti inclusi nella sua Quinta Valutazione della scienza del clima. Il primo rapporto ha affrontato i cambiamenti fisici nel clima globale, il secondo ha affrontato gli impatti climatici e l'adattamento e il terzo ha riguardato la mitigazione del cambiamento climatico. Ironicamente, dopo che è stato pubblicato il secondo rapporto, molti mezzi di comunicazione hanno sostenuto che l'IPCC stava spostando la sua attenzione, apparentemente inconsapevoli che il suo rapporto sulla mitigazione era programmato per la pubblicazione solo poche settimane dopo. Altri mezzi di comunicazione hanno scorrettamente sostenuto che i rapporti del IPCC concludono che sia più economico adattarsi che evitare il cambiamento climatico. Questo errore scaturisce dal fatto che il secondo rapporto dice, circa i costi dei danni climatici,

“le stime incomplete delle perdite annuali globali per una temperatura aggiuntiva di ~2°C si collocano fra lo 0,2 e il 2% del reddito... E' molto più probabile che le perdite siano maggiori, piuttosto che minori di questa forbice... Le perdite accelerano con un maggior riscaldamento, ma sono state completate poche stime quantitative per un riscaldamento aggiuntivo di 3°C o oltre”.

Il terzo rapporto poi ha detto riguardo ai costi per evitare il riscaldamento globale,

“gli scenari di mitigazione che raggiungono concentrazioni atmosferiche di circa 450 ppm di CO2eq per il 2100 comportano perdite del consumo globale – non includendo i benefici del cambiamento climatico ridotto così come i benefici associati e gli effetti collaterali avversi della mitigazione... [che] corrispondono ad una riduzione annua di crescita del consumo da 0,04 a 0,14 (in media: 0,06) di punti percentuali sul secolo relativo alla crescita del consumo annua sul riferimento che si trova fra 1,6 e 3% all'anno”.

La sfida è che questi due numeri non sono direttamente confrontabili. Uno ha a che fare con le perdite economiche annuali globali, mentre l'altra è espressa come una crescita del consumo globale leggermente rallentata.

Riordinare i numeri con Chris Hope

Per riordinare questi numeri, ho parlato con l'economista climatico di Cambridge Chris Hope, che mi ha detto che se l'obbiettivo è immaginare la quantità economicamente ottimale di mitigazione del riscaldamento globale, l'IPCC riporta “non ci porterà lontano su questa strada”. Per fare questo confronto in modo appropriato, i benefici della riduzione dei danni del cambiamento climatico e i costi della riduzione delle emissioni di gas serra devono essere confrontati in termini di “valore attuale netto”. E' questo il tipo di stima che i Modelli di Valutazione Integrata come il PAGE di Hope erano stati approntati a fare. Secondo il modello di Hope, il picco economicamente ottimale di concentrazione di biossido di carbonio è intorno alle 500 ppm, con un picco globale di riscaldamento della superficie di circa 3°C al di sopra delle temperature preindustriali (circa 2°C più caldo di adesso).

Nel suo libro Il Casinò del Clima, l'economista di Yale William Nordhaus osserva di essere arrivato ad una conclusione simile nel suo modello di ricerca. Per limitare il riscaldamento globale a quel livello servirebbero grandi sforzi per ridurre le emissioni di gas serra, ma come ha osservato il rapporto del IPCC, ciò rallenterebbe soltanto il tasso di crescita economica globale da circa il 2,3% all'anno al 2,24% all'anno. Secondo questi modelli economici, questo tasso di crescita economica rallentato sarebbe più che compensato dai risparmi derivati dall'evitare i danni climatici al di sopra dei 3°C di riscaldamento. Anche se l'IPCC non ha fatto questo confronto, questi modelli economici risultano essere coerenti coi suoi rapporti. Come mostrato nella citazione sopra, il secondo rapporto è stato solo in grado di stimare i costi dei danni climatici per un riscaldamento globale di 2°C ed ha osservato che oltre quel punto i costi accelerano fino al punto in cui diventano molto difficili da stimare. Nordhaus ha osservato in modo analogo,

“In realtà, le stime delle funzioni di danno sono virtualmente inesistenti per aumenti di temperatore al di sopra dei 3°C”.

Insalata di frutta australiana e turca

L'autore ed analista Bjorn Lomborg del Copenhagen Consensus Center è stato la voce più importante nel dichiarare in modo non corretto che l'IPCC ha concluso che l'adattamento climatico sarebbe più economico della mitigazione. Per esempio, è stato intervistato sull'Australian di Rupert Murdoch ed è stato autore di un pezzo sul turco Today's Zaman. Entrambi i pezzi sono erronei per le stesse ragioni. Lomborg ha sostenuto,

“Se non facciamo niente, i danni causati dal cambiamento climatico costeranno meno del 2% del PIL del 2070 circa. Eppure il costo di fare qualcosa sarà probabilmente maggiore del 6% del PIL, secondo il rapporto del IPCC”. 

Ciò è paragonabile alle cifre delle perdite economiche globali annuali del secondo rapporto con le cifre del rallentamento della crescita del consumo globale nel terzo – mele e arance. Senza gli strumenti di modellazione usati da economisti come Hope e Nordhaus, queste cifre non possono essere messe in un confronto 'mela a mela' in modo appropriato. Ho discusso questo punto con Lomborg e lui era d'accordo,

“Sono d'accordo sul fatto che il modo giusto per guardare il problema climatico sia quello di operare modelli integrati e trovare dove i costi e i benefici sono uguali (così non investiamo in difetto sul clima ma neanche ci investiamo in eccesso)... Tuttavia, il Gruppo sul Clima del IPCC ha deciso attivamente nel 1998 di non fare il rapporto costi benefici del clima”.

Quindi Lomborg e Hope sono d'accordo sul fatto che l'IPCC non permette un semplice confronto fra i costi della prevenzione del riscaldamento globale  e l'adattamento. Lomborg ha usato le immagini discusse sopra per fare l'unico confronto, incoerente coi risultati provenienti dai modelli economici. Lomborg ha anche preso arbitrariamente il 2070 per fare il suo confronto economico fa i costi dell'adattamento e quelli della mitigazione. Perché il 2070? A quel punto, in uno scenario business-as-usual il pianeta non si sarà probabilmente scaldato di più di 2°C rispetto alle temperature attuali. Il problema con questo scelta arbitraria è che il mondo non finirà nel 2070, infatti, gran parte dei bambini di oggi saranno ancora vivi nel 2070. Se continuiamo su questa strada come di consueto, il riscaldamento globale continuerà ad accelerare dopo il 2070, oltre il punto in cui gli economisti non possono nemmeno stimare accuratamente i sui costi in aumento. Queste sono banane.



Cambiamenti della temperatura della superficie previsti dal AR5 del IPCC in uno scenario BAU (RCP8.5; rosso) e dallo scenario a basse emissioni (RCP2.6; blu).

Un altro problema in questa disputa è che come mostrato nella seconda citazione sopra, le stime del costo della riduzione delle emissioni di gas serra del IPCC “non includono i benefici della riduzione del cambiamento climatico così come i benefici aggiuntivi ed i diversi effetti collaterali della mitigazione”. Per esempio, l'aria e l'acqua più pulite e benefici alla salute associati che provengono dall'allontanarsi da fonti di energia ad alta intensità di carbonio e sporche risparmia dei soldi che l'IPCC non mette nel conto. Quindi i costi per evitare il riscaldamento globale è probabile che siano in realtà anche inferiori dello 0,06% stimato all'anno di rallentamento nel tasso al quale l'economia globale continua a crescere. Nel frattempo, l'IPCC ha osservato che i costi dei danni climatici per soli altri 2°C di riscaldamento “è più probabile che siano maggiori, piuttosto che minori”, delle sue stesse stime. E se non intraprendiamo passi importanti per ridurre le emissioni di gas serra, supereremo i 2°C di riscaldamento entrando in un territorio inesplorato di danno economico.

Evitare il riscaldamento globale è più economico di adattarvisi

La linea di fondo è che gli economisti non riescono nemmeno a stimare con precisione quanti danni climatici ci costerà se non riusciamo a intraprendere passi importanti per rallentare il riscaldamento globale. Dall'altra parte, intraprendere quei passi può avere un impatto trascurabile sulla crescita economica globale. Il rapporto del IPCC sostiene anche che più aspettiamo per ridurre le nostre emissioni, più diventerà costoso. Nel determinare che mitigare il riscaldamento globale è conveniente, l'IPCC ha usato gli scenari seguenti.

“Scenari in cui tutti i paesi del mondo cominciano la mitigazione immediatamente, c'è un unico prezzo globale del carbonio e tutte le tecnologie chiave sono disponibili, sono state usate come riferimento di costo-efficacia per stimare i costi macroeconomici della mitigazione”

E' importante capire che le nostre scelte non sono o di ridurre le emissioni di carbonio o di non fare niente. Le nostre opzioni sono o di ridurre le emissioni di carbonio o di continuare con le emissioni solite che causeranno un'accelerazione del cambiamento climatico e dei costi del danno oltre alla nostra possibilità di stimarli con precisioni. Da un punto di vista economico e da una prospettiva di gestione del rischio, questo dovrebbe essere un gioco da ragazzi. Come lo espone l'economista Paul Krugman,

“La minaccia climatica è quindi risolta? Be', dovrebbe. La scienza è solida; la tecnologia c'è; l'economia sembra di gran lunga più favorevole di quanto ci si aspettasse. Tutto ciò che sta in mezzo al salvataggio del pianeta è una combinazione di ignoranza, pregiudizio e interessi personali. Cosa potrebbe andare storto?”

domenica 1 giugno 2014

Maledetti allarmisti!

DaClimateChangeNationalForum”. Traduzione di MR

Di Kerry Emanuel 

L'Associazione Americana per il Progresso della Scienza (American Association for the Advancement of Science – AAA) ha appena pubblicato una dichiarazione sul rischio climatico della quale sono co-autore. Questa dichiarazione ha diversi scopi, uno dei quali è di evidenziare l'importanza del rischio sociale nell'estremo basso della probabilità di distribuzione del cambiamento climatico. Vorrei sfruttare questa occasione per spiegare perché pensiamo che sia necessario parlare di "rischio di coda" e i blocchi che gli scienziati affrontano nel farlo.

Il rischio di coda è un concetto col quale tutti hanno familiarità in qualche modo. Per fare un esempio piuttosto ovvio, supponiamo che una bambina di 8 anni si trovi su una strada affollata che deve attraversare per prendere il suo scuolabus. Insicura sul da farsi, chiede ad un adulto che si trova lì un consiglio. L'adulto risponde che, molto probabilmente, riuscirà ad attraversare la strada indenne.


Immagine di Will Mego via Flickr (link).

Qualsiasi altro adulto ragionevole che ascoltasse un tale consiglio lo considererebbe radicalmente incompleto. Di sicuro, nessuno incoraggerebbe la bambina ad attraversare la strada se ci fosse anche solo l'1% di possibilità che possa essere investita. La conseguenza più probabile è, in questo esempio, ampiamente irrilevante. Ma in questo caso è un inconveniente molto piccolo accompagnare la bambina fino ad un semaforo.

Nel valutare il rischio, bisogna stimare la distribuzione di probabilità dell'evento (l'auto che si scontra con la bambina), avvolgetela con una funzione di risultato (la bambina probabilmente muore se investita) e tenete conto del costo di mitigazione (5 minuti per camminare fino ad un semaforo). Nel regno del cambiamento climatico, gli scienziati del clima sono quelli che hanno l'incarico di stimare il rischio dell'evento, mentre le altre discipline (per esempio economia, ingegneria) devono essere portate ad esercitarsi nella stima della conseguenza e dei costi della mitigazione del rischio o quelli di adattamento ad esso.

Nel valutare la componente del rischio dell'evento del cambiamento climatico, abbiamo, direi, un forte obbligo professionale di stimare e descrivere l'intera probabilità di distribuzione al meglio delle nostre capacità. Ciò significa parlare non solo della distribuzione media più probabile, ma anche della probabilità più bassa di rischio di coda di fascia alta, perché la funzione di conseguenza lì è molto alta. Per esempio, ecco una stima della probabilità di distribuzione della temperatura media globale risultante da un raddoppio del CO2 in relazione ai suoi valori preindustriali, costituito da 100.000 simulazioni utilizzando un modello integrato di valutazione. (Usiamo questo come illustrazione ; non dev'essere visto come la stima più aggiornata delle probabilità di aumento della temperatura globale).


Figura da Chris Hope, Università di Cambridge.

Più o meno in accordo col più recente rapporto del IPCC, il “mezzo più probabile della distribuzione va da circa 1,5°C a circa 4,5°C, mentre c'è una probabilità di circa il 5% che gli aumenti di temperatura siano meno di circa 1,8°C e di più di circa 4.6°C. Ma, dato che le distribuzioni corrispondenti di piogge, tempeste, aumento del livello del mare, ecc., il 5% di fascia alta potrebbe essere così consequenziale, in termini di risultato, da essere a ragione definita catastrofica. E' vitalmente importante che trasmettiamo questo rischio di coda, così come le conseguenze più probabili. 

Ma ci sono pregiudizi culturali forti contro qualsiasi discussione di questo tipo di rischio di coda, almeno nel regno della scienza del clima. La paura legittima che il pubblico interpreti  qualsiasi discussione sul rischio di coda come un tentativo deliberato di spaventare le persone e spingerle ad agire, o di ottenere qualche altro obbiettivo ulteriore o nefasto, è sufficiente per far sì che quasi tutti gli scienziati si sottraggano a qualsiasi discorso sul rischio di coda e rimangano attaccati al terreno sicuro della distribuzione della probabilità media. L'accusa di “allarmismo” è piuttosto efficace nel rendere gli scienziati timorosi nel trasmettere il rischio di coda e parlare della coda della distribuzione è una ricetta sicura per essere etichettati in tal modo.

Prevedibilmente, la dichiarazione della AAAS ha evocato proprio tali risposte. Per esempio, nel suo blog sul clima (link), Judith Curry dichiara che “ …questi particolari esperti sembrano più allarmati degli esperti autori del rapporto del IPCC (be', del WG1 comunque), citando molti eventi di probabilità molto bassa come qualcosa di cui essere allarmati... Quando gli scienziati diventano allarmisti, non credo che questo aiuti l'opinione pubblica”. E questo, di Roger Pielke (Senior): “Questo rapporto della AAAS è imbarazzante per la comunità scientifica”.

Judy Curry ha ragione nel dire che il Gruppo di Lavoro 1 del IPCC (WG1) evita quasi del tutto il problema del rischio di coda (che è uno dei motivi per i quali l'AAAS si è sentita costretta a farlo) e il dottor Pielke e la Curry parlano per molti scienziati esprimendo la paura dell'imbarazzo nella discussione di eventi di bassa probabilità. Dopotutto, per loro stessa definizione, tali rischi è improbabile che siano un risultato. Se vogliamo essere ammirati dai nostri discendenti, la migliore strategia è quella di attenersi al picco della distribuzione della probabilità e, con la probabilità alta, possiamo quindi ridicolizzare qegli “allarmisti” che hanno avvertito riguardo ai rischi di coda, proprio come l'adulto che ha consigliato alla bambina di attraversare la strada, con tutta probabilità sarà in grado dopo il fatto di castigare quello che ha consigliato in modo contrario. 

Eppure, il detto che dice di dire “la verità, tutta la verità e nient'altro che la verità” non si applica agli scienziati del clima? Se omettiamo la discussione sul rischio di coda, stiamo davvero dicendo tutta la verità?

Finora è stato difficile quantificare il rischio di coda oltre quello implicato da figure come quella sopra, che è il risultato di un modello integrato di valutazione fatto funzionare molte volte con molte combinazioni di parametri variati attraverso gamme plausibili. Abbiamo anche provato ad usare dati paleoclimatici e la risposta osservata del clima a grandi eruzioni vulcaniche per ridurre la distribuzione della probabilità. Un jolly nella valutazione del rischio climatico è il problema del cambiamento climatico improvviso ed irreversibile, le cui prove nelle carote di ghiaccio e nei sedimenti delle profondità marine suggeriscono che siano caratteristiche delle variazioni climatiche passate. Dobbiamo anche essere consapevoli che il grafico sopra e molti studi di valutazione del rischio usano il canonico raddoppio del CO2 come riferimento, mentre siamo attualmente avviati a triplicare il contenuto di CO2 per la fine di questo secolo. (Come misura approssimativa del cambiamento globale della temperatura in caso di triplicazione del CO2, moltiplicate i valori sull'asse orizzontale della figura per 1,5). A meno che non troviamo un modo per estrarre carbonio dall'atmosfera, i rischi climatici diventerebbero alti in modo allarmante (e non solo nelle code) nel 22° secolo, anche se fermassimo le emissioni per la fine di questo secolo. 

Non abbiamo un obbligo professionale di parlare di tutta la distribuzione della probabilità, date le dure conseguenze alle code della distribuzione? Io credo di sì, nonostante il fatto che ci esponiamo all'accusa di allarmismo e al conseguente rischio di ridurre la nostra credibilità. Si potrebbe sostenere che dovremmo stare zitti sul rischio di coda e conservare la nostra credibilità come garanzia contro la possibilità che un giorno la capacità di parlare con credibilità sarà assolutamente cruciale per evitare il disastro. Cosa ne pensate voi lettori?

- Altro su: http://climatechangenationalforum.org/tail-risk-vs-alarmism/#sthash.nHRRYjwB.dpuf 

sabato 8 marzo 2014

IPCC: Gli impatti climatici "sono molto evidenti, sono diffusi" e "noi non siamo preparati"

Da “Climate Progress”. Traduzione di MR

La scelta dell'umanità (via IPCC, 2013): l'azione climatica aggressiva (immagine a sinistra) minimizza il riscaldamento futuro. La continua inazione (immagine a destra) porta a livelli di riscaldamento catastrofici, con +7°C su gran parte degli Stati Uniti.

Il prossimo grande rapporto dei maggiori scienziati del clima sarà sugli impatti, atteso per la fine di marzo e non sarà gradevole. Quando AP ha riassunto la bozza del rapporto su “Impatti, adattamento e vulnerabilità” del IPCC, “fame, povertà, alluvioni, ondate di calore, siccità, guerra e malattie è probabile che peggiorino mentre il mondo si scalda a causa del cambiamento climatico antropogenico”. Chris Field di Stanford, che co-presiede il lavoro che sta redigendo il rapporto, ha detto lunedì ai giornalisti che “gli impatti del cambiamento climatico già avvenuti sono molto evidenti, sono diffusi, hanno conseguenze”. Un punto chiave posto da Field è che non siamo preparati per il tipo di meteo estremo peggiorato dal riscaldamento – come alluvioni e siccità – che stiamo già sperimentando: “Penso che se si guarda nel mondo ai danni subiti a causa di una vasta gamma di eventi, è molto chiaro che non siamo preparati per il tipo di eventi cui stiamo già assistendo”. A novembre, Climate Progress ha riferito, su una prima bozza trapelata del rapporto, che in un passaggio dice: “Durante il 21° secolo, gli impatti del cambiamento climatico rallenteranno la crescita economica e la riduzione della povertà, eroderanno ulteriormente la sicurezza alimentare innescando nuove trappole di povertà, la seconda in particolare nelle aree urbane e nelle punti caldi emergenti della fame”. Il rapporto avverte che il cambiamento climatico pone una estrema minaccia alla sicurezza alimentare e a quella dell'acqua per miliardi di persone da metà secolo. Ho chiesto all'eminente climatologo dottor Michael Mann un suo commento. Il direttore del Centro per la Scienza del Sistema Terrestre dell'Università di Stato della Pennsylvania ha detto:

I più recenti rapporti sugli impatti del cambiamento climatico del IPCC rafforzano ciò che già sapevamo: Che il cambiamento climatico sta già avendo un impatto dannoso su di noi e sul nostro ambiente, sia che parliamo di cibo, acqua, terra, sicurezza nazionale o salute dell'ecosistema dal quale dipendiamo in modo cruciale. Il rapporto chiarisce anche che quello che abbiamo visto è solo la punta di un vero e proprio iceberg. Se continuiamo con le emissioni da combustibili fossili come se nulla fosse nei prossimi decenni, come mostra il rapporto, il riscaldamento risultante e il cambiamento del clima infliggerà impatti di gran lunga più pericolosi e potenzialmente irreversibili su di noi e sul pianeta.

La buona notizia è che un mondo in cui gli esseri umani tagliano drasticamente l'inquinamento da carbonio il prima possibile ha impatti sostanzialmente inferiori di uno in cui le emissioni rimangono alte. Field ha notato che, “C'è una differenza davvero molto grande fra quei due mondi”. Potete vederlo nella figura in alto, che proviene dal rapporto di settembre del IPCC “La Scienza Fisica di Base”. La finestra per raggiungere lo scenario  RCP2.6 — cioè una concentrazione atmosferica di biossido di carbonio di 421 ppm – si sta chiudendo rapidamente ma non è ancora chiusa del tutto. Ha una riscaldamento generale modesto rispetto al devastante scenario RCP 8.5, di circa 936 ppm di CO2, che è dove siamo diretti nel nostro attuale percorso del fare poco. Mann aggiunge che il meteo estremo peggiorato dal riscaldamento è qui adesso e è molto costoso:

Non c'è dubbio, quando guardiamo all'aumento del pedaggio che il cambiamento climatico si sta prendendo sotto forma di super tempeste più devastanti, siccità più prolungate e più gravi, eventi alluvionali più estremi, agricoltura e allevamento decimati e massicci incendi, che stiamo già percependo gli impatti avversi del cambiamento climatico. Gli economisti hanno stimato che i danni collegati al clima ci stanno già costando più di un trilione di dollari in tutto il mondo in PIL globale. Quei costi aumenteranno soltanto se non facciamo nulla per questo problema.

Per approfondire sulla stima del trilione di dollari, vedi qui. La IEA ha informato non più tardi del 2009 che “Il mondo dovrà spendere 500 miliardi di dollari per tagliare le emissioni di carbonio per ogni anno di ritardo nell'attuare un grande assalto al riscaldamento globale”.

Il momento di agire è ora.

martedì 16 novembre 2010

Intervista a Rajendra Pachauri, presidente dell'IPCC - parte III


In questa terza e ultima parte dell'intervista, Rajendra Pachauri, presidente dell'IPCC;  ci racconta qualcosa su quelle che ritiene le priorità che fronteggiamo. Su questo punto, per la verità, Pachauri appare un po' convenzionale anche se corretto. Forse più interessante è la sua risposta sul suo romanzo "Ritorno ad Almora", dove viene fuori una ricerca della spiritualità che viene, probabilmente, dalla sue origini culturali in India.

Prima di partire con l'ultima parte dell'intervista a Rajendra Pachauri, fatemi fare un commento generale: da quello che mi ha detto e da altro materiale che appare su internet, viene fuori una persona di grande entusiasmo, capace di un incredibile attivismo e - soprattutto - di onestà specchiata. Quest'ultima qualità l'hanno dovuta ammettere anche i suoi detrattori, ritrattando le infami accuse che avevano lanciato contro di lui (come potete leggere nella prima parte dell'intervista). Fra le altre cose, il suo entusiasmo e la sua correttezza vengono fuori anche dalla disponibilità che ha dimostrato a rispondere alle mie lettere e alle mie domande; cosa rara da parte di persone a quel livello. Vi posso dire che è un piacere conversare con Pachauri via email.

Nessuno è perfetto, di Rajendra Pachauri possiamo dire che ha fatto degli errori di comunicazione - più che altro con il suo romanzo che è apparso in un momento infelice, dando ai suoi nemici la possibilità di attaccarlo anche su quello. Ma la posizione di Pachauri è difficilissima: come presidente dell'IPCC fa da parafulmine a tutti gli attacchi lanciati dalle forze dell'anti-scienza. Immaginatevi per un momento di essere voi al suo posto e potete capire come sarebbe difficile, forse impossibile, resistere ad attacchi concertati da gente senza scrupoli e che sono anche dei razzisti (come potete leggere in questo post).

Quindi, probabilmente Pachauri è l'uomo giusto per essere alla testa dell'IPCC (e in effetti è stato recentemente confermato): uno dei pochi in grado di uscire dalla tempesta a testa alta. Io l'ho definito un eroe della scienza del clima e secondo me merita di essere chiamato così. Finché abbiamo uomini come lui, c'è speranza. 

Ciò detto, ecco l'ultima parte dell'intervista.


5. Dr. Pachauri, il cambiamento climatico è soltanto una delle molte sfide che l'umanità sta fronteggiando oggi. In aggiunta, ci sono altre forme di inquinamento, erosione del suolo, esaurimento delle risorse minerali, fra le quali il petrolio e altri. Un problema che vedo spesso e che si tende a vedere un singolo problema come se fosse il solo di qualche importanza e scartare tutti gli altri. Questo è tipico dei litigi da quattro soldi fra i "picchisti" e i "climatisti", ognuno che sostiene che un problema è più importante degli altri. Lei, Dr. Pachauri, si trova nella posizione di essere alla testa dell'IPCC ma di non essere uno specialista nella scienza del clima. Così, lei può avere una visione più vasta di molti di noi. Cosa pensa delle priorità che fronteggiamo? Quali sono i problemi più importanti e dove dovremmo allocare le nostre risorse?

Essenzialmente, quello su cui dovremmo focalizzarci globalmente è l'ottenimento di uno schema sostenibile di crescita e sviluppo. Tenendo presente la definizione di sviluppo sostenibile descritta dalla Commissione Bruntland, un tale schema di sviluppo dovrebbe andare incontro alle necessità della generazione corrente senza mettere a repentaglio la possibilità delle generazioni future di soddisfare le loro necessità. Il cambiamento climatico è dunque soltanto parte di un problema molto più importante che ha a che fare con l'esaurimento e la degradazione delle risorse naturali della Terra e dei suoi fragili ecosistemi. Io credo che dobbiamo adottare politiche e allocare risorse per ridare vita e restituire alla salute una varietà di beni comuni globali. Dobbiamo tenere il benessere umano al centro dei nostri sforzi che si espandono da una regione all'altra e attraverso le generazioni. Io credo che il nostro problema principale sia di essersi allontanati dall'armonia della natura e questo si può correggere non soltanto attraverso l'innovazione e nuove tecnologie ma anche attraverso cambiamenti nello stile di vita e modi di comportarsi.

6. Nella recente esplosione di polemiche sul cambiamento climatico, credo che abbiamo tutti imparato che una bella storia può attirare di più l'attenzione del pubblico che dei fatti senza vita. Allora, potrebbe raccontarci qualcosa a proposito del suo ultimo romanzo?

Il mio romanzo, "Ritorno a Almora” è essenzialmente un viaggion verso la comprensione dello spirito umano e che cosa costituisce l'anima dell'essere umano. Il messaggio che ho cercato di mettere insieme nel libro è l'enfatizzare che raggiungere un alto livello di spiritualità e di sublimazione del comportamento umano non richiede vivere in un monastero o rinunciare al mondo. Lo sviluppo spirituale è qualcosa che la maggior parte degli esseri umani normali  possono ottenere. Il libro è un totale di 400 pagine a stampa, ma mi diverte che gli stessi detrattori che mi hanno attaccato per mezzo di bugie sulle mie operazioni finanziari e sulle mie attività professionali non hanno nemmeno risparmiato i miei umili sforzi come romanziere e hanno estratto passaggi fuori contesto e cercato di infangare il mio lavoro che io credo la maggior parte dei lettori hanno trovato essere una fonte di ispirazione sul pensiero e sul comportamento umano.

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Parte prima dell'intervista a Rajendra Pachauri
Parte seconda dell'intervista a Rajendra Pachauri

Ulteriori notizie su Rajendra Pachauri, anche su dove compra i vestiti che indossa (che NON sono di Armani, nonostante le accuse che gli hanno fatto) la trovate a questo link: http://www.livemint.com/2010/02/02003231/Pachauri-blames-global-lobbies.html

In questa intervista fatta a Taipei, invece, potete avere qualche idea della posizione di Pachauri sul fatto di essere vegetariano e di come questo può aiutare a ridurre l'impatto umano sull'ecosistema:
http://award.godsdirectcontact.net/en/news/her20100321163605274.htm


Qui trovate un articolo di Pachauri sul "Guardian" dove commenta gli attacchi contro gli scienziati sulla questione del climategate. http://www.guardian.co.uk/commentisfree/cif-green/2010/mar/26/dont-hound-the-climate-scientists

lunedì 15 febbraio 2010

I gravi errori dell'IPCC sul riscaldamento globale



I ghiacciai dell'Himalaya si stanno ritirando. Forse non così rapidamente come si trova scritto nell'ultimo rapporto dell'IPCC, ma comunque vanno a sparire. (fonte)




In un oscuro paragrafo delle migliaia di pagine dell'ultimo rapporto sul clima dell'IPCC, qualcuno ha trovato scritto che è "molto probabile" che i ghiacciai himalayani spariranno completamente entro il 2035.

Come si vede dalla foto più sopra, è vero che i ghiacciai himalayani si stanno ritirando. Tuttavia, il 2035 è una data un po' troppo vicina per vederli scomparire del tutto. Secondo alcuni, ci vorranno almeno 50 anni, e può darsi anche di più. E' probabile che la data del 2035 scritta nel rapporto IPCC sia stata un errore di stampa, o forse una svista. Ma c'è chi l'ha vista come prova sicura che il riscaldamento globale è un imbroglio ordito dai climatologi. Ovviamente sono una cricca di cospiratori che tramano nell'ombra per prenderci in giro e incassare i loro grassi contratti di ricerca.

Può darsi che qualcuno si sia decisamente lanciato un po' troppo in avanti in questa demolizione mediatica dell'IPCC, soprattutto considerando gli errori che l'altra parte nel dibattito ha fatto e sta facendo.

Vi faccio un esempio proprio sui ghiacciai: prendete David Bellamy - ex professore di botanica alle Università di Durham e Nottingham, in Inghilterra. Persona teoricamente qualificata per parlare con cognizione di causa di riscaldamento globale. Nel 2004 ha scritto sul Daily Mail che la teoria del global warming è "poppycock" (una sciocchezza). Orbene, su cosa basa il Prof. Bellamy questa sua opinione? Beh, fra le altre cose, su qualcosa che ha scritto sul New Scientist del 16 Aprile 2006, ovvero che "555 dei 625 ghiacciai mondiali sotto osservazione dal World Glacier Monitoring Service sono cresciuti dal 1980".

Questo è un dato che, se fosse vero, cambierebbe tutta la prospettiva che abbiamo del riscaldamento globale. In effetti, se i ghiacciai veramente non si sciolgono ma crescono, potremmo consegnare tutta la faccenda alle liste delle leggende urbane. Ma non è così. George Monbiot ha indagato sulla faccenda è ha scoperto che non è vero nulla. Bellamy ha fatto degli errori veramente clamorosi.

Per prma cosa, Bellamy ha sbagliato a leggere i dati da dove li ha presi. La fonte diceva il 55% di 625 NON 555 su 625. C'è una bella differenza fra il 55% e il rapporto fra 555 e 625 che è l'89%. Errore già di per se molto grave, ma non il peggiore di Bellamy.

C'è ben di più. Da dove ha preso Bellamy questo dato? Lui stesso ha dichiarato che li ha presi non da una pubblicazione scientifica ma da un articolo di una rivista chiamata "21st century science and technology" pubblicata dal noto demagogo folle, Lyndon Larouche (se non sapete chi è Lyndon Larouche, cercatelo su wikipedia. Rimarrete strabiliati.).

Ma dove arrivano questi dati che Larouche ha pubblicato? Non certo dal World Glacier Monitoring Service. Monbiot gli ha telefonato e gli hanno detto che questa cosa che ha scritto Bellamy è "bullshit" - letteralmente "cacca di toro", termine che credo renda l'idea.

Dopo lunghe ricerche, Monbiot ha trovato che il dato aveva origine in qualcosa scritta sul sito di Fred Singer, una volta uno scienziato ma da anni sul libro paga della Exxon. Interpellato su questo dato, Fred Singer ha tergiversato citando riferimenti inesistenti ma alla fine ha ammesso che il dato del 55% se lo era inventato di sana pianta sua moglie - che l'aveva messo sul sito. (questo lo racconta Jim Hoggan nel suo libro "Climate Cover-up" a pagina 162-164).

Insomma, c'è stata una serie di imbrogli impressionante in cui un dato completamente inventato ha trovato la sua strada in uno scritto di uno scienziato apparentemente "serio" ma che l'ha preso per buono senza preoccuparsi minimamente di controllarlo. Non solo, ma lo ha anche stravolto ulteriormente per dare più peso all'idea che i ghiacciai non si stanno ritirando.

Notate la differenza enorme fra la svista dell'IPCC e la manipolazione fatta da Bellamy e gli altri. Il nocciolo della questione del riscaldamento globale cambia poco o nulla se cambia la stima di quando esattamente i ghiacci Himalayani spariranno. Cambierebbe moltissimo, invece, se fosse stato vero che i ghiacciai, in generale, non si stanno ritirando, come hanno raccontato Bellamy è i suoi colleghi sulla base dei loro dati taroccati.

Se avevate qualche dubbio che vi stiano prendendo in giro sulla faccenda del riscaldamento globale, questa storia vi dovrebbe far capire che è vero. E anche vi dovrebbe far capire chi è che vi sta prendendo in giro.

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Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello, e non t'accorgi della trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello. Luca, 6:41.

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L'articolo del 2006 di George Mombiot sulla storia di Bellamy e dei suoi dati taroccati è stato tradotto e commentato da Pierangela Magioncalda sul sito di ASPO-Italia